Pianificazione e azzardo: Moltke e le origini della Grande Guerra

Le responsabilità della Germania per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale sono innegabili. La dirigenza politico-militare tedesca cercò la guerra ritenendo che fosse necessaria per la salvezza della Germania, sia che venisse intesa questa salvezza come weltpolitik, sia come egemonia europea, sia come lotta per la salvezza a fronte di un accerchiamento soffocante, sia come difesa della kultur a fronte della minaccia slava. In tutti i casi volle una guerra prima che la guerra cessasse di essere un’opzione.

Helmuth Johann Ludwig Moltke fu parte decisiva di questa dirigenza politico-militare, rivestendo il ruolo di capo dello Stato Maggiore Tedesco dal gennaio 1906 all’autunno del 1914. La sua fama è collegata principalmente al fallimento dell’offensiva del 1914, fallimento che gli è costato l’accusa di debolezza, incompetenza, indecisione. Soprattutto, a giudizio della totalità dei suoi detrattori, avrebbe commesso l’errore capitale di allontanarsi ingiustificatamente dalle linee del Piano Schlieffen, errore che sarebbe stato la causa prima della sconfitta della Germania nella guerra.

Questa valutazione così negativa è però costruita sulla base di un mito: quello dell’invincibilità del Piano Schlieffen. Un mito sorto dopo la sconfitta, al momento di cercare un capro espiatorio e una giustificazione tecnica per una sconfitta inattesa e ritenuta tecnicamente evitabile. Questo mito da una parte impedisce di valutare realisticamente il ruolo di Moltke e di molti altri decision makers tedeschi, compresi i generali, riducendo Moltke ad una improbabile macchietta; dall’altra,  costruendo attorno a lui un carattere debole e poco volitivo, lo esime dalla tremenda responsabilità di aver a tutti i costi cercato e voluto la guerra, considerandola l’unica alternativa percorribile. Il vero limite di Molke non fu quello di non aver seguito il progetto strategico di Schlieffen, adulterandolo per debolezza di carattere: il vero limite fu quello di aver imposto, pervicacemente e per certi aspetti testardamente, la guerra come unica opzione politica per la Germania.

La struttura di potere nella Germania guglielmina.

Nel periodo tra gli ultimi anni del XIX e i primi del XX secolo la cultura europea aveva accolto come valore comune quello del nazionalismo, un valore che era promosso ufficialmente anche tramite l’esaltazione del militarismo. La passione per le sfilate militari e lo sventolio delle bandiere nazionali su masse in uniforme non era meno diffusa nella Francia repubblicana o in Inghilterra che in Germania o in Austria o in Italia. In Germania, tuttavia, la valorizzazione del militarismo aveva assunto un carattere del tutto particolare e questo per una serie di motivi. Il primo era l’eredità prussiana: di fatto l’Impero corrispondeva largamente ad una sorta di prussificazione della Germania e i vecchi codici prussiani informavano la società civile. Il secondo prendeva origine dal fatto che la nazione era sorta sulla base di tre guerre vittoriose combattute esclusivamente dalle forze armate, quindi senza quella componente popolare e potenzialmente eversiva che aveva invece accompagnato, ad esempio, il Risorgimento italiano. Era all’esercito che si doveva la costruzione della nazione (e fu grazie all’esercito, nel crogiolo della guerra mondiale, che tutte le differenze regionali, sociali e culturali dei vari stati tedeschi sarebbero definitivamente sparite e la Germania avrebbe trovato la sua unità). La terza era che in nessun governo europeo esisteva, nelle questioni militari, un ruolo e un potere così decisivo come quello del Kaiser in Germania. Il Kaiser recava il titolo prussiano di Signore della Guerra, comandava le forze armate e solo a lui queste erano tenute all’obbedienza. L’esercito era imperiale e anche se molti stati tedeschi (Wuttemberg, Sassonia, Hesse, Baviera) mantenevano un variabile grado di autonomia (la Baviera aveva anche un proprio Stato Maggiore e un proprio ministero della Guerra), in caso di guerra i poteri del Kaiser si estendevano su tutte le forze armate allo stesso modo. Del resto l’impronta prussiana era fortissima su tutte le forze armate e il peso stesso dell’armata prussiana era preponderante in termini numerici. Nell’esercito il potere del Kaiser era assoluto e svincolato costituzionalmente dal potere civile. Il Kaiser poteva, senza consultare nessuno, nominare il Cancelliere,  il ministro della Guerra e il capo dello Stato Maggiore Tedesco; su avviso del Gabinetto Militare, con la firma del ministro della Guerra o del Cancelliere, poteva poi decidere tutte le nomine degli ufficiali superiori, e quindi non solo gli incarichi ma anche gli avanzamenti di carriera. Interveniva nell’addestramento, nella disciplina, nel budget delle forze armate e nella logistica; aveva voce nelle decisioni sull’ampiezza dell’armata e su quelle relative alla durata del servizio; e aveva, lui solo, il potere di dichiarare guerra. Sia Guglielmo I che Guglielmo II si sentivano prevalentemente dei capi militari e avevano straordinariamente valorizzato sul piano sociale e simbolico la sfera militare. Reciprocamente i militari si consideravano una casta separata all’interno dello Stato, superiore ed anzi opposta a tutte le altre istituzioni civili, e ritenevano di avere tra i propri compiti quello della difesa del Kaiser da tutti i nemici, compresi quelli interni. I militari non sempre concordavano con il Kaiser (e, ad esempio, ci furono forti critiche al momento delle dimissioni di Bismarck) ma non avrebbero mai permesso che tali critiche divenissero pubbliche. La loro fedeltà al Kaiser era totale.

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