Guerra e biglie

Molto tempo fa, purtroppo, scoprii l’esistenza di figure di plastica dalla vaga forma d’uomini in armi con cui si poteva giocare alla guerra in casa, per strada o in spiaggia. Da quel momento in poi tutta la mia attenzione ludica si è concentrata su tale scoperta, animando nel frattempo anche l’interesse verso i tempi e i luoghi che quelle figure volevano evocare.
Ma torniamo a quel momento. La prima cosa a cui pensammo io e mio cugino per poter simulare una battaglia in salotto, fu quella di sputacchiarci addosso con strani suoni cacofonici, nell’intento di simulare il rumore di uno sparo, ma con l’unico risultato di ottenere una lavata di capo da un adulto nelle vicinanze a cui quel continuo sbraitare non era affatto gradito.
D’altro canto anche noi ci accorgemmo immediatamente di non poter continuare a quel modo, urgeva qualcosa che potesse facilmente identificare le perdite inflitte all’avversario e determinare il vincitore. Allo scopo “inventammo” la biglia di vetro da far rotolare sul pavimento; a turno ognuno tirava la sua biglia, chi buttava giù per primo tutti i soldatini dell’avversario vinceva. Metodo rapido, con un riscontro immediato e soprattutto molto meno rumoroso.
Ma ancora una volta notammo qualcosa, i cui effetti sono sempre stati fondamentali in ogni evento storico e contro il quale l’uomo continua da sempre a combattere inutilmente.
Già, perché al di là d’ogni possibile capacità affinabile con l’esperienza e oltre le dimensioni perfettamente identiche delle biglie, ogni lancio risentiva di qualcosa d’indipendente dalla nostra abilità o dai parametri imposti al gioco; qualcosa di assolutamente autonomo e incredibilmente sfuggente. In una parola, la fortuna.
La fortuna è un evento assolutamente casuale, anzi a dire la verità presenta aspetti sia negativi che positivi, l’importante è valutarla dal giusto punto di vista, e inoltre si avvale di una serie infinita d’aiutanti di campo che determinano la mutazione di altrettante variabili.
Per noi, semplici ragazzini, queste erano le imperfezioni del pavimento, la pendenza, la mamma che camminava vicino facendo tremare i soldatini instabili, la folata di vento e tantissime altre cose.
Fortunatamente le figurine di plastica non potevano di agire di propria iniziativa, altrimenti sarebbe stato il caos.
Questa incertezza costante ad ogni lancio di biglia garantiva che non fosse il primo a cominciare il vincitore della partita e, una volta più grandi, fu sostituita dal lancio di un dado e da una tabella d’effetti probabili all’interno di una serie di variabili legate alle forze in campo e alle loro posizioni nonché alle condizioni atmosferiche e a tutto ciò che la profondità e complessità del gioco simulavano.
In sostanza, è quel che vale per ogni gioco: dal Risiko, fino alla più complessa simulazione del D-Day.
Però, scusate se insisto, vorrei ancora tornare al momento in cui ci rendemmo conto di aver bisogno della biglia, realizzando che non tutti i tiri ottenevano i risultati sperati.
La domanda che in seguito mi posi, e facilmente associabile a quella prima intuizione, non si affacciò subito alla mia mente di inesperto appassionato di wargames, anzi a dir la verità si manifestò molto dopo, quando al termine dell’ennesima lettura sugli eventi legati a una singola battaglia mi accorsi di una strana attinenza tra quanto leggevo e la traiettoria incerta di quei lanci di biglie.
Ora, mi rendo conto che qualcuno potrà avere la sensazione che questa sia la classica scoperta “dell’acqua calda”, forse penserà di non aver mai osservato niente di simile prima, oppure non crederà nemmeno che tale “casualità” esista, ma a ben guardare gli eventi legati alla storia recente e passata si sono modificati e diretti verso percorsi il più delle volte legati non tanto alla volontà dei popoli, o dei conquistatori, ma al puro e semplice caso aiutato dalla stupidità umana e dall’arroganza o caparbietà di generali e comandati in capo. Un lancio di dadi dell’umanità che ogni volta veniva modificato da un numero enorme di fattori variabili e completamente incontrollabili.
Ma entriamo nello specifico, allo scopo di fornire prove valide che non si limitino a mere speculazioni su ovvietà spesso talmente evidenti da essere completamente ignorate o ancora peggio sottovalutate, specie da chi dovrebbe invece tenerne conto.

Midway, giugno 1942.
Tralascio le premesse legate allo scoppio della guerra e all’attacco a Pearl Harbor e alla scelta delle Midway come obbiettivo. Per amor di semplicità cercherò di essere il più sintetico possibile nella descrizione, ma voglio comunque soffermarmi sull’incredibile serie d’eventi puramente casuali che determinarono la vittoria schiacciante degli USA e la sconfitta giapponese nel teatro del Pacifico.

L’ammiraglio Yamamoto, a bordo della sua nave ammiraglia, la corazzata Yamato, guidava la più imponente flotta da guerra mai vista dopo la battaglia dello Jutland (1916) verso l’isolotto di Midway.
Gli americani, intercettarono e decrittarono in parte, il traffico radio della Marina Imperiale e grazie ad uno stratagemma scoprirono l’obbiettivo principale della forza d’attacco.
Per fronteggiare la minaccia, la rimanente flotta USA del pacifico, mosse verso Midway stabilendo immediatamente una rete di ricognitori a largo raggio Catalina al fine d’identificare la posizione della forza giapponese in arrivo.
Anche i giapponesi avevano schierato un velo di sommergibili con il compito di sorvegliare i movimenti in partenza dalle Hawai, ma, prima casualità, per motivi legati alla posizione, alle condizioni meteo e alla forza d’intercettazione americana, non si accorsero della partenza delle portaerei.
La Marina Imperiale non sapeva della presenza delle portaerei americane né conosceva la loro posizione, anche se l’intera l’operazione avrebbe dovuto attirare in uno scontro aperto l’intera flotta USA, per annientarla.
Ciononostante, i giapponesi prepararono due diverse ondate d’attacco, una per bombardare la base USA di Midway e un’altra per attaccare l’ipotetica Task Force nemica nella zona.

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