Le truppe paracadutiste tedesche

Durante le operazioni in Olanda, nel 1940, i tedeschi si resero conto dello svantaggio derivante dell’impossibilità del coman­dante dei paracadutisti di avere una diretta autorità sui mezzi di trasporto delle truppe. I due erano coordinati, ma non subordina­ti l’uno all’altro.
Quindi, prima di portare a termine l’operazione su Creta, le uni­tà di trasporto aereo delle truppe furono incorporate nel Corpo paracadutisti, del quale costituirono parte integrante, agli ordini di un Ufficiale della Luftwaffe incaricato (Fliegerführer).
Questa disposizione non durò a lungo. Le operazioni in Russia e Nord Africa richiedevano la concentrazione di tutti i servizi di trasporto aereo direttamente sotto il Comandante in Capo della Luftwaffe, in modo da assicurare la pronta esecuzione di ogni operazione di trasporto che potesse rendersi necessaria, e solo in rari casi essa coinvolgeva paracadutisti.
Come risultato anche l’addestramento delle unità di trasporto aereo per le truppe fu riorganizzato. I piloti furono addestrati a volare in formazione tattica (Pulk) o in file di bombardieri (Bomber­strom), ossia in formazioni irregolari che erano sempre tridimen­sionali. Ma è impossibile lanciare paracadutisti dalle formazioni suddette, richiedendo il lancio un volo regolare in forma­zione ad un’altitudine uniforme, quindi una formazione bidi­mensionale. La normale formazione di volo stretta dei bombardieri pesanti con il suo efficace fuoco incrociato da tutti i lati è il tipo di volo desiderabile per la rotta di avvicinamento al territorio nemico. Provvede alla difesa contro i caccia nemici e può essere mante­nuta sino a breve distanza dal lancio o dall’aviosbarco. Se vi è la probabilità di incontrare un forte fuoco contraereo, la distanza da aereo ad aereo e da gruppo a gruppo all’interno del­la formazione dovrà essere aumentato.
Per queste tattiche è necessario un addestramento intensivo dei pi­loti degli aerei da trasporto delle truppe, specialmente nell’assu­mere un’appropriata disposizione prima del lancio di paracadu­tisti. Si dice, infatti, che le perdite subite durante l’attacco a Lero nel­l’autunno del 1943 fossero imputabili principalmente agli aerei da trasporto, che non volarono in una formazione regolare e alla stessa altitudine.
Durante il lancio nelle Ardenne, nel dicembre 1944, si dimostrò fatale il fatto che le unità da trasporto aereo di truppe non fosse­ro più abituate a volare in formazione regolare.
Sino alla fine della guerra il Comando della Fallschirmtruppe continuò a chiedere che gli fosse concesso il controllo perma­nente delle unità di trasporto aereo delle truppe, ma queste ri­chieste rimasero inascoltate.
Che le unità di trasporto aereo delle truppe debbano essere subordinate al Comando delle truppe Paracadutate almeno per la durata dell’operazione è chiaro a tutti: l’errore di lasciare prendere decisioni a non specialisti fu evidente nella non bril­lante direzione dell’operazione su Lero gestita da un Ufficiale del­la Kriegsmarine (l’Ammiraglio Comandante dell’Egeo), o, simil­mente, nell’operazione delle Ardenne, preparata da un Ufficiale della Lutwaffe (il Comandante della Luftwaffe del settore Ovest) ed eseguita da un Ufficiale della truppe di terra (il Generale Co­mandante della 6° SS-Panzer-Armee); ambedue avevano scarsa conoscenza delle operazioni aviotrasportate e delle loro difficoltà.
Nel caso migliore i comandanti di Battaglione paracadutisti co­noscevano di persona il comandante del gruppo di trasporto aereo che doveva trasportare il loro Battaglione solo due o tre giorni pri­ma dell’operazione; di norma nessun soldato stabiliva alcun con­tatto con l’equipaggio dell’aereo che lo doveva trasportare. Non vi era un mutuo confronto delle rispettive peculiarità, ca­pacità e manchevolezze. A Creta, il II/Fallschirm-Regiment 1 fu quasi completamente annientato perché il comandante del Bat­taglione sopravvalutò, e di molto, le capacità di pilotaggio dell’unità aerea che doveva portare i suoi uomini, mentre il co­mandante della forza di trasporto aereo, d’altra parte, non com­prese il piano di attacco, estremamente elaborato, del comandan­te dei paracadutisti, che per di più non conosceva personalmente.
Oltre al pilota, l’uomo più importante nell’equipaggio di volo era l’osservatore combattente aviotrasportato, chiamato dalle truppe direttore di lancio (Absetzer), l’uomo che dava effettivamente il segnale di lanciarsi.
Il direttore di lancio doveva essere un osservatore e puntatore veramente ben addestrato. Nelle forze Paracadutiste tedesche era l’esatto contrario. I direttori di lancio non erano selezionati fra il personale di volo della Luftwaffe, ma tra la Fallschirmtruppe; di quando in quando, le varie unità Paracadutiste dovevano asse­gnare uno o due uomini per l’addestramento come direttori di lan­cio, e con l’egoismo tipico di ogni unità militare, non cedevano naturalmente i loro uomini migliori, ma i peggiori, ossia quelli che per una ragione o per l’altra non potevano più essere usati co­me paracadutisti. Se la causa fosse stata una ferita in azione quegli uomini avreb­bero potuto essere ancora utili, ma, abbastanza frequentemente, il motivo era rappresentato dalla mancanza di coraggio o di intel­ligenza. I direttori di lancio, scelti in questo modo, venivano poi adde­strati in una Scuola per direttori di lancio da istruttori provenien­ti dal personale di volo della Luftwaffe. A sua volta, la Luftwaffe non assegnava a questo compito i suoi istruttori migliori. Dopo questo scadente addestramento il novello direttore di lan­cio attendeva il suo momento come un indesiderato terzo inco­modo, dimenticandosi nel frattempo quel poco che aveva impa­rato durante il corso. Perché, come bombardare o sparare con un’arma, lanciare para­cadutisti è questione di esercizio, di costante e ininterrotto eser­cizio, che ai direttori di lancio tedeschi mancava completamente. In quasi tutte le operazioni paracadutiste le conseguenze furono disastrose.
Durante l’operazione di Creta ad esempio almeno un Plotone di ogni Batta­glione fu lanciato in modo errato; a Maleme intere Com­pagnie furono lanciate in mare per colpa dei direttori di lancio, che per paura, come i paracadutisti dichiararono in seguito, diedero prematuramente il segnale di lancio; durante l’operazio­ne delle Ardenne una Compagnia fu lanciata sul Reno a nord di Bonn invece che a sud di Eupen, e la maggior parte del Plotone Comunicazioni di quella Compagnia fu paracadutato a sud di Monschau, direttamente davanti alle linee tedesche.
Solo in due occasioni, ossia nell’operazione a Eben-Emael nel 1940 e nella progettata operazione di alianti in picchiata contro Malta nel 1942, i paracadutisti e il personale delle unità aeree da trasporto furono riuniti e parteciparono, per un considerevole las­so di tempo prima delle operazioni, ad un addestramento con­giunto.
In ambo i casi la cooperazione fu eccellente.

Le forze Paracadutate tedesche portarono a termine due tipi di operazioni: il lancio di paracadutisti e lo sbarco con alianti. Do­po il 1942, come principio generale, le truppe paracadutiste fu­rono addestrate in entrambi i tipi di assalto dall’aria, in modo che le unità potessero essere usate in ogni momento sia nelle ope­razioni paracadutate sia in quelle con l’uso di alianti, secondo i requisiti tattici e tecnici.
Gli aerei disponibili per il lancio dei paracadutisti erano Jun­kers Ju-52 e l’Heinkel He-111. Dal Ju52 il lancio era effettuato da un portello laterale mentre dall’He-111 era eseguito da una botola. Il lancio dal portello laterale ebbe più successo dal momento che gli atterraggi erano effettuati a intervalli di tempo considerevolmente più brevi, consentendo una minore dispersione delle unità. Un’unità ben addestrata di tredici uomini poteva lanciarsi dall’aereo in non più di otto secondi.  Da un lancio con aerei che procedano ad una velocità di 170-200 km/ora e ad un’altitudine di circa 110 metri deriva una distanza di circa 25 m tra gli uomini al momento dell’atterraggio, una formazione abbastanza compatta. Al di sotto dei 67 metri di altitudine le perdite al lancio arrivavano fino al 20%, mentre oltre i 110 metri vi era una notevole dispersione. Secondo le esperienze raccolte dal Battaglione d’Istruzione, per un gruppo di 13 uomini un’altitudine di lancio di circa 220 me­tri dava una dispersione media di 800 metri di profondità per ol­tre 180 metri di larghezza, circa il doppio della dispersione me­dia raggiunta da un’altitudine di lancio di 110 metri.
Le perdite per incidenti di lancio e la dispersione dipendevano largamente dalla velocità del vento a terra, la cui determinazio­ne era, o avrebbe dovuto essere, uno dei compiti di maggiore im­portanza della ricognizione di combattimento che immediatamen­te precedeva ogni operazione paracadutista. In generale i paracadutisti tedeschi erano in grado di lanciarsi con un vento di superficie non superiore ai 25 chilometri orari. Operazioni con un vento di superficie di velocità superiore causavano molte perdite per incidenti di lancio e spesso ritardavano per ore il concentramento delle truppe atterrate. Le perdite, relativamente alte, dovute ad incidenti di lancio nell’operazione pa­racadutista contro l’isola di Lero nell’autunno del 1943, devono essere interamente attribuite all’alta velocità del vento di super­ficie. Durante l’operazione paracadutista nelle Ardenne, nel dicembre 1944, un vento in superficie di 60 chilometri orari causò pesanti perdite: i feriti durante il lancio di una unità Paracadutista che poterono essere riuniti dopo l’atterraggio superavano il 10% ma questo non impedì a molti di loro di prendere parte, seppur dopo qual­che ora, ai combattimenti.

Il paracadute tedesco non rispondeva pienamente ai requisiti: causava un eccessivo dondolamento in condizioni meteo avver­se, era difficile da controllare e richiedeva troppo tempo per di­stricarsi dall’imbracatura.
Probabilmente, era stata data troppa importanza alla sicurezza nella fase di lancio a scapito della praticità in combattimento, infatti le perdite dovute all’azione nemica contro i paracadutisti che non riuscivano a liberarsi rapidamente dell’imbracatura supera­vano le perdite, imputabili a disattenzione, causate dall’apertura anticipata in aria (i paracadute migliori erano quelli russi di preda bellica, che, con la loro forma triangolare, erano più manovrabili in caso di forte vento di terra.
Veniva data troppa importanza al ripiegamento dei paracadute, e molto del prezioso tempo necessario all’addestramento anda­va perso visto che ogni uomo doveva ripiegare il proprio. In alcuni reggimenti fu introdotto, in via sperimentale, un Plotone per la manutenzione dei paracadute, che ripiegava i paracadute dell’intero Reggimento.
Prove di lancio con paracadute non ripiegati dimostrarono co­me, in caso di emergenza, fosse sufficiente che il paracadutista compisse due piegamenti di resistenza all’aria (Luftschlagfal­ten), e come la maggior parte della complicata procedura di ri­piegamento e di imballaggio del paracadute non fosse necessa­ria.
Visto che a Creta i tedeschi avevano subito molte perdite perché i para­cadutisti non potevano raggiungere i contenitori delle armi o perché dovevano esporsi per aprirli, dopo il 1942 fu impartito, con pieno successo, un regolare addestramento al lancio portan­do le proprie armi. Il soldato poteva portare uno qualsiasi dei seguenti oggetti: pistola, pistola mitragliatrice, fucile, mitra­gliatrice leggera, cassette portamunizioni per mitragliatrice o mor­taio medio, treppiede per mitragliatrice, o attrezzo da scavo in­dividuale. Inoltre, uno qualsiasi dei seguenti oggetti poteva es­sere lanciato grazie a un paracadute ausiliario fissato al soldato: bocca da fuoco del mortaio medio, piastra d’appoggio del mor­taio medio, set radio “Dora” o “Friedrich”.

Inizialmente le Truppe Paracadutate tedesche ponevano troppa enfasi sulla natura del terreno del punto di lancio.
Le esperienze fatte durante la guerra dimostrarono che truppe ben addestrate potevano effettuare lanci di combattimento dappertut­to salvo che su terreno scoperto dove è probabile che il fuoco nemico abbatta i paracadutisti subito dopo l’atterraggio.
Un atterraggio in un bosco non presenta difficoltà nella tecnica del lancio, anche se rende difficoltoso, dopo il lancio, un concentramento.
Durante l’addestramento i paracadutisti tedeschi si lanciarono di frequente in zone boscose, ma soltanto una volta in combattimento: nell’operazione delle Ardenne nel 1944.
È anche possibile atterrare tra gruppi di case, ossia sui tetti, ma naturalmente ciò richiede addestramento ed equipaggiamento speciali: il paracadutista deve riuscire ad aggrapparsi al tetto con degli uncini e aprirvi un passaggio in modo da entrare nella casa. Il regolare addestramento ai lanci notturni iniziò nel 1942 producendo rapidamente buoni risultati. Dopo il 1943 i requisiti per il conferimento del Distintivo da Paracadutista (Falschirmschutzn-Abzeichen) consegnato al termine dell’addestramento comprendeva almeno un lancio notturno. In combattimento, i lanci notturni furono eseguiti solo una volta, durante l’operazione delle Ardenne.
Il lancio di notte presentava due difficoltà: trovare il punto di lancio e stabilire il contatto dopo il lancio. Per localizzare il punto di lancio, che doveva essere raggiunto con grande accuratezza e con un margine d’errore di poche centinaia di metri, la procedura di controllo radio usata nelle operazioni di bombardamento notturno, data la sua imprecisione, non era soddisfacente (ci si riferisce agli equipaggiamenti per la navigazione e il bombardamento che usavano le frequenze radio nella triangolazione dell’obiettivo come i sistemi Knickenbein, X-Verfahren e Y-Verfahren). Nella pratica, quindi, i tedeschi fecero uso di due altre procedure per integrare, piuttosto che rimpiazzare, il controllo radio: uno strumento radio, la cosiddetta radio-boa (Funkboje) e il campo di bombe incendiarie (Brandbombenfeld).
La radio-boa era un trasmettitore radio a corto raggio, posto in un contenitore aviolanciabile e paracadutato nell’area di lancio da un aereo designazione bersagli che precedeva la formazione e dava automaticamente ad ogni aereo da traspor­to il segnale per il lancio non appena l’aereo sorvolava una data area. Alla fine della guerra, gli esperimenti con la radio-boa, iniziati dopo il 1943, non erano ancora pienamente conclusi, perciò durante l’operazione delle Ardenne venne utilizzato il metodo più semplice: il campo di bombe incendiarie. Due grappoli di bombe incendiarie venivano lanciati al suolo, a circa 800 metri l’uno dall’altro, da un aereo designazione bersagli del­l’unità di aerei da trasporto, e i paracadutisti dovevano essere lan­ciati a metà strada tra i due campi di bombe incendiarie. Questa modalità non ebbe successo nell’operazione delle Ar­denne, non a causa di un qualche difetto nella procedura in sé, ma piuttosto a causa delle forti difese americane al suolo e dell’in­credibilmente scarso addestramento del personale di volo delle due unità di trasporto aereo coinvolte nella missione.
La cooperazione con gli aerei da designazione dei bersagli nei lanci notturni di paracadutisti richiede un tempismo estremamen­te accurato. Nell’operazione delle Ardenne, a causa di dati errati sull’inten­sità del vento, gli aerei da designazione bersagli arrivarono sul punto di lancio quasi un quarto d’ora in anticipo. In questo modo non solo la difesa contraerea americana fu messa prematuramente in allarme, ma gli ultimi aerei da trasporto non erano più guida­ti, e dovettero lanciare alla cieca i propri uomini.
Per ristabilire il contatto dopo un lancio notturno, i tedeschi uti­lizzavano generalmente segnali acustici, come versi di uccelli o il gracidare delle rane, o segnali ottici. La radio veniva usata solo per le comunicazioni tra Compagnie e tra Compagnia e Batta­glione. Nell’estate del 1942 furono fatti esperimenti di lanci con maltempo e nebbia, ma senza risultati soddisfacenti.

I tedeschi distinguevano tra due tipi di operazioni con alianti da trasporto truppe: il volo planato e il volo in picchiata. Per entrambe le operazioni veniva utilizzato lo stesso aeromobi­le, ossia il piccolo DFS-230, che poteva portare 10 uomini con equi­paggiamento leggero, o il più grande Go (il Gotha Go-242), un aliante con doppia coda che po­teva trasportare un carico utile pari a quello costituito di un cannone con­trocarro da 7.5 cm, inclusi due serventi al pezzo. Il velivolo rimorchiatore e il metodo di rimorchio erano gli stes­si per entrambe le operazioni. L’He-111 era usato nella maggior parte dei casi come velivolo rimorchiatore, mentre lo Ju-88 era più adatto per le operazioni in picchiata. In genere, con gli a­lianti veniva usato un cavo di traino, esperimenti con traini rigi­di produssero risultanti contrastanti. Gli alianti tedeschi erano particolarmente equipaggiati per le ope­razioni in picchiata: un paracadute di tipo a nastro, composto da più strisce in mezzo alle quali passava l’aria, era impiegato co­me freno di picchiata. L’apertura del paracadute era eseguita personalmente dal pilota nel momento in cui l’aliante puntava decisamente verso il basso. Le ruote di decollo venivano distac­cate dopo il decollo stesso, e l’aliante atterrava su un ampio pat­tino ventrale avvolto con filo spinato per aumentare l’effetto fre­nante. Il pattino era collocato immediatamente dietro il baricentro del­l’aliante. Qualche aliante progettato per operazioni speciali era inoltre do­tato di un robusto gancio di frenata, simile ad un’ancora, che si piantava nel suolo durante l’atterraggio. In ultimo, alcuni alianti furono equipaggiati, nella sezione ante­riore della fusoliera, con retrorazzi che, al momento dell’atterrag­gio, potevano essere azionati manualmente o automaticamente e impartivano all’aliante una forte spinta all’indietro. In alcuni esperimenti fu così possibile fare atterrare un aliante su di una striscia d’atterraggio di soli 32 metri di lunghezza.
Un’altitudine di avvicinamento di circa 4,300 metri era considerata ottimale per le operazioni in picchiata: l’aliante era rilasciato a circa di 35 chilometri dall’obiettivo, e raggiungeva il punto d’inizio della picchiata in volo livellato. Di norma, l’angolo di picchiata era compreso fra i 70° e gli 80°, la velocità di picchiata viaggiava intorno ai 210 chilometri orari e l’altitudine di livellamento dalla picchiata era intorno ai 250 metri. Nella picchiata l’aliante poteva eludere il forte fuoco contraereo ri­correndo a brevi rotazioni oppure cambiando frequentemente l’ an­golo di discesa, incrementandolo man mano (Treppensturz).
Nell’addestrare i piloti alle operazioni in picchiata la maggiore difficoltà consisteva nell’insegnar loro a compiere un accurato atterraggio nel punto designato, che, in alcune circostanze, do­veva essere preciso al metro, e a riconoscere il momento giusto per interrompere la picchiata.
Nel 1943, sette cannoni controcarro da 7.5 cm furono inviati nella cittadella di Velikye Luki, circondata dai russi, usando i Go-242 come alianti in picchiata.
Alianti in picchiata furono usati almeno in un’altra occasione. Nell’aprile 1945, elementi di due Battaglioni Fallschirmjäger furono infatti inviati nella Festung Breslau, accerchiata dai russi, grazie ad alianti DFS-230 dotati di retrorazzi.

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