Rommel, la volpe del deserto

Rommel era veramente nazista? Partecipò alla cospirazione del 20 luglio 1944?
Rispondere a queste domande non è facile. Anzitutto Rommel era un soldato. Affermazione che può suonare banale, a meno che non si spieghi cosa significasse essere un soldato nella Germania nazista. Essere soldato della Wehrmacht significa, prima di tutto, prestare fedele giuramento (il giuramento dell’esercito del 1934) a Hitler e al Reich. Qualsiasi ordine del Furher, diretto o indiretto che fosse, doveva essere immediatamente ed incondizionatamente eseguito. Pena, l’espulsione dall’esercito, e, nel peggiore dei casi, condanna a morte per alto tradimento! È tuttavia opportuno, però, ricordare che l’esercito tedesco (e con ciò quindi non intendo”formazioni” paramilitari come SA, SS, Waffen SS, Einsatzkommando ecc…) non si poteva definire totalmente nazista; non tutti erano nazisti fanatici. Sicuramente, all’interno della Wehrmacht, ci sono stati casi di fanatismo, ma si trattava sempre di fenomeni marginali. Tale argomento meriterebbe un articolo a parte, e, pertanto, mi limito ad affermare solamente che la Wehrmacht non erano le SS, non era addetta all’esecuzione di massa di “minoranze” e non di solito uccideva indiscriminatamente. Però doveva, necessariamente ubbidire agli ordini del capo supremo dell’OKW (Oberkommando der Werhmacht) che, come tutti sappiamo, era Adolf Hitler.
Rommel, come altri generali, agiva sempre di sua iniziativa, non da nazista, ma da soldato. Molto spesso, infatti, si ritrovò a rifiutare gli ordini dei suoi superiori circa il comportamento che avrebbe dovuto tenere in certe situazioni; ma, a differenza dei suoi colleghi, Rommel, proprio in virtù della sua fama di grande generale, “contestare” più di tanto. Una non trascurabile avversione di Rommel nei confronti di Hitler, cominciò dalla fine del 1941, in conseguenza alla mancanza di rifornimenti e di viveri necessari per il proseguimento della campagna d’Africa. Tale avversione andò peggiorando nei mesi immediatamente successivi; fino a quando, all’inizio del 1944, il generale Speidel propose al Feldmaresciallo di partecipare ad una riunione cospirativa (organizzata da alti ufficiali dell’esercito) a Berlino.
Questa cospirazione faceva capo a diversi generali e, soprattutto, ad un colonnello, Claus S. Von Stauffenberg (che era la figura più attiva del complotto). Obiettivo primario della cospirazione, era l’eliminazione fisica del Fuhrer e della gerarchia nazista (capi del partito nazista e alti ufficiali delle SS). Ultimo punto della stessa era, in seguito, la proclamazione della legge marziale.
Subito dopo lo sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944, Rommel capì, anzi ne ebbe definitivamente la certezza, che la situazione bellica tedesca stava ormai collassando definitivamente. Ecco come commentò il giorno dello sbarco alleato: “È finita. Sarebbe molto meglio per noi mettere fine alla guerra ora, piuttosto che andare alla rovina continuando questa lotta disperata”. Rommel decise di prendere parte alla cospirazione solo agli inizi del Luglio 1944, ma, a differenza degli altri cospiratori, non voleva l’uccisione del Fuhrer, bensì la sua deposizione (con tanto di giudizio in tribunale). Egli pensava infatti che, una volta ucciso Hitler, il popolo tedesco avrebbe fatto del defunto capo del Terzo Reich, un martire. Cosa alquanto probabile nella Germania di allora. Comunque sia, al di là del fatto di uccidere o meno il Fuhrer, Hitler doveva essere tolto di mezzo dalla “scena internazionale”. Rommel scrisse un ultimo messaggio d’avviso a Hitler per esortarlo a trovare accordi di pace con gli alleati. In caso di risposta negativa da parte del Fuhrer, Rommel avrebbe preso serie decisioni: “Se Hitler si rifiuta di trarre le conseguenze – disse – entreremo in azione noi”. Ma, come ben si sa, i cospiratori vollero agire subito e in fretta, troppo in fretta per portare a compimento un piano del genere. La bomba, posta da Von Stauffenberg nel tavolo a cui erano seduti Hitler e il suo staff a Rastenburg, venne leggermente spostata da un altro membro lì presente. L’esplosione venne dunque deviata dalla grossa e massiccia gamba del tavolo, causando solo lievi ferite a Hitler. Quest’ultimo uscì miracolasamente illeso, riportando solo delle ferite alle mani (le quali provocarono, poco dopo, il morbo di Parkinson) e alle gambe. La maggior parte dei membri presenti alla riunione nel quartier generale morì. Ci furono diciotto morti sui ventiquattro presenti. Così, il sogno di salvare la Germania si tramutò in un incubo per i congiurati. Nella notte del 20 luglio 1944, iniziarono già le prime crudeli e barbare repressioni contro coloro che avevano preso parte alla cospirazione; prime vittime del massacro furono, ovviamente, i militari e le loro famiglie. Rommel venne a sapere di tale repressione solo l’8 Agosto. Il 17 luglio, il feldmaresciallo, viaggiando con la sua macchina sulla strada da Livarot a Vimoutiers, ebbe un terribile incidente che lo costrinse al ricovero per quasi un mese: un caccia inglese, con le sue mitragliatrici, colpì la macchina e l’intero equipaggio. Uscito dall’ospedale l’8 Agosto, Rommel ritornò a casa sua, ad Herrlingen. Qui, tra il 13 e 14 di Ottobre, il feldmaresciallo ricevette una telefonata dal Capo dell’Alto Comando, Wilhelm Keitel. Questi, preso coscienza del fatto che Rommel era ancora troppo debole per affrontare un viaggio fino a Berlino, disse lui che riceverà l’indomani una visita di incaricati dell’OKW. Alle ore 12 del 14 Ottobre, si presentò a casa sua una macchina scura con due generali a bordo. Erano Wilhelm Burgdorf ed il suo collega Ernst Maisel. Entrambi spiegarono a Rommel lo scopo della loro missione: il tribunale del popolo aveva trovato numerose prove d’accusa sulla la partecipazione del feldmaresciallo alla congiura. Ma Hitler, considerando i grandi servigi di Rommel resi alla Germania, decise di offrirgli una morte “onorevole”: i due generali diedero nelle mani di Rommel una capsula di cianuro. Qualsiasi tentativo di fuga da parte del feldmaresciallo era vano. La casa era circondata da “soldati” delle SS. Inoltre, se avesse rifiutato la capsula, i due generali garantirono a Rommel di non poter badare all’incolumità della famiglia. A questo punto Rommel capì. Capì che era giunto il suo momento. Alle ore 13, entrato in macchina con i due generali, prese la vergognosa capsula di cianuro e se la portò fra i denti. Dopo mezz’ora di agonia, il mondo intero perse uno dei suoi generali più grandi. Erwin J. Rommel morì. Morì perché coinvolto dalla folle ed infima ideologia nazista. Una ideologia non compresa abbastanza bene dalla stessa casta militare, la quale, tuttavia, si trovò costretta a sottomettersi alla volontà di un folle dittatore: Adolf Hitler. Ma per il mondo intero, Hitler fece circolare un altra versione della morte di Rommel: quella dell’arresto cardiocircolatorio (c’è chi dice, però, anche per embolia) avvenuto all’ospedale di Ulm. Il 17 Ottobre, infatti, Hitler invierà alla vedova e al figlio Manfred un telegramma di condoglianze, affermando che la Germania e il suo popolo hanno perso uno dei più fedeli servitori della patria e del Terzo Reich. Ma, è opportuno ricordarlo ancora una volta, il feldmaresciallo non si lasciò mai corrompere dal nazismo. In una spietata guerra totale combattuta in modo selvaggio, Erwin Rommel ispirò ammirazione anche per il modo in cui trattava i prigionieri. Nella vita si è sempre costretti a fare delle scelte. Per un militare, però, il più delle volte, le scelte si presentano come una strada a senso unico: obbligo dell’obbedienza assoluta. Ma ci sono momenti nella vita in cui un soldato deve seguire i propri istinti morali ed etici. Per Erwin Rommel, alla fine, prevalsero questi ultimi.

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