Battles from the Bulge

Era l’agosto del 2006 quando scrissi la recensione di Conquest of the Aegean, della Panther Games. Ci giocai con passione, e finii per convincermi che era un capolavoro e che potevo serenamente sbilanciarmi con un voto altissimo, 9.2. Fu con ogni probabilità il miglior wargame dell’anno, e vinse parecchi premi prestigiosi, quindi credo che le mie impressioni fossero tutto sommato in linea con quelle di molti altri appassionati.

Tuttavia… vi invito a rileggere, se ne avete il tempo, la mia recensione di allora, e in particolare l’ultima pagina. Scrivevo in particolare:

“In sostanza direi che pur essendo COTA una ottima evoluzione di HTTR e un degnissimo terzo capitolo della serie forse non è ancora quel capolavoro a 360 gradi che, date le premesse, alcuni si aspettavano.”

Sono passati quasi 4 anni, e l’attesa per il quarto gioco era ormai spasmodica tra gli appassionati. Originalmente era prevista la pubblicazione l’anno scorso, mi ero anche letto tre o quattro libri sulle Ardenne per prepararmi al meglio; poi però gli sviluppatori e il publisher (Matrix Games) hanno deciso di rimandare il tutto, per poter completare al meglio lo sviluppo.

Finalmente l’attesa è finita, e a maggio il nuovo gioco è stato reso disponibile al pubblico, al prezzo piuttosto sbalorditivo di 72.99 Euro per la versione boxed e 64.99 per il download digitale.

Mi sono affrettato a rileggere i miei libri, ed ora eccomi qui a raccontarvi di Battles from the Bulge.

Per chi non avesse famigliarità con la terminologia inglese, “Battle of the Bulge” è la denominazione anglosassone dell’offensiva tedesca nelle Ardenne, dall’attacco a sorpresa del 16 dicembre 1944 fino all’eliminazione da parte delle forze Alleate del saliente tedesco, la “sacca” (bulge in inglese), a gennaio.

Si trattò dell’ultimo tentativo di cambiare l’esito finale della guerra, secondo alcuni; ma a conti fatti l’esito dell’operazione era quasi certamente già implicito nei suoi deliranti piani operativi. L’idea era semplice, e ad un esame superficiale forse anche brillante: colpire di sorpresa le forze alleate nel punto più improbabile e delicato, le Ardenne. Punto di giunzione tra due armate sbilanciate sull’offensiva, la 21esima e la Terza, fronte morto ritenuto inadatto alle operazioni belliche per via del terreno impervio e delle cattive strade, le Ardenne erano utilizzate dagli Alleati per concedere un momento di recupero alle unità logore e un periodo di preparazione per quelle appena arrivate al fronte dagli Stati Uniti, come la 106esima. Obiettivo finale dell’offensiva: il grande porto di Antwerp, punto di rifornimento avanzato essenziale per le forze alleate. E se fosse stato possibile raggiungerlo? L’intero gruppo di armate sotto il comando di Montgomery e due delle tre armate di Bradley sarebbero state tagliate fuori dai rifornimenti, alla mercé dei tedeschi… in teoria. Ma per ottenere questo scopo sarebbe stato necessario raggiungere la Mosa in non più di 3-4 giorni.

Ovviamente il fatto che fosse un fronte morto per gli alleati avrebbe giocato a favore dei tedeschi almeno nei primi giorni, visto che la resistenza sarebbe stata minore, ma sarebbe stato anche il principale ostacolo per gli stessi tedeschi. Strade piccole e talora sterrate, diversi corsi d’acqua da attraversare, fitti boschi: certamente non un terreno ideale per un’offensiva corazzata. Quando l’esercito tedesco aveva attaccato la Francia attraverso le Ardenne nel 1940 non era autunno inoltrato, e le forze tedesche non erano dissanguate da precedenti disastrose sconfitte come nel dicembre 1944. L’organico di molte divisioni in passato temibili si era ormai ridotto in modo spaventoso, e spesso i ranghi erano composti da personale inesperto, se non addirittura del tutto inadatto. Questi sono solo alcuni dei dubbi che furono immediatamente sollevati da von Rundstedt e da molti altri alti ufficiali quando vennero a conoscenza del piano: ma dopo l’attentato di luglio Hitler non era più incline (se mai lo era stato) ad ascoltare rimostranze, soprattutto dagli ufficiali dell’esercito, e in calce al piano operativo delineato da Jodl in modo ossequioso alla volontà del Führer c’era la scritta “non modificare”.

Così il 16 dicembre 3 Armate tedesche, per un totale di una trentina di divisioni, si lanciarono nell’ultima grande offensiva tedesca della seconda guerra mondiale. Inizialmente ottennero qualche successo e sicuramente gettarono momentaneamente nel panico molti alti comandi alleati; ma fu presto chiaro che sarebbe stato impossibile raggiungere anche solo la Mosa, per non parlare di Antwerp. Le forze tedesche, per quanto concentrate in gran numero, erano solo lo spettro di quello che erano state prima della campagna di Russia e dei numerosi rovesci degli ultimi mesi, e fu loro richiesto un sacrificio disumano e probabilmente nel complesso inutile.

L’episodio più famoso fu certamente quello di Bastogne, una pagina di eroismo e sangue raccontata a più riprese dal cinema e dai libri; ma in realtà Bastogne non era nemmeno tra gli obiettivi principali del piano, che prevedeva uno sfondamento nella zona dell’armata tedesca più a Nord, la settima armata Panzer, che infatti era anche la più forte. Tuttavia le colonne tedesche a Nord furono prima fermate e poi decimate ben lungi dall’obiettivo, grazie soprattutto alla tenace resistenza avvenuta nei paesi di Krinkelt e Rocherat, sull’altopiano di Elsenborn, e nella zona di St. Vith; e così il peso dell’attacco fu deviato a Sud di St. Vith, verso Bastogne.

Per la fine dell’anno l’attacco tedesco era praticamente a un punto morto, e nel giro di altri quindici giorni la controffensiva alleata era ormai riuscita a riconquistare tutto il terreno perduto.

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