Francia 1940: la debacle de L’Armèe de l’Air

L’Armée de l’Air aveva assunto, seguendo le indicazioni del Governo e delle altre Armi, che la guerra sarebbe stata una fotocopia del conflitto precedente, con i fronti contrapposti bloccati in una guerra di posizione. In questo contesto la dottrina francese, definita Lutte Aérienne, prevedeva l’attacco alla linea nemica, ai rinforzi di seconda schiera, ai trasporti e ai centri strategici tedeschi in Germania. In pratica, però, si trattava più di un orientamento amministrativo che di una vera e propria dottrina di impiego.

La più scontata giustificazione per l’autonomia della forza aerea era, naturalmente, la dottrina del bombardamento strategico elaborata e promossa da Giulio Dohuet. Questa fu la strada seguita da molte aviazioni, compresa, almeno ufficialmente, quella italiana. Abbiamo però visto come la classe politica francese potesse sostenere solo con molte ambiguità questa linea e come il progetto BCR abbia ottenuto l’approvazione generale proprio perché sembrava evitare di prendere posizione a tale riguardo. Le teorie di Douhet furono rifiutate esplicitamente dagli esperti francesi (Dohuet non fu mai tradotto completamente in Francia nel periodo tra le due guerre) che le definirono “tecnicamente” superate: il bombardiere puro, il grande e lento velivolo dedicato all’azione strategica, lungi dal ”passare sempre” come prediceva Dohuet, sarebbe rimasto facile vittima di aerei da caccia. Occorreva solo sviluppare aerei dotati di maggiore autonomia e con armamento più pesante rispetto ai tradizionali caccia puri. In altre parole le teorie di Dohuet, a giudizio dei teorici francesi, erano tecnicamente superate grazie all’avvento del BCR.

Ma questa sottovalutazione dei caccia puri, più che da una vera scelta strategica, derivava dalla necessità di non alienarsi le simpatie delle altre Armi. Nel programma BCR i caccia erano malvisti dall’Esercito, che riteneva di non poter contare su di loro né per quanto riguarda l’appoggio a terra né per quanto riguarda la ricognizione a largo raggio. A questa sottovalutazione corrispondeva una sopravvalutazione dei bombardieri propri (e di quelli italiani!) e una contemporanea sottovalutazione di quelli tedeschi. Difficile comprendere il senso tecnico di queste valutazioni. Verosimilmente si riteneva da parte francese che i combattimenti sulla linea del fronte, vicino quindi ai propri centri ed aeroporti, avrebbero favorito i propri aerei, a discapito di quelli nemici che provenivano da maggiori distanze e potevano quindi essere intercettati. Inoltre la Germania, questo a Parigi era noto, aveva scelto di trascurare il bombardamento strategico, mentre la Francia, almeno nelle dichiarazioni dei suoi politici, non aveva affatto rinunciato a questa opzione: non c’era quindi da temere troppo per le azioni in profondità degli aerei tedeschi. Non a caso in Francia destavano invece molta preoccupazioni gli aerei italiani, che ufficialmente erano stati realizzati per mettere in atto le dottrine di Dohuet. In ogni caso l’enfasi francese sugli aerei da appoggio tattico fa risaltare come misteriosa la scelta di non realizzare aerei specializzati nell’attacco al suolo paragonabili allo stuka.

Apparentemente la Lutte Aèrienne sembrava conciliare le attese del bombardamento strategico con quelle dell’appoggio tattico al suolo, garantendo all’Armée de l’Air una razionale e bilanciata flessibilità e la possibilità di passare dalla difesa all’offesa secondo le esigenze del momento. In realtà questa filosofia di flessibilità si basava tecnicamente sulle attese del programma BCR, il tipo di velivolo in grado di eseguire tutte le missioni richieste. Il BCR, però, si rivelò un totale fallimento, come abbiamo visto. Questo in pratica equivaleva a dire che l’Armée de l’Air non aveva lo strumento per tradurre in pratica la sua dottrina. Le cose non migliorarono dopo il 1938 e la dottrina reattiva francese continuò a trovare continui limiti nei problemi tecnologici, che impedivano all’Armée de l’Air di realizzare gli aggiramenti verticali del nemico e di reagire prontamente alle azioni tedesche. L’inadeguatezza degli aerei francesi a fronte di quelli tedeschi per velocità, autonomia, tempo di reazione, si trasformò nell’apparente resa a cedere il dominio dei cieli di casa all’avversario.

Inoltre questa dottrina, basata sulla premessa di un lungo conflitto difensivo, era per principio reattiva: essa stabiliva le reazioni da attuare a fronte di azioni tedesche. Cosicché il potere aereo francese assumeva anch’esso, come l’Esercito, una posizione difensiva, cedendo per principio l’iniziativa alle forze avversarie.

Ulteriore conseguenza della scelta di privilegiare l’appoggio tattico e quindi i collegamenti con l’Esercito si ebbe nei programmi di addestramento di ufficiali e piloti. L’addestramento privilegiava gli aspetti di sostegno tattico alle forze di terra, a discapito delle altre forme di combattimento aereo. Gli ufficiali dell’Aeronautica seguivano gli stessi corsi degli ufficiali dell’Esercito, con l’enfasi data alla storia militare terrestre e alle strategie terrestri di combattimento. In pratica un ufficiale dell’Armée de l’Air usciva dai corsi con la preparazione di un ufficiale dell’Armée de Terre. Chiaramente il tipo di preparazione adottato pesava poi fortemente sul modo di concepire la guerra da parte dei vertici dell’aviazione. Nel 1940 la Francia disponeva di 2900 ufficiali piloti e di 2989 sottufficiali piloti e anche il numero dei tecnici era del tutto insufficiente. Il risultato fu che molti aerei rimasero confinati a terra per mancanza di piloti o per via della scarsa manutenzione.

La cessione della struttura organizzativa e di comando dell’Aviazione all’Esercito, che impediva la concentrazione delle forze disperdendole lungo tutto il fronte, fu la coerente conclusione dei presupposti su cui si basava l’Armée de l’Air sin dalla sua fondazione. Fu una scelta imposta dai vertici politici e dell’Esercito e che era coperta dalla retorica dell’unione di tutte le forze a difesa della Patria: l’eccessiva autonomia dell’Armée de l’Air sembrava indebolire il concetto della “sacra unione”. Realizzata in piena guerra, la riorganizzazione dei comandi produsse in realtà disorganizzazione e caos proprio nel momento in cui occorreva il massimo sforzo, mettendo in crisi totale il già debole sistema di allarme e di intervento.

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