L’assalto ad Eben-Emael

Alle ore 4,30 del 1° maggio l’operazione di attacco ebbe inizio; gli alianti vennero rimorchiati sino a quota 2.000 e sganciati in prossimità della frontiera tedesca che era stata contraddistinta da una luce continua di fari rossi; poi nel buio e silenziosamente si di­ressero verso i punti di attacco assegnati a ciascuno dei quattro gruppi d’attacco.
Alle 5,20 il gruppo  Acciaio prendeva terra presso Weldwezelt e occupava rapidamente il ponte sotto un fitto fuoco di armi auto­matiche belghe; alle 5,35 anche il ponte di Canne era conquistato d’assalto; il gruppo Cemento  veniva dirottato su Maastricht per costituire una testa di ponte sulla Mosa in sostituzione di un reparto di fanteria della 22a Luftlande Division.
Il gruppo Granito decollava alle ore 4,30 con 11 DFS 230 in direzione del Belgio; lo sgancio avveniva regolarmente e gli alian­ti, con grandi spirali, si dirigevano verso la zona d’attacco distante circa 35 km dalla frontiera tedesca. Prima di arrivare nella fortezza belga, l’aliante del comandante il gruppo, ten. Witzig, per un’im­provvisa perdita di quota, era costretto ad atterrare in aperta cam­pagna e in tal modo il comando dell’intera operazione passava al più anziano sottufficiale del gruppo, il maresciallo Wenzel, che portava con precisione e audacia gli alianti e gli uomini nell’interno dell’opera fortificata.
Gli uomini disponevano di speciali cariche esplosive fissate su pali per spingerle nelle feritoie dei cannoni , di torpedini analoghe a Bangalore inglesi per distruggere il filo spinato e di lanciafiamme (soprattutto Einstoss Flammenwerwfer delle Waffen-SS, perché più facilmente trasportabile), ma soprattutto di cariche cave da 50 kg (20) e da 12,5 kg (28) utilizzate per creare brecce nelle corazzature spesse anche 30 cm.
Immediatamente i pionieri attaccavano le torri corazzate e i bun­ker in acciaio e cemento armato, piazzando cariche di speciale alto esplosivo nelle feritoie e bloccando in tal modo l’intera guarnigione colta di sorpresa nell’interno della fortezza. Solo alcuni scontri a fuoco su postazioni periferiche (con il supporto di Stuka e l’intervento di batterie d’artigliere belghe dislocate nella zona circostante, chiamate dai difensori della fortezza ad aprire il fuoco sulle loro casematte come difesa dai paracadutisti tedeschi) impegnavano i pionieri che durante il combattimento perdevano otto uomini, mentre circa dieci restava­no feriti. Neppure un’ora dopo l’atterraggio, la guarnigione poteva considerarsi prigioniera e la fortezza conquistata. Alle 8,30 giungeva a Eben-Emael il ten. Witzig che riceveva dal maresciallo Wenzel il pri­mo rapporto sull’operazione; il ricongiungimento con le truppe tedesche avvenne alle ore 7 di mattina del 11 maggio da parte di un distaccamento del 51° battaglione del genio e successivamente da reparti di fanteria che permisero ai paracadutisti di ritrarsi dalla battaglia. La resa definitiva della fortezza avvenne 2 ore dopo con la resa del capo della guarnigione (maggiore Jottrand).
Con la conquista di Eben-Emael la strada per Bruxelles e Anver­sa era aperta ai carri armati della 48 Panzer Division.
Questo tipo di operazione è poi diventato un modello per le operazione delle forze speciali di diversi eserciti,ma l’idea del  Generalmajor  Kurt Student era quello di usare i paracadutisti in massa per la conquista di obbiettivi rilevanti e , non semplicemente come incursori in profondità. Nel corso del conflitto però la qualità delle truppe paracadutiste andò peggiorando, tanto che nel 1944 solo il 40% dei soldati delle 2 divisioni di paracadutisti era abilitato al lancio (all’epoca disgiunto dall’addestramento base di combattimento) ed erano soprattutto usate come fanteria per i combattimenti più impegnativi (battaglia di Ortona) o che richiedevano un dispiegamento rapido (formazione di una linea difensiva in risposta all’operazione Market-Garden).

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