Isbuscenskij: l’ultima carica del Savoia Cavalleria

A metà agosto 1942 i tedeschi avanzavano fino a Stalingrado e verso il Caucaso, mentre gli italiani presidiavano l’area del fiume Don.
Il Raggruppamento Truppe a Cavallo, dopo una marcia estenuante con temperature giunte fino a 47 gradi, si trovava a Gratschew, un paese cosacco a sud del Don.
L’offensiva sovietica iniziò il 20 agosto quando i russi passarono il Don e sfondarono il tratto di fronte tenuto dalla Divisione Sforzesca.
Il Raggruppamento Truppe a Cavallo ricevette l’ordine di contenere l’avanzata nemica: in quei giorni i due Reggimenti e le Batterie a cavallo caricarono a più riprese a livello di squadrone.
Successivamente la cavalleria italiana avviava una manovra avvolgente in direzione del Don.
Ed in questi frangenti si inserisce l’epica carica di Isbuschenskij, dal nome di un piccolo villaggio vicino dove in realtà i cavalieri italiani non entrarono mai.
Alle prime luci dell’alba del 24 agosto 1942 Savoia Cavalleria (700 cavalieri), che aveva passato la notte in mezzo alla steppa in quadrato protetto dai cannoni delle Voloire, le Batterie a cavallo, si preparava a riprendere la marcia in direzione di un anonimo punto trigonometrico verso le sponde del Don, la quota 213,5.

Durante la notte tre battaglioni di truppe siberiane (circa 2.500 soldati) si erano portati a circa un chilometro dall’accampamento e si erano trincerati in buche, fra i girasoli, formando un ampio semi-cerchio, da nord-ovest a nord-est.
Attendevano l’alba per far scattare la trappola mortale.
Prima di togliere il campo, però, veniva mandata in avanscoperta una pattuglia a cavallo comandata dal sergente Ernesto Comolli. Doveva controllare, in particolare, un carro di fieno intravisto la sera precedente.Alle 3.30 la pattuglia partiva al piccolo trotto. Fu quasi per caso che un componente della pattuglia, il caporalmaggiore Aristide Bottini, notò, nell’incerta prima luce dell’alba, qualcosa che luccicava fra i girasoli.Era un elmetto russo, con la caratteristica stella rossa al centro, in un primo tempo scambiato per un tedesco.
Partiva, quindi, il primo colpo di moschetto che centrava il sovietico e scatenava un rabbioso fuoco di reazione. Venivano contate sessanta mitragliatrici oltre a mortai ed artiglieria leggera.
Una vera e propria pioggia di fuoco si abbatteva sul quadrato del Reggimento che si apprestava a ripartire ma ormai quasi circondato. La sorpresa durò soltanto un momento perchè le truppe, fedeli alla propria tradizione, riacquistarono il sangue freddo e si prepararono a rispondere all’attacco.
Venne dispiegato lo stendardo ed il comandante, il colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, con una serie di decisioni prese in base all’esame della situazione, andava a disegnare una delle pagine più gloriose e coraggiose della cavalleria di tutti i tempi.

I pezzi, vecchi ma ben diretti, delle Voloire ed i cannoncini anti-carro avevano iniziato a rispondere al fuoco russo con precisione, ma c’era bisogno di un diversivo immediato.
Bettoni Cazzago ordinava, quindi, al 2° Squadrone, comandato dal capitano Francesco Saverio De Leone, di caricare a fondo i sovietici sul fianco cercando di coglierli di sorpresa.
In realtà, secondo le testimonianze, sembra che in un primo momento volesse caricare con tutto il Reggimento, con lo stendardo al vento, ma venne convinto dal proprio aiutante, maggiore Pietro de Vito Piscicelli di Collegano, a dosare le forze in ragione dell’evolversi della situazione.
Il 2° Squadrone inizialmente simulava un ripiegamento, muovendosi in direzione opposta a quella del nemico, ma improvvisamente, dopo aver effettuato un’ampia conversione, caricava a ranghi serrati a sciabolate (come se si trovasse ai tempi della guerra d’indipendenza) e raffiche di mitra: i sovietici venivano colti di sorpresa, molti fuggivano, altri cercavano riparo nelle trincee, soltanto alcuni cercavano di resistere a tale impeto.
Diversi cavalli e cavalieri erano colpiti, ma lo squadrone ritornava alla carica a fronte inverso.
In quel momento il comando del Reggimento inviava il 4° Squadrone appiedato, comandato dal capitano Silvano Abba, in un attacco frontale per alleggerire l’impegno del 2° Squadrone che aveva ormai esaurito l’impeto della carica e il suo effetto sorpresa.
I russi, in buona parte, si sbandavano, ma comunque ancora tenevano il terreno e provocavano sensibili perdite fra le file dei cavalieri italiani che continuavano l’attacco.
Veniva, allora, ordinata al 3° Squadrone a cavallo, comandato dal capitano Francesco Marchio, una carica frontale.
Lo squadrone, superando il 4° Squadrone appiedato, irrompeva sul campo di battaglia nel mezzo del fronte sovietico, che intensificava la reazione, ma i cavalieri rimasero compatti fino a travolgere lo schieramento nemico.
Secondo le testimonianze, i cavalli galoppavano furiosamente, talvolta pur feriti o scossi, mentre i cavalieri sciabolavano e sparavano coraggiosamente in mezzo ai russi in evidente difficoltà.
Con alcune ulteriori cariche la resistenza dei sovietici cessava, nonostante il soverchiante numero dei mezzi bellici e dei soldati, sconvolti e terrorizzati dall’improvvisa e violenta reazione della cavalleria italiana.
Il bilancio delle perdite, pur doloroso, fu contenuto, da un punto di vista militare: 32 cavalieri morti (dei quali 3 ufficiali) e 52 feriti (dei quali 5 ufficiali), un centinaio di cavalli fuori combattimento.
I sovietici lasciano sul campo 250 morti e accusarono 300 feriti e 500 prigionieri, oltre ad una cospicua mole di armi (decine di mitragliatrici e mortai, svariate centinaia di fucili e mitra).
L’azione, coraggiosa quanto audace, aveva portato, soprattutto all’allentamento della pressione dell’offensiva russa sul fronte del Don ed aveva consentito il riordino delle posizioni italiane, salvando migliaia di soldati dall’accerchiamento.
Il Reggimento ebbe la medaglia d’oro allo stendardo, furono concesse due medaglie d’oro alla memoria, due ordini militari di Savoia, 54 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo, 49 croci di guerra, diverse promozioni per merito di guerra sul campo.

La carica di Isbuschenskij ebbe subito una vasta eco, destando ammirazione anche fra i tedeschi alleati ed i nemici sovietici. Un ufficiale tedesco commentò: “noi tali cose non le sappiamo più fare!” e certamente non si può dire che l’alleato sia stato eccessivo nelle lodi visto che raramente ha sottolineato una positiva condotta delle truppe italiane.
In Italia suscitò vero e proprio entusiasmo, con articoli sulla stampa ed ampie cronache nei cinegiornali Luce.
Gli Italiani, furono informati dei fatti di Isbuscenskij solo alcuni giorni dopo, quando la notizia fu ripresa dalla stampa e immortalata dal famoso disegnatore Achille Beltrame sulla prima pagina della Domenica del Corriere. I bollettini, che di giorno in giorno tenevano la popolazione al corrente dell’andamento della guerra, non facevano infatti cenno al fronte russo, poiché le unità impegnate della steppa erano considerate alle dipendenze dei tedeschi. A dare ulteriore risalto all’impresa del Savoia fu una troupe del Film Luce, giunta a Papoff, dove nel frattempo si era acquartierato il Reggimento, il 6 ottobre.
I filmati che ci sono pervenuti della leggendaria carica furono in realtà il risultato di riprese ottenute in quei giorni facendo sfilare alcuni cavalieri, che fra l’altro vi si prestarono malvolentieri nel più che fondato timore di sfiancare ulteriormente i già provati destrieri.
Alla data dell’armistizio ( 8 settembre 1943 ) il Reggimento si trovava a Castelsampietro, in Emilia.
Dagli eventi che seguirono il generale Barbò morì nel lager di Flossemberg e il tenente Vannetti trovò un eroica morte in una disperata carica contro i panzer tedeschi durante la difesa di Roma.

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