La discussione è interessantissima! Questa parte però non l'ho capita. Chi accerchia chi? Chi ricatta chi? Non ho ben chiaro quale fosse la situazione interna della Germania, ma mi pare che gli altri Stati coevi avessero problemi ben più grandi (sia Francia sia Italia avevano rischiato il colpo di Stato con Boulange e Pelloux) della tutto sommato tranquilla Germania.
in germania il complesso dell'accerchiamento è simile a quello delle francia contro gli asburgo: il loro terrore era di essere attaccati su due fronti, ad est i russi e ad ovest i francesi. Questo terrore non era del tutto immotivato: la germania difetta totalmente di barriere naturali, e una guerra difensiva sarebbe quasi impossibile da sostenere. Per questo quasi tutti credevano che una guerra offensiva e repentina fosse l'unica soluzione. Credo sia questo il motivo per cui la germania abbia, alla fine, attaccato: posto che nel '14 la guerra era inevitabile, e che molti nell'elite tedesca ne erano (quasi) consapevoli. A questo punto tra l'essere aggrediti e l'aggredire hanno preferito quest'ultima opzione.
terrore che non era del tutto immotivato,anche dal fatto che la francia finanziava la russia per il miglioramento della reta ferroviaria che avrebbe senza dubbio permesso una mobilitazione più rapida in caso di guerra,quindi con il passare del tempo miglioravano anche le condizioni e la risposta in caso di guerra da parte russa.I piani tedeschi come si sa dipendevano da una rapida offensiva ad occidente per poi poter dispiegare le proprie divisioni ad est,l'ambiguità tedesca ,e le garanzie date agli asburgo alla fine hanno contribuito ad accellerare i tempi e a determinare la caduta degli stessi imperi che hanno contribuito ad innescare le condizioni per la guerra.Direi che se la germania da parte sua ha favorito con il suo comportamento la presa di posizione austrica dall'altra parte anche la russia ha messo del suo con la serbia, garantendo da un lato la sua protezione senza,però richiedere alcun impegno per quello che riguardava gli attentati dei gruppi terroristici serbi.Direi che un insieme enorme di cause e di comportamenti delle grandi potenze contribui ad innescare la miccia,l'attentato a francesco ferdinando fu solo un evento di contorno,intorno al quale si ricamò per arrivare ad una resa dei conti con serbia,ma le conseguenze furono poi drammaticamente note.
Tempo fa, sempre in questo forum, ci fu una discussione simile a questa, con dati portati da un utente (perdonate ma non rammento chi) che provavano come, dal punto di vista dell'impegno militare, la GErmania fosse ben al di sotto dell'Intesa. Ora, la Germania si sentiva in crisi e il senso di accerchiamento derivava da questa crisi. Non dobbiamo pensarlo solo in termini militari (che era come lo pensava il General Staff) ma, in senso più ampio, anche in termini politici, culturali ed economici. UNa percezione di pericolo forse immotivata, a valutare le cose oggi, ma in ogni caso presente all'epoca. Solo alcuni elementi a caso. La crisi finanziaria: mancano capitali; tutte le risorse necessarie per l'industria sono fuori dai confini e nelle mani di altri che, in linea di principio, potrebbero privarne la Germania (pensiamo, tanto per fareun esempio, al caucciù necessario per le guarnizioni dei motori); la Germania non è autosufficiente dal punto di vista alimentare; la concorrenza estera si avvantaggia di colonie e di flotte potenti; l'accesso al mare tedesco è facilmetne isolabile... Il sistema di alleanze, poi, la vedeva accerchiata da due lati. E' chiaro: l'alleanza franco-russa era difensiva ed erano stati sinora i TEdeschi a creare problemi in Europa ma è anche chiaro che un'alleanza difensifa, a guardarla da un'altra parte, somiglia moltissimo ad una offensiva. Francesi (ferma triennale) e Russi (ferrovie in Polonia) stanno potenziandosi militarmente. Questi "periocoli" e "ricatti" (che tali non sono, sappiamo oggi) sono sbandierati per le esigenze di politica interna. Aggiungiamo il timore di sovvertimenti socialisti (internazionalisti = antinazionali). Non c'era un destino di guerra, però parecchie cose giocavano in quella direzione...
Quello che più giocava a favore della guerra era l'idea che con la guerra si potessero risolvere i problemi, veri o presunti. La guerra nacque da una spinta culturale che pervadeva l'Europa del tempo, le motivazioni geo-politiche senza la spinta culturale sarebbero state risolte diplomaticamente. Un esempio lampante è l'entrerà in guerra dell'Italia, a guerra iniziata potuto ottenere ciò che bramavamo, ossia il Veneto, mediante trattative diplomatiche, ma pressati dalla spinta culturale interventista non fummo così lucidi da comprenderlo e ci infilammo in una guerra non necessaria.
Riallacciandomi a questo ragionamento, perché l'Italia non entrò in guerra con gli imperi centrali per prendere una parte delle colonie degli sconfitti? Uno dei problemi atavici dell' economia italiana è sempre stata la penuria di materie prime (situazione simil tedesca), ma combattendo contro gli imperi centrali, che colonie avrebbe potuto ottenere? Forse il Camerun
L'Austria negò più e più volte anche il possesso del solo Trentino, figuriamoci dell'Istria. La Germania era disponibile a trattative, naturalmente tutti generosi con le terre degli altri, ma a memoria non ricordo una sola estensione di terre così grande ottenuta in cambio della neutralità. Motivi ufficiali: la Triplice era un'alleanza difensiva e fu l'Austria a dichiarare guerra per prima, inoltre erano stati traditi i patti che dovevano compensare ogni espansione austriaca nei Balcani con qualcosa all'Italia, come non era successo nel caso della Bosnia. Motivi profondi: l'Italia aveva visto assai meglio della Germania la situazione delle forze in campo, aveva detto e ridetto che non sarebbe mai scesa in campo contro il Regno Unito (contro cui la Germania entrò praticamente in guerra il 2 agosto) perché sapeva che anche unendosi alla flotta austriaca non sarebbero mai riusciti a combattere gli inglesi sul mare, vedendosi tagliati i collegamenti con le colonie (oltretutto più facili, in quanto desertici, da prendere rispetto a quelli tedeschi) ed esposte le lunghissime coste (con quasi tutte le città più importanti) ai bombardamenti inglesi, con in più l'isolamento commerciale mondiale.
Personalmente, ho sempre visto più l'Austria-Ungheria che la Germania come la grande potenza che ab initio ha cercato con determinazione una risoluzione militare della crisi, costi quel che costi. Certo, la Germania è stata a dir poco leggera o comunque poco attenta, nel prendersi quel rischio calcolato dell'appoggio all'Austria, ma c'è da dire che la scarsa capacità di rendersi conto che cosa si aveva di fronte non era prerogariva del solo impero guglielmino: la Gran Bretagna ha preso la decisione di entrare in guerra pensando che il suo impegno sarebbe stato essenzialmente navale (e ancora non si sapeva che coaa avrebbe fatto di preciso il BEF). Nella situazione schizofrenica, esemplificata dalla Germania, di una direzione politica che pensava di poter evitare la guerra, o che la guerra potesse essere limitata, e dei vertici militari che pianificavano per una guerra totale, il denominatore comune era la convinzione diffusa che la guerra potesse essere, in qualche modo, il minore dei mali. In analoghe situazioni schizofreniche più recenti, per esempio durante le crisi politiche dei primi decenni della guerra fredda (il primo SIOP era inflessibile quanto i piani di mobilitazione dello stato maggiore tedesco) ciò che ha costituito, a mio avviso, la differenza maggiore, era la consapevolezza del fatto che arebbe stato sempre e comunque un massacro inaccettabile anche per la fazione "vincitrice". D'altronde, anche se la decisione di entrare in guerra fu presa da un'élite ristretta e non dalla società civile nel suo complesso, l'entusiamo folle che pervase tutte le capitali europee alla notizia dello scoppio del conflitto non è spiegabile se non pensando che questa idea che sarebbe stata comunque 'na passeggiata de salute, come dicono a Roma, era endemicamente diffusa. P.S. Qualcuno può citarmi una fonte italiana per la notizia che Cadorna ebbe il placet del Re alla sua richiesta di inviare di tre Corpi d'Armata italiani sul Reno (a sostegno della Germania, naturalmente) il giorno stesso che il Governo rese pubblica la decisione di rimanere neutrali?
Infatti la guerra fu originata più da un fattore culturale che geo-politico. L'elite che spingeva più verso al guerra non era quella militare ma quella intellettuale.
L'Italia non entrò in guerra perché vi erano un mucchio di motivi, diversissimi, per non farlo. L'area giolittiana riteneva, a ragione in fondo, che l'Italia non disponesse delle risorse per una guerra e che, comunque, una guerra non fosse nel suo interesse. Gli industriali speravano di vendere (nel 14, l'anno dopo cambiarono parere) ad entrambi i contendenti; i socialisti erano contrari; non esistevano gruppi di pressione a favore; le volpi della real-politk, quali San Giuliano, pensavano di poter agguantare vantaggi _senza_la guerra (scatenendo le ire austriache: la Germani aveva alla fine suggerito all'Austria di promettere qualsiasi cosa, tanto _dopo la guerra_ le cose sarebbero cambiate! "Non so contro chi combattera questa guerra l'Austria ma so contro chi combatterà la prossima: l'Italia"). IN effetti il paese era spossato dalla guerra con la Turchia e dall'impegno militare in Libia. Poichè è nota la posizione di Giolitti in relazione alle colonie e poiché nessuno, ancora nel 1916, pensava che l'Impero austro-ungarico si sarebbe potuto dissolvere, non è affatto chiaro cosa avrebbe potuto ottenre l'Italia, se non qualcosa in TRentino-Friuli e nei Balcani. Qualcosa che, alla fine, si sarebbe davvero potuto avere diplomaticamente. Nessuno dotato di ragione, poi, avrebbe potuto pensare ad una guerra contro la GRan Bretagna! I soli a favore, nel '14, ma da una posizione di assoluto rispetto istituzionale, furono i militari: Pollio, secondo gli accordi, era pronto a inviare forze in Germania (forze su cui Moltke contava e non contava insieme) e fu firmato un accordo ferroviario con l'Austria. Alla morte di Pollio, filotedesco, ci fu una vacanza al vertice dell'esercito e non mi risulta che CAdorna, privo di particolari preferenze (e forse di preparazione geopolitica) chiese istruzioni, limitandosi, sino alla fine dell'anno, ad attenersi ai piani precedenti, salvo, nel caos diplomatico, evitare di insistere. Non mi risulta, cioé, la richiesta di un placet all'invio di corpi alla fine di luglio. Attenzione: quello dell'entusiasmo è un mito prodotto nel dopoguerra per scopi politico-retorici. A parte l'Italia, ove la guerra era sommamente impopolare e ci volle un colpo di stato per farla, il governo ungherese si sforzò fino alla fine di evitarla mentre a Berlino, e in GErmania, la maggioranza della popolazione mostrò rassegnazione e non entusiasmo. Le "folle" a favore erano assai ridotte, di composizione sociale assai ristretta. Illuminante è "The Spirit of 1914", di J. Verhey.
vero, ma se non c'era entusiasmo c'era comunque accondiscendenza: basti pensare che tra tutti i partiti socialisti solo quello italiano, in ambito parlamentare, votò contro un impegno militare (addirittura quello francese votò a favore!)
Questa ? http://www.netwargamingitalia.net/f...uenze-del-riarmo-delle-potenze-europee.20665/ Interessante anche il confronto economico http://www.netwargamingitalia.net/forum/threads/economie-e-guerra-ww1-ww2.24337/page-3
L'episodio da me citato è tratto da un'opera di Holger Herwig che, a sua volta, cita Army, state and society in Italy, 1870-1915 di John Gooch. Non avendone mai sentito parlare prima (a parte come ipotesi di Pollio negli anni precedenti alla guerra) mi chiedevo se qualcuno di voi avesse letto qualcosa in merito su fonti italiane. Forse è riduttivo ma io ho sempre pensato che Tisza si fosse dichiarato contro la guerra semplicemente perché temeva che la scontata vittoria e l'annessione di ulteriori regioni in Serbia o Galizia avrebbe costretto la duplice monarchia a diventare "triplice" (come era già nelle idee di molti) in quanto il peso della componente slava dell'impero sarebbe aumentato di molto. D'altro canto lo stesso Tisza, privatamente, si era sempre dichiarato a favore della necessità di dare una lezione ai serbi. Insomma, se gli ungheresi non volevano la guerra non mi sembra fosse per paura di perderla (o della guerra in sé). Siamo poi d'accordo sul fatto che molta storiografia recente abbia ridimensionato l'euforia pro-guerra degli inizi di agosto. Però, come faceva notare anche Sir Mattew, anche se i rumorosi interventisti erano presenti essenzialmente nelle grandi città, e non nelle aree rurali, se erano meno di quanto si potesse pensare (anche a giudicare dai calcoli reali sui numeri dei volontari di guerra rispetto a quanto riportato dalla propaganda dell'epoca) e se molti dei primi entisuasmi si raffreddarono subito, mi sembra sensato dire che le élite politiche ed intellettuali europee erano largamente favorevoli alla guerra (o, comunque, non si disperavano per essa). Non solo in Francia, come detto, ma persino in Germania la SPD (partito di maggioranza relativa!) votò all'unanimità in favore dei crediti di guerra! Unica voce fuori dal coro, Liebknecht, che, comunque, si piegò alla disciplina di partito. La Seconda Internazionale non morì dopo la Rivoluzione d'Ottobre ma attuò un suicidio politico già nell'agosto del '14.
Parliamo di cose diverse. La questione iniziale era quella dell'entusiasmo _prima_ della guerra: questo è il mito delle radiose giornate di luglio e agosto. Diversa questione è quella della capacità del nazionalismo di coinvolgere tutti nello sforzo. I socialisti tedeschi si lasciarono convincere dal terrore dei cavalli cosacchi a Berlino (consideriamo che in quel periodo l'impero russo era considerato il bastione della reazione e i socialisti erano anti-russi anche per questo motivo). Quelli francesi semplicemente si trovarono privi della possibilità di scelta una volta che la FRancia venne travolta dalla guerra senza nemmeno aver potuto dibattere la questione. Altra cosa, ancora, è quella della cultura delle elites culturali, effettivamente pronte ad accettare (o addirittura desideranti) una guerra (tranne che nel caso inglese). Tranne che in Germania, però, queste elites non avevano un diretto ruolo politico, quindi offrirono un sostegno su cui poter contare ma non una spinta attiva. Questo anche nel caso dell'Italia.
Qualcuno di pacifista tra i Socialisti francesi c'era comunque: non dimentichiamoci del povero Jaurès.
Vero in gran parre dei paesi le elite culturali non avevano rappresentanza politica diretta, controllavano però indirettamente quella che era l'opinione pubblica del tempo, attraverso i giornali, e quindi facevano pressione indiretta sulla politica.