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[TFH AAR] Hohenhain's finest hour

Discussione in 'Le vostre esperienze' iniziata da Purfa, 10 Ottobre 2012.

  1. Purfa

    Purfa

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    CAPITOLO PRIMO: LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA


    11 Novembre 1918



    “L’ultima salva d’artiglieria, poi il silenzio. E’ finita. L’incubo è finito.”

    Queste parole scriveva il capitano Hans von Hohenhain il giorno del Signore 11 Novembre 1918. Finalmente non bisognava più svegliarsi ogni due ore di sonno; non si doveva più odorare quel lezzo di morte che avviluppava ad ogni ora le trincee; non si combatteva più.

    Hans pensava che sarebbe stato felice quando finalmente l’obice avrebbe taciuto, e invece riusciva a pensare solo a tutto quello che aveva perso. Suo padre Friderick era stato fulminato da un cecchino ad Ypres due anni prima e il suo fratello maggiore, Ludwig, morì assaltando le posizioni francesi di Verdun. Ma, ciò che era peggio, la Germania aveva perso la guerra e l’Imperatore era fuggito…

    I von Hohenhain erano stati una delle prime famiglie a mettersi al servizio degli Hohenzollern, già nel lontano 1358: originari di Siegmaringen, per tutta la loro storia furono una tra le principali dinastie aristocratiche della storia tedesca. Convertitesi al protestantesimo insieme al loro signore, erano sempre stati tra i più alti ufficiali del Regno di Prussia e dell’Impero Tedesco. Prima della guerra, il ramo principale degli Hohenhain era nel fiore del suo splendore: Frederick si sposò nel 1889 con Aida de Curtis, nobildonna italiana, e da lei ebbe nove figli:

    - Ludwig nel 1891
    - Lucas e Wilhelm nel 1892
    - Erwin nel 1893
    - Franz Joseph nel 1894
    - Margherita e Maria nel 1896
    - Hans ed Eugen nel 1897

    Come da tradizione tutti i figli maschi, raggiunta l’età, andarono a servire tra gli ufficiali del Kaiser e mantennero alto l’onore della famiglia in guerra. A Wilhelm venne assegnata la Blue Max per il suo servizio al fianco del Barone Rosso, Frederick divenne cavaliere dell’ordine dell’Aquila Nera e a tutti gli altri venne conferita la Croce di Ferro per meriti in battaglia. Addirittura Erwin si meritò un encomio ufficiale del Kaiser per il suo eroico comportamento nella battaglia dello Jutland, dove con un incrociatore fece affondare una vecchia corazzata inglese e tre cacciatorpediniere.

    Ma questo non aveva più importanza, né per Hans, né per ogni altro suo fratello e sorella. La guerra era persa e il Kaiser fuggito. Erwin addirittura tentò il suicidio prima di venire fermato dalla sua truppa.


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    Una foto di Friderick von Hohenhain coi suoi uomini


    23 Dicembre 1918



    A Natale tutta la famiglia doveva riunirsi alla tenuta di famiglia, in Pomerania. I sei ufficiali stavano tornando a casa grazie ad un permesso straordinario; guidando la sua Skoda, Franz discorreva delle rivolte di strada di quei giorni con Lucas ed Erwin, mentre Wilhelm fumava beatamente il suo buon sigaro, ammorbando l’aria con quella tremenda puzza tanto odiata dai fratelli. Solamente Hans ed Eugen se ne stavano silenziosi, rimuginando ognuno in cuor suo tutto quello che era loro accaduto.
    L’automobile ruspava sulla strada come un cavallo nella mischia. Lì, nella loro natia Pomerania, le strade erano ancora lastricate, l’asfalto un nero presagio del futuro. Le foreste di quell’angolo di Baltico scorrevano ai loro lati senza che nessuno, tranne i due pensierosi, ci facesse caso. “Pino, dopo pino, dopo pino” mormorava tra i denti Hans, pensando alla sua storia di famiglia, dove ogni generazione aveva sempre seguito l’esempio della precedente. – Oe! – lo scosse Wilhelm, sempre spiritoso – Che mormori fratellino? Non sarà che cominci a dire il rosario come i bavaresi? -. Tra gli sghignazzi dei maggiori, il suo gemello Eugen sapeva a cosa stava pensando il deriso: anche lui ci rimuginava da diversi chilometri. – Lasciatelo stare signori, è solo un po’ pensieroso. Piuttosto, che faremo ora, senza padre, imperatore e con la Germania allo sfascio? – Nessuno osò rispondere a quella domanda.
    Dopo quattro ore di viaggio finalmente arrivarono a destinazione: al termine della via c’era la magione di famiglia, una villa padronale di metà ottocento di fine stile neogotico, rammodernata sul finire del secolo con tutte le moderne tecnologie. Erano le sette di sera quando giunsero di fronte al cancello, bagnato nella tiepida luce delle lampadine elettriche. Le guglie e le aguzze punte delle inferriate gettavano una tetra ombra sulla guardina dell’entrata, come a minacciare chiunque s’avvicinasse. – Bentornati signori! Vostra madre era in pensiero! – Li accolse Ruben, il portinaio, un arzillo vecchietto della Prussia Occidentale che li aveva visti crescere sin dalla culla. – Grazie Ruben, finalmente siamo arrivati. Avvisa all’interno intanto che noi portiamo la macchina nella stalla. – La macchina filava lungo il vialetto facendo frinire la ghiaia come mille grilli, mascherando i borbottii degli uomini al suo interno che tentavano di ridarsi un contegno. – Speriamo che la mamma non sia ancora devastata come l’ultima volta che l’ho vista – disse Wilhelm, l’aviatore. – Non ci sperare, dalle lettere che mi ha mandato Margherita pare che ancora sia molto abbattuta… - gli rispose Erwin, il capitano d’incrociatore. Le previsioni dell’ultimo si avverarono.

    - Dopo cinque anni, finalmente ci ritroviamo tutti insieme – singhiozzò commossa Aida vedendo entrare dall’atrio i suoi maschi. – Madre, non piangere. – rispose Eugen in italiano, abbracciandola – Tutto è finito, i tuoi figli sono con te. – Ma non c’è vostro padre, né Ludwig. – Con queste parole versò le prime lacrime. In quel momento giunsero le due gemelle, Margherita e Maria, due bellissime ragazze, simili come gocce d’acqua. Maria subito prese la madre da parte, mentre Margherita disse – Fratelli, non è questo il luogo per parlare, sull’entrata di casa come mendicanti o ladri. Andiamo tutti nella biblioteca, prima di cenare, così che potremo allietare il vostro ritorno e magari calmare la mamma. – Tutti quanti allora si diressero lungo il corridoio del pianterreno verso la scalinata di quercia che conduceva di sopra. Lungo i loro fianchi scorrevano i ritratti di tutti i loro antenati capifamiglia, come Franz von Hohenhausen, l’eroe di Rossbach, o Konrad, il capostipite della famiglia. Scorrevano le mani dei giovani Junker sui corrimano intarsiati della scalinata, mentre i servi di passaggio si inchinavano di fronte ai signori che tornavano a casa. Il lucido pavimento di parquet rifletteva i loro vestiti quasi come uno specchio. – Spero che a cena abbiate invitato anche le nostre mogli – disse Erwin a Margherita – Certo, non mi potrei mai dimenticare della bisbetica che t’ha sposato – lo canzonò lei, tentando di risollevare il morale della truppa – Meglio così, almeno potremo discorrere d’altro che della guerra. –
    - E io che dovrei dire? – sbraitò Hans, lo scapolo d’oro – Tu infatti devi far silenzio perché non hai neanche un’amante! – gli rispose scherzando Wilhelm. – Lasciamo stare questi discorsi ragazzi, e pensate a consolare vostra madre – Li zittì Lucas, serio come al solito.

    Giunti in biblioteca, trovarono Aida seduta sulla poltrona di suo marito, con la testa buttata sul capotasto del pianoforte che Maria stava preparando. Quando tutti si misero a sedere, le due ragazze intonarono il Sogno d’Amore (Liebestraum) di Liszt, l’una col piano e l’altra col violoncello. Quelle eteree note fecero volare gli spiriti di quegli uomini verso l’empireo, permettendo loro di dimenticare le stanchezze del viaggio e i tristi pensieri. Solo Aida non riusciva ancora a trovar pace, mormorando a labbra strette il nome di suo marito e di suo figlio. Vedendo la madre in quello stato, subito Hans fece portare del vino d’Italia e Wilhelm organizzò con gli altri un piccolo complesso da camera; a tutti i von Hohenhain infatti veniva insegnato almeno uno strumento, e così saltarono fuori tre violini, una viola, un clarinetto e un flauto. Tutti insieme arrangiarono Tristesse di Chopin, poi l’Ein Klein di Mozart, poi ancora il Trepak di Tchaikovsky, ma niente, Aida non si riprendeva. Allora a Lucas, il genio di famiglia e colonnello di cavalleria, venne l’idea di suonare Verdi. Quando udì le note della marcia trionfale dell’Aida, solo allora Aida si riscosse. “Gloria all’Egitto, ad Iside che il sacro suol protegge!” attaccò la madre con la sua famosa voce da soprano, che l’aveva resa famosa in tutta l’Europa “Al Re che il delta regge inni festosi alziam!”

    - Figli miei, vi ringrazio. Quanto mi erano mancati questi nostri concerti! – disse Aida alla fine - Non avremo più tra noi l’arpa di vostro padre e la tromba di Ludwig, ma rimaniamo sempre la migliore banda di tutta l’Impero! - Gli uomini si guardarono negli occhi a vicenda, pensando alla fuga di Guglielmo II, ma decisero di non correggere la madre, per amor suo e del Kaiser. – Ma ora mia prole, è l’ora di fare la pace, l’ora che torniamo a godere dei frutti del nostro lavoro e dell’amore fraterno. -
    - Signora Aida – entrò in quel momento il maggiordomo Temistocle, un milanese di cinquant’anni il quale ricordava vagamente un topo per il suo aspetto, ma che in realtà era il più fedele e astuto servitore della famiglia – Mia signora, sono arrivate le consorti dei vostri figli. Le devo far attendere che terminiate? – Gli rispose subito Aida, un po’ allegra per via del vino e delle note – Falle subito accomodare a tavola! – Poi ai suoi figli – Pargoli miei, riprenderemo domani queste nostre feste, ora andiamo tutti a mangiare! Edoardo (il cuoco) ha preparato le melanzane alla parmigiana e non voglio farvele pregustare oltre! –

    E così partirono per la cena.


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    Ludwig von Hohenhain nella sua ultima fotografia
     
  4. Pinky

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    *coff* Assomiglia incredibilmente a von Stauffberg *coff
     
  5. Purfa

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    Chi sarebbe von Stauffberg?
     
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    Mai sentito l'attentato bombarolo del luglio 44?
     
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    Si, ma che c'entra scusa?

    Edit: AAAAAAAAAAAAAAH xDDDD ci sono arrivato ora, abbi pietà di me. Ho selezionato un bel viso da destinare ad un morto, quindi neanche ci ho pensato a di chi era la foto :lol:
     
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    Ti seguo! ;)
     
  9. Purfa

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    CAPITOLO SECONDO: MATRIMONIO SULLE CENERI



    26 Aprile 1919, nei pressi di Monaco di Baviera


    - Maledetti comunisti! – esclamò Lucas gettando all’aria il rapporto che stava leggendo – Non bastava scatenare una guerra civile con la Patria a brandelli, devono pure farci perdere il matrimonio di Marghe e Maria! –
    Venti giorni prima infatti, il KPD, il Partito Comunista della Germania, aveva dichiarato la nascita della Repubblica Sovietica di Baviera, scatenando la guerra di classe in Germania.
    - Fratello, non possiamo farci niente. Questi pazzi farebbero di tutto e noi siamo qui per impedirglielo. – lo rimbeccò Franz, i capelli biondi che gli cadevano sulla fronte chinata a studiare la mappa della città – Vieni qua –
    - Che c’è? – gli rispose bruscamente Lucas – Non è perché adesso sei stato promosso capitano che mi puoi dare ordini! – Non essere così scontroso fratello. Prima schiacciamo questi rivoltosi e prima torneremo a casa – gli rispose. I due si sederono al tavolo dove era stesa la planimetria della città, tentando di concentrarsi in mezzo al pandemonio in cui si trovava il posto di comando dellla Reichswehr di Dachau. A pochi chilometri si combatteva strada per strada con la baionetta inestata, da un lato i rivoltosi rossi e dall’altro i corpi franchi e la Reichswehr. Nessuno dei contendenti mostrava pietà, neanche verso i prigionieri. Anche le donne rosse imbracciavano il fucile in nome della Rivoluzione, poco prima di venir fulminate dalle truppe veterane della XXXIII brigata di fanteria di cui Lucas era a capo, il più giovane tra i generali tedeschi.

    - Generale! – irruppe in quel momento un soldato nel comando – I comunisti stanno tentando un contrattacco sulla Kaiserplatz! – I due fratelli incrociarono gli sguardi – Franz, vai a prendere il comando di quegli uomini. Non fartene scappare uno. – Agli ordini, signore! -.
    “Che brav’uomo, freddo, intelligente, tenace e di buon sangue. Avrò un gran bel concorrente!” pensò il severo Lucas, vedendo suo fratello partire al galoppo sul suo amato destriero Immial “E pensare che quelle due paperelle finalmente verranno impalmate… Peccato che Braun sia un plebeo, e per di più socialista! Ma la mamma non mi vuole ascoltare, dice che diventerà un grand’uomo. Bah! E’ nato e resterà sempre un borghesuccio alla ricerca di potere!”


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    Lucas von Hohenhain


    28 Aprile 1919, Cattedrale di San Edvige, Berlino​



    Tutto era pronto per il matrimonio delle due rampolle von Hohenhain. La chiesa era stata addobbata a puntino: fiori pendenti dai lapadari, valletti in uniforme ai lati dell’altare, trapuntine di pizzo intrecciate con dei dolci gigli sporgevano ai lati di ogni bancone. Tutti gli invitati indossavano i loro abiti migliori, gli uomini con bastone e tuba, le donne con ampie gonne e cappellini che spaziavano dal pacchiano al ridicolo. Aida de Curtis sedeva al primo banco, parlando col padre di uno dei futuri generi, e tutto il resto delle famiglie sedeva nelle prime file. Beh, tutti tranne i militari non in permesso, cioè metà dei Von Hohenhain.
    L’organista stava facendo riscaldare le voci del coro, mentre tutti quanti parlavano della KPD e della Conferenza di Versailles. Tutto era al suo posto, ogni mano pronta al segno della croce, ogni uomo pronto ad addormentarsi e ogni donna a commuoversi.

    Mancavano solo le spose. Dieci minuti di ritardo. Venti. Mezzora. Un’ora. “Dove sono finite quelle due!?!?!” si spazientiva Aida “Manderanno tutto all’aria!” – Ekeiar! – chiamò l’italiana il cognato – Correte a cercare le spose! –
    L’uomo non fece in tempo ad uscire dalla chiesa che arrivò la carrozza con le due donne. Una alla volta, scesero le scalette con grazia, volgendo un tiepido saluto al cocchiere, Jan, un polacco di Stettino. Le aiutava a scendere Hans, lo scapolone di famiglia, tendendo loro la mano per mantenerle in equilibrio. Fuori tirava un forte vento che scompigliava i bruni capelli dell’uomo, ma nulla poteva intaccare la bellezza di quelle due dame: i capelli color dell’oro erano nascosti dal velo nunziale, lasciando intravedere i loro visi raggianti. Gli abiti bianchi erano quanto di più sontuoso potesse sognare un nobile: seta cinese tagliata e cucita a Milano, intarsiata di filigrana d’argento ed oro. Piccoli cristalli splendevano lungo le maniche e le gonne, facendo brillare quelle figure come due dee; lo strascico al contrario non era molto lungo, preferendo le due donne avere pochi valletti: solo cinque metri.
    Appena posarono i piedi in terra, spuntarono fuori dai lati dell’entrata otto bambini di grigio vestiti che si contesero subito i veli delle spose. Una volta pronte, le due, tenute sottobraccio da Hans, entrarono in chiesa con passo studiatamente lento. Subito la corale attaccò la marcia nunziale, appoggiata dal canto degli stonati invitati. Tutta l’attenzione della migliore società tedesca era dedicata a quelle tre persone.


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    Hans von Hohenhain

    I due sposi si girarono in quell’istante e in loro si potè riconoscere i visi di due uomini completamente diversi: l’uno era il prussiano deputato della Repubblica Otto Braun, uomo tra i più importanti nell’SPD, il partito social democratico tedesco, e l’altro era Erwin Rommel, l’eroe di Caporetto, il più giovane uomo ad essere decorato della Blauer Max, uno dei più promettenti ufficiali dell’esercito tedesco. Dopo un lungo fidanzamento finalmente i due sposi avevano ottenuto il permesso di Aida di sposarsi. – Ma dove erano finite quelle scapestrate? – sussurrò il politico – E io che ne so? Mah, speriamo che la funzione non duri troppo – gli rispose il graduato. Come si sbagliava.

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    Erwin Rommel, quindici anni dopo

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    Otto Braun

    Dopo due interminabili ore, finalmente Rommel si vide arrivare il vescovo davanti: - Vuoi tu Erwin Rommel prendere come tua sposa… - aveva smesso di ascoltarlo sulla “sposa” – Si, lo voglio – rispose convinto. – E tu, Margherita von Hohenhain, vuoi… - Dopo aver chiesto a tutti e quattro gli sposi, il porporato riprese – Dunque, se nessuno ha da obiettare, io… - Non potè finire la frase.

    - Obiezione, eccellenza! – si udì echeggiare per le pareti della chiesa, così simile al Pantheon di Roma. Tutti si tesero scandalizzati verso la seconda fila, dove un bruno trentenne aveva detto le fatidiche parole. – Prima le spose devo baciarle io! – Terminò lo spiritoso Wilhelm von Hohenhain, sostenendo lo sguardo carico di istinto omicida della madre. Tutta la cattedrale esplose in una fragorosa risata. – Obiezione respinta – rispose lo sdegnato vescovo – Quindi, se non ci sono altri spiritosi nella Casa del Signore – si udivano solo gli sghignazzi di Wilhelm ed Hans – vi dichiaro mariti e mogli. L’uomo non separi ciò che Dio ha unito! Potete baciare le spose –

    La folla scoppiò in visibilio, un atteggiamento che fece innervosire il clero sull’altare, ma che era ben giustificato dal rango e dalla bellezza degli sposi. Aida era l’unica a non applaudire, troppo impegnata a dare calci negli stinchi ai due figli. La pace aveva veramente ridato un po’ della tranquillità d’un tempo. Ma l’idillio della cattedrale non era altro che una pia illusione della situazione tedesca. Un mese dopo, la delegazione germanica a Versailles si trovò nella sala degli specchi di fronte ai vincitori…

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    Maria e Margherita von Hohenhain

    28 Giugno 1919, Francoforte sul Meno​



    - COS’E’ QUESTO?!?!? MA COSA DIAVOLO E’ QUESTO?!?!?! – Un urlo aveva scosso l’aeroporto militare di Francoforte. Wilhelm von Hohenhain aveva appena scoperto le condizioni del trattato di pace, e che lui avrebbe di conseguenza perso il suo aereo.

    Mai ci fu pace più distruttiva nella storia tedesca: non solo la Germania perse gran parte dei suoi territori, molti dei quali a maggioranza tedesca; non solo doveva pagare delle inimmaginabili riparazioni di guerra; no, non bastava. Doveva riconoscersi come l’unica nazione colpevole d’aver scatenato la guerra, doveva smilitarizzare la Renania, doveva ridurre il suo esercito a centomila uomini, non poteva costruire i più moderni armamenti, doveva rinunciare alla monarchia. Ma, peggio di tutto per Wilhelm, doveva privarsi di tutti i suoi aerei da guerra.

    Alcuni dicono che sia da quel momento che abbia cominciato a perdere tutti i suoi capelli. Altri dicono che sia stato per la pena di non poter più fare acrobazie in aria. Fatto sta che da lì a un anno, Wilhelm non portò più un singolo capello in testa. E la cosa bella era che lui stesso ci scherzava per primo. Ma il resto dei tedeschi non riuscirono a riprendersi in fretta come lui…


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    Wilhelm von Hohenhain
     
  10. Pinky

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    Bellissimo :approved:
    Però vogliamo più azione
    Ps. È IMPERATIVO farci vedere le mappette di TFH con i piani disegnati
     
  11. Purfa

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    L'azione l'avrai, e poi come! Per quanto riguarda le mappette, a tempo debito, quando comincerà il gioco vero e proprio :)
     
  12. archita

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    Che donna!
     
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    CAPITOLO III: UNA PACE CHE NON VUOLE ARRIVARE​



    30 Dicembre 1922, Reichstag, Berlino​



    Chi in questi giorni chiama “bolgia” la situazione in alcune parti d’Europa, di sicuro non ha vissuto nella Germania degli anni ’20. Avrebbe potuto benissimo confermarvelo Lucas, ormai diventato il capofamiglia dei Von Hohenhain, che da un’anno sedeva nel Reichstag pur continuando ad essere un Generale. Mai un parlamento sarebbe riuscito a rappresentare meglio la situazione d’una nazione che quello seduto su quei banchi: da un lato i falchi del DNVP, il partito nazionalista tedesco tra le cui file stava Lucas, dall’altro i comunisti del KPD, in lotta col mondo e tra loro stessi. Nel mezzo ciò che rimaneva dei social democratici e dei liberali, due forze che apparentemente non riuscivano ad arginare la straripanza dei bolscevici e dei nazionalisti da ambo i lati. Se non ci fosse stata la polizia a sorvegliare le entrate, probabilmente i deputati sarebbero venuti pure armati, soprattutto dopo che era scoppiata la “situazione” ad occidente.

    “Già, proprio una brutta situazione” stava pensando Lucas, deliberatamente ignorando l’arringa d’un collega comunista. I francesi e i belgi, non paghi della devastazione che il Trattato aveva gettato sulla Germania, tre giorni prima avevano oltrepassato il confine ed occupato la regioni carbonifere della Ruhr e della Renania. I mangiarane francesi, come li si chiamava per le vie di Berlino, pretendevano che gli operai e i minatori tedeschi lavorassero gratuitamente per compensare i debiti di guerra cui la Germania non riusciva a far fronte, e a sentire le follie sbraitate da destra e sinistra, sembrava che si stesse per ripetere la continua guerra civile dei tre anni precedenti. “Non ora. Non potemus.” Lucas era indignato tanto dai magiarane quanto dalla propaganda del KPD, e non riuscì a trattenere la sua irruenza – Per grazia di Dio, fatelo smettere! – urlò nel bel mezzo del discorso del comunista. – Perchè, di colpo a qualcuno di voi è venuta una buona idea? – rispose l’insultato dall’opposto del parlamento. Fu allora che Lucas perse completamente la pazienza.
    - No, onorevole Veobachter! No, siamo sempre gli stessi che otto anni fa sono andati a combattere là dove quelli della sua risma si rifutavano d’andare! Noi siamo stati lì, per quattro lunghissimi anni, a veder morire il fiore della nostra nazione e anche noi stessi! Io ho perso molti parenti, un padre e un fratello sul fronte, e quantialtri tra noi non possono dire la stessa cosa? – chiese il nobile rivolgendosi all’intera aula. Qualcuno borbottò un timido assenso, altri bisbigliarono tra loro, ma quasi tutti erano silenziosi: volevano vedere dove andava a parare lo Junker. – Signori miei, tutti sapete chi sono e quello che ho fatto. Tutti sapete quale tributo di sangue abbiamo versato noi von Hohenhain. Ebbene, ora cosa sentono le mie orecchie? “Difendere il suolo della patria tedesca da ogni invasore!” “Difendere gli operai dai loro sfruttatori, tedeschi o francesi che siano” “Combattere per l’onore della Germania”. Ma siete tutti impazziti? – Nessuno osò fiatare, tanto fermo era il tono di Lucas.
    - Ve lo ripeto, avete perso il senno? Non possiamo permetterci un’altra guerra! Non ora! E nemmeno una guerra civile! Sto dicendo a voi, con la fascia rossa al braccio! – sbraitò, indicando l’ala sinistra del Reichstag – Già troppo sangue giovane è stato versato e troppe volte abbiamo saltato il pasto. Ve lo ricordate cosa significava soffrire la fame? Ebbene, siete disposti a far subire ai tedeschi di nuovo quei dolori del diciotto? Mai! Tanto più ora che chi si è salvato a messo su famiglia, come me e molti di voi. Solo noi possiamo essere così pazzi da parlare di queste atrocità quando la Patria si lecca ancora le ferite! – Nessuno ormai badava più a quello che stava dicendo prima il comunista. Era da tempo che nessuno riusciva ad azzittire il Reichstag in quel modo. Persino il cancelliere Stresemann non leggeva più i rapporti passatigli dal ministro del tesoro. Von Papen, capo del partito nazionalista, aveva addirittura smesso di fumare il suo famoso sigaro.
    - Signori miei, per una volta mettiamoci d’accordo! Noi non vogliamo cedere alle richieste francesi, i liberali e i socialisti non vogliono la guerra, i comunisti vogliono combattere il capitalismo. E se voi, cancelliere, emetteste un decreto per far fermare la produzione? Non si può combattere i francesi, ma di sicuro nessuno di noi li vorrà aiutare! Facciamo la pace con noi stessi prima di essere costretti a rifarla coi francesi. – Lucas a quel punto si alzò, preparò la sua valigetta e prese la via d’uscita dal Reichstag. Il silenzio avvolgeva l’aula in quei secondi. Un battito di mani. Due. Un appaluso. Scrosci d’applausi! Anche qualche fischio! Tutta l’aula s’era alzata per applaudire l’uomo che se ne stava andando, inferocito come un leone. Beh, tutti tranne i comunisti, i quali si guardavano in faccia l’un l’altro senza proferire parola.

    Il giorno stesso Stresemann decretò la resistenza passiva degli operai all’occupazione francese e belga. Per mesi nessuno alzò un dito, tanto che i francesi dovettero far venire i loro a lavorare nelle ferme miniere di carbone.



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    Il Reichstag in sessione negli anni di Weimar


    18 Febbraio 1923, Marienplatz, Monaco di Baviera​



    Wilhelm e Franz stavano approfittando della bella serata per fare una passeggiata con le consorti nel centro di Monaco. Spirava infatti da sud un tiepido vento alpino che aveva fatto sciogliere un po’ della neve sui tetti delle case e anche il ghiaccio nei loro cuori: infatti i due ufficiali, entrambi congedati dopo il diktat di Versailles, non erano ancora riusciti a riprendersi dall’abbandono delle armi. Anzi, semmai erano arrabbiati ora più che mai: ce l’avevano coi francesi, cogli inglesi, cogli americani, coi comunisti, coi “traditori” che avevano firmato il trattato. Non riuscivano a trovare pace se non sul fondo d’un boccale di birra o nel letto delle mogli. E che mogli che erano le loro!

    Wilhelm aveva incontrato Marlene Dietrich sul set del primo cinema dove la bionda berlinese avrebbe recitato. Una donna di rara bellezza, forte nel carattere come nei modi, era un vero esempio di mascolinità! Pur più giovane di 9 anni di suo marito, i due s’amavano alla follia e si erano sposati l’anno prima, anche se Aida non approvò molto la decisione del figlio di ammogliarsi un’attrice. Marlene ormai era incinta di sei mesi, e i due la pensavano sempre più allo stesso modo.
    Franz invece aveva sposato una nobildonna ungherese, Agnes Esterhazy, membra di uno delle più importanti famiglie dell’ex impero austro-ungarico. Lei e il marito si erano incontrati prima della guerra ad un concerto e, dopo cinque anni di fidanzamento, si sposarono nel bel mezzo del conflitto. Ma la lontananza non aveva fatto altro che cementificare il loro sentimento: lui si era addirittura convertito al cattolicesimo per avere la sua mano, incontrando, al contrario di Wilhelm, l’entusiasmo di Aida. I due avevano già un figlio, Ludwig, e lei dava segni di essere di nuovo incinta.

    I quattro si stavano godendo quella tiepida sera d’inverno quando, passando davanti ad una birreria, videro dei manifesti strillare ai passanti che c’era un raduno del NSDAP, il partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi. – Andiamo a sentire cos’hanno da dire, in molti me ne hanno parlato bene! – disse Wilhelm, tirando per la mano Marlene – Dicono che vogliano far tornare la Germania a come era prima e combattere con ogni mezzo i comunisti! –
    I due si tirarono dietro Franz e Agnes, i quali invece erano un po’ reticenti di mischiarsi con la marmaglia che frequentava quel locale. Due ore dopo, finito d’ascoltare uno dei famosi discorsi di Adolf Hitler, uscirono dal locale ancor meno convinti di prima. Al contrario Wilhelm e Marlene sembravano in visibilio! Dovevate sentirli, avevano appena sentito per la prima volta quel piccolo austriaco e già ne tessevano le lodi! Doveva essere proprio una persona speciale per impressionarli così tanto...

    Quella sera, quando si stavano mettendo a letto, Agnes chiese al marito – Ma c’è da fidarsi di quell’Hitler? – Che intendi, luce mia? – gli chiese Franz chiudendo il Vangelo, che stava leggendo per addormentarsi – Intendo che sembra una persona geniale... e pericolosa. – Perchè? A me sembrava solamente un tipico anticomunista, per quanto brillante e carismatico – gli rispose lui. – No, era qualcosa di più. Mi sembrava un pangermanista che parlava del comunismo come del diavolo, dicendo poi che i lavoratori dovevano combattere per la Gemania e... – Basta! A quest’ora non si parla di politica! – la interruppe Franz, cingendola in un abbraccio e dandole un tenero bacio sulle labbra. – Ma Franz, non mi puoi interrompere così! Non è valido! – ridacchiò lei, come sempre affascinata dal marito, soprattutto quando era scortese con lei – E chi l’ha scritto il regolamento di questo gioco, cara? – gli chiese lui prima di ricominciare a darle baci sulle guancia e sul collo – In amore ed in guerra, non esistono regole! - E la situazione degenerò, come tutti potete immaginare.



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    L'allestimento di un tipico discorso di Hitler in quegli anni


    1 Settembre 1923, Residenza di Lucas von Hohenhain, Berlino​



    Il primo giorno di settembre era una tipica giornata berlinese, per quanto tipico potesse essere che per comprare una fila di pane ci volessero cinque milioni di marchi. I nuvoloni provenienti dal Mar del Nord stavano scaricando molta acqua sui tetti della città proprio quando chi ancora aveva un lavoro stava correndo per non arrivare in ritardo. Ma il problema del traffico non c’era, la benzina costava troppo per quasi tutti. “Almeno noi ce lo possiamo permettere” stava pensando Lucas, salendo sulla sua Porsche. – Alla Banca – comandò ad Arne, l’autista.

    Dall’inizio dell’anno Lucas aveva cominciato a lavorare alla Reichsbank, la banca centrale tedesca. Subito divenne l’assistente personale di Hjalmar Schacht, uno delle persone più importanti là dentro, il quale gl’aveva proposto l’incarico. Pur avendo idee diverse ed essendo di diverse partiti, i due andavano molto d’accordo e si poteva dire che fossero quasi amici. Non fosse stato per la mole di lavoro di quei giorni, avrebbero potuto andare a passare il finesettimana insieme sul Baltico, ma l’economia tedesca non poteva certo aspettarli. I due erano a capo del dipartimento per gli scambi con l’estero, e non potevano non notare con un certo orrore la parabola dell’inflazione. Se prima della guerra con dieci Pfenning ci si poteva comprare mezza dozzina d’uova, ora con un milione di marchi era tanto se riuscivi a strapparne quattro. I commercianti rivedevano ad ogni ora i loro prezzi, alzandoli per tenere il passo dell’inflazione.
    - E pensare che tutta questa fame è per pagare quegli schifosi mangiarane - borbottò Lucas, guardando dal finestrino le file davanti ai negozi di gente con borse piene di soldi. – Eggià signore. Ieri mia moglie mi raccontava che ha speso cinque milioni per farci far pranzo. E pensare che fino a due anni fa con cento marchi al giorno ti potevi ritenere ricco! – disse l’autista al suo passeggero – Ma voi signore state lavorando per risolvere questi problemi, e non vi sottovaluto se vi dico che ci riuscirete a breve! – Ti ringrazio, caro Arne, per le lodi – gli rispose Lucas, come sempre imbarazzato dai complimenti – ma la situazione non è così semplice. Con Schacht stiamo lavorando ad un piano per rimettere in carreggiata il marco, ma penso ci vorrà almeno un altro anno. E anticipo la tua domanda – riprese, quando vide Arne aprir bocca – dicendoti che si tratta d’una nuova moneta. Ma di più non posso rivelare, anche perchè è tutto in divenire in questi grigi giorni. – E più non parlò per il resto del viaggio.


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    L'andamento dell'inflazione tedesca in quei terribili anni


     
  15. Purfa

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    CAPITOLO IV: SALVATAGGI IN EXTREMIS​



    23 Ottobre 1923, Prinz Eugen Strasse, Amburgo



    Tirava un forte vento di tramontana e pioveva. Un tempo nient’affatto strano per Amburgo, anche perché erano diversi giorni che al largo di Heligoland si stavano addensando nuvoloni tempestosi. Lo sapeva bene Erwin von Hohenhain, cui da due anni era stato affidato il comando di un’intera squadra di cacciatorpediniere di stanza a Wilhelmshaven, uno dei più importanti porti della marina da guerra tedesca (Kriegsmarine). Non che questa fosse molto in attività dalla fine della guerra, anzi! Poche navi erano rimaste alla Germania dopo l’autoaffondamento della Hochseeflotte, la flotta d’alto mare, a Scapa Flow. Von Reuter, il comandante del gruppo tenuto in ostaggio dall’Intesa, scelse la via dell’onore e impedì che le navi tedesche venissero spartite tra i vincitori facendole autoaffondare. O almeno questo erano quello che pensavano i tedeschi. Comunque la Kriegsmarine era ormai l’ombra di quella di dieci anni prima: rimanevano due vecchie corazzate, la Schlewsig-Holstein e la Gneisenau, un incrociatore da battaglia e delle flottiglie di cacciatorpediniere.

    Anche Erwin era stato ridotto a poco più d’un’ombra dall’incalzare degli eventi: prima la fine della guerra, poi Versailles, poi la morte dell’amata moglie Ada. “Eh Ada…” sospirò l’ufficiale, seduto sul retro della macchina “La morte t’ha preso troppo giovane, cuore mio”. Ada di Baviera-Meclemburgo, la giovane sposa di Erwin, era infatti caduta vittima dei comunisti nel tentativo rivoluzionario del 1919: mentre stava visitando la sua famiglia a Monaco, Ada compì l’imprudenza di tentare la fuga in carrozza dal castello di famiglia, divenendo un facile bersaglio per i fucili dei rivoltosi. Il suo corpo crivellato venne tumulato due giorni dopo nella tomba di famiglia, con una cerimonia tenutasi in segreto per paura dei rossi. Da allora, Erwin aveva giurato odio eterno verso tutti i comunisti e cercava l’occasione di vendicare l’amata.

    La Mercedes, sapientemente guidata dall’attendente dell’ufficiale, correva per le vie della città vecchia, fermandosi solamente per far attraversare la strada ai pochi pedoni che osavano sfidare il nubifragio. Le gocce tamburellavano sempre più furiose contro i finestrini dell’auto, rombando come l’artiglieria. Ma ad un certo punto si sentì un rombo diverso, per la precisione una scarica di fucileria, che mise in allarme Erwin. – Accosta Johl! – urlò il biondo capitano, ma ormai era tardi. Un’altra sventagliata colpì l’auto, fulminando sul colpo l’autista. Con la macchina fuori controllo, Erwin saltò ai posti anteriori, cercando di evitare lo schianto con le case ai lati della strada. Buttò di lato il povero Johl, agguantando il volante abbandonato a se stesso, ma senza poter frenare peggiorò solo la situazione: la macchina fece un rapido scarto a destra, colpendo il marciapiede e cominciò a rotolare su se stessa. Il pover’uomo dentro, sbattuto come una sardina in scatola, riuscì solo a pensare “Ada, sto venendo da te”. Poi battè violentemente la testa contro il parabrezza e non vide più.

    Ad un certo punto una macchia bianca come il latte gli ferì la vista. Gli faceva provare un immenso fastidio quell’improvvisa sensazione. La macchia si avvicinava sempre di più, occupando in poco tempo tutto il campo della sua visuale; in quell’istante Erwin sentì una sensazione di bagnato sul viso, come se si fosse appena lavato la faccia. Tentò di respirare, ma aspirò in bocca solamente una sostanza dal sapore metallico. “E’ sangue” disse tra se. Una mera constatazione, come un medico che visita il paziente. “E’ SANGUE!” ripensò con sgomento, destandosi. Aprì gli occhi e si vide il mondo al contrario: guardò verso il basso e vedeva solamente il buio tempestoso delle nuvole, in alto il grigio del selciato cittadino. Tentò di rigirarsi, ma si accorse di essere bloccato: sopra di lui si stendeva l’esanime Johl, impedendogli ogni movimento. Provò a muovere un braccio, ma un urlo di dolore lo bloccò all’istante. Non riusciva più a muovelo! – AIUTO! – urlò allora con la poca aria rimasta nei polmoni dopo lo schianto.

    Continuò così per un minuto, prima d’accorgersi di quello che gli stava accadendo intorno: la gente si sparava per strada, da finestra a finestra! Alcuni uomini della polizia si stavano ritirando nella sua direzione, schiacciati dai numeri degli attaccanti. Girò la testa a destra e a manca, con la vista ancora appannata dal sangue. Vide alcune persone passare di corsa vicino a lui e allora Erwin ricominciò a chiamare. Un ragazzo, un biondino alto che avrà avuto vent’anni, si avvicinò all’ufficiale in difficoltà. Ma era strano, non stava più correndo. Pareva facesse una passeggiata di piacere, un sadico ghigno sulle labbra. Si piazzò proprio sopra la testa del malcapitato von Hohenhain, il quale ormai disperava della sua vita, e abbaiò – Nessuna pietà per i nemici del popolo! – Tese il suo fucile, mirando con studiata lentezza alla testa di Erwin.

    Neanche il tempo per una preghiera che uno sparo vicino fece vibrare l’aria. “Mamma” pensò con le ultime forze Erwin. Ma i secondi passavano e lui continuava a respirare. Aprì gli occhi che aveva involontariamente chiusi e vide la faccia del ragazzo di fianco alla sua, una presa d’aria sul cranio. Chi fu il suo salvatore non lo seppe mai, vide solamente un Freikorp, uno dei miliziani arruolati dal governo per tenere l’ordine, allontanarsi a gambe levate. Tentò di chiamarlo, ma quello non si degnò neanche di girarsi. Con infiniti sforzi, alla fine riuscì a svincolarsi da sotto il cadavere dell’autista e a rifugiarsi tra le file della polizia in ritirata. Il giorno dopo, col gesso al braccio, s’improvvisò tenente di fanteria guidando una compagnia di Freikorps contro i comunisti. La perla del Nordsee, il Mar del Nord, non sarebbe caduta in mano bolscevica con un von Hohenhain nei paraggi.


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    Gli scontri di piazza d'Amburgo erano su tutte le prime pagine


    12 Novembre 1923, Reichsbank, Berlino


    “Finalmente!” pensò Lucas von Hohenhain, entrando di corsa nella Banca Centrale tedesca. Stava appena tornando dall’ufficio del Presidente della Repubblica, Paul von Hindemburg, con la nomina di Hjalmar Schlacht a Governatore della Banca Centrale. Travolgendo sulla sua strada più d’un impiegato, fece di corsa le scale fino al terzo piano bussando alla porta della segretaria dell’amico. – Desidera signor von Hohenhain? – Sì, Gesine, devo parlare d’urgenza con Hjalmar – rispose trafelato il deputato. – Deve attendere signore, ha visite al momento – disse la segretaria con tono sarcastico. Lucas la fulminò con uno sguardo di ghiaccio e scandì chiaramente – Lo avverta che sto entrando, non m’interessa con chi si sta "intrallazzando" – D’accordo signore – incassò lei, abbassando lo sguardo. “ Ha capito l’antifona” mormorò lo stizzito Lucas.

    Due minuti dopo entrò nello studio di Hjalmar Schacht, il quale era evidentemente affaticato, come la signora che era uscita poco prima dalla porta. – Spero per te che tua moglie non ne sappia niente – gli disse Lucas con tono divertito – Tu non ti preoccupare, con lei me la sbrigo io. Ora, spero che tu abbia un motivo veramente valido per interrompermi in un momento del genere – rispose piccato il banchiere. Lucas gli porse semplicemente la lettera che aveva tra le mani. Dopo aver letto compiaciuto le dieci righe battute a macchina, Hjalmar si alzò in piedi – E’ ora di mettere in pratica il piano “R” – Sì, decisamente. Quando diamo l’avviso? – Seduta stante.- E andarono a chiamare i giornalisti.

    La sera stessa Schlacht rese pubblico il piano “R”: la Germania, per fermare l’iperinflazione che la stava dissanguando, avrebbe coniato una nuova moneta, il Marco di Rendita (Rentenmark), al valore di 1RM=1 trilione di Papiermark. “Con la benedizione di Dio risolveremo la situazione” pensava Lucas, la vera mente dietro il Rentenmark. Fu un successo strepitoso: tre giorni dopo la moneta cominciò ad essere emessa.

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    Un Rentenmark, la moneta che salvò la Germania

    La storia ha dimostrato come effettivamente questo permise alla Germania di arrestare la spirale inflattiva, ma all’interno la situazione non faceva altro che degenerare… Quattro giorni prima Adolf Hitler e vari altri membri del NSDAP erano stati arrestati a Monaco per aver tentato un colpo di stato. Pure Wilhelm von Hohenhain e sua moglie rischiarono l’arresto per aver partecipato all’attacco, ma le loro conoscenze nella polizia gli salvarono la fedina penale da questa macchia. La situazione stava degenerando rapidamente…

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    Uno scatto di Hitler con Rudolf Hess durante il putsch

     
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    CAPITOLO V: DIPLOMAZIA


    16 Ottobre 1925, palazzo comunale di Locarno, Italia


    Anche dopo tanti anni di congedo, Hans non era riuscito a trovarsi una moglie ed Eugen a separarsi dal gemello. Da quando il primo era riuscito ad entrare nel corpo diplomatico tedesco, il secondo aveva rinunciato ai galloni per darsi anche lui agli affari esteri. L’economia tedesca si stava normalizzando, diminuivano i problemi di ordine pubblico, il DNVP aveva vinto le elezioni. Tutto filava abbastanza liscio; c’era rimasta solo una questione da sistemare: le rivendicazioni tedesche sui confini.

    Dopo la fine della guerra la Germania perse moltissime terre tedesche; ciò che rimaneva dell’Intesa voleva assicurarsi che i tedeschi non provassero a riprendersele, ma ovviamente questo andava direttamente contro la volontà germanica. C’era bisogno di un nuovo accordo. Per questo i due von Hohenhain erano seduti a quel tavolo di mogano. A Locarno erano convenuti diplomatici italiani, tedeschi, francesi ed inglesi, e pochi erano aperti a confronti.

    Hans ed Eugen stavano parlottando mentre un francese stava blaterando di come l’Alsazia-Lorena non era in discussione – Ed è per questo, signori, che noi poniamo come punto base, irrevocabile, dei nostri accordi la completa rinuncia della Germania alle nostre terre – I tedeschi si alzarono dalle sedie per un veloce confronto: - Non possiamo abbandonarli!- diceva uno – Ma questa è follia, i francesi ci riattaccherebbero! – diceva l’altro. Solo i due gemelli tacevano; il capo delegazione nonché ex primo ministro, Gustav Stresemann, allora li interrogò – Voi che ne dite? – Hans si volse verso Eugen, guardandolo fugacemente negli occhi. Questi fece un cenno d’intesa al fratello e disse – Non mi pare abbiamo scelta. Dobbiamo cedere, ma che non sia senza contropartite! Se vogliono loro garanzie ad Ovest dovranno dare a noi garanzie ad Est! Direi di proporre… -

    - Mi sembra un’ottima idea! – approvò Stresemann, vedendo le facce convinte dei compatrioti. I tedeschi tornarono a sedersi al tavolo, vedendo i francesi bisbigliare tra loro stizziti. – Accettiamo la vostra proposta, a patto che voi facciate altrettanto con la nostra – riaprì le danze Stresemann in pefetto francese. – Sentiamo – gli rispose l’ambasciatore italiano a Berlino. – La nostra proposta è la seguente: accetteremo le vostre richieste ad Occidente se concederete la possibilità di revisione, in futuro, dei nostri confini orientali. – Un silenzio di tomba avvolse la delegazione francese, alleata della Polonia e della Cecoslovacchia, mentre inglesi ed italiani tirarono un sospiro di sollievo. – Se è per così poco – si introdusse sir Austen Chamberlain, dopo aver gettato un fugace sguardo al capodelegazione italiano – allora noi siamo d’accordo! – Anche l’Italia è disponibile ad accettare questa proposta. – confermò il conte Blasone. Solo i francesi rimanevano in religioso, furente silenzio: non avevano il coraggio di rifiutare una proposta simile, ma tanto meno volevano essere umiliati in questo modo. – Beh? Voi cosa ne dite signori? – li incalzò Stresemann. Aristide Briand, capo dei francesi e anche lui ex primo ministro, lo guardò truce negli occhi e scandì chiaramente – Questa è una proposta che non si può rifiutare. -

    Due ore dopo, alla firma del trattato di Locarno, Hans riuscì a stringere la mano a Briand – Avete salvato la pace. – gli disse. Il francese lo guardò negli occhi, il viso contratto in un broncio di marmo – Il mio timore è quello di aver solo allungato la tregua – gli rispose con un bisbiglio. Mai parole furono più veritiere.


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    Una foto di gruppo da Locarno​



    3 Febbraio 1926, Champs-Élysées, Parigi, 20:15


    A Parigi era una soleggiata, fredda giornata d’inverno. La neve caduta nei giorni precedenti era stata spalata dalle strade ed andava ingombrando i marciapiedi di tutte le vie di Francia. Beh, tutte, ma non gli Champs-Élysées. La più bella via del mondo, secondo i francesi, non poteva avere questa macchia: ogni suo albero, ogni suo cespuglio, ogni sua pietra veniva custodita con la massima cura; quella strada era l’immagine della Francia nel mondo. “Un piatto sporco di neve” per come la pensava Hans, che da poco era stato spedito all’ambasciata tedesca in Francia.

    Allontanato dal suo gemello, cominciava a sentirsi molto solo. Tutte le sere consumava la cena alla Maison d’Alsace, il suo ristorante preferito, a metà strada tra l’Arc de Triomphe e il Palazzo delle Tuleries, l’unico posto filotedesco di tutta la città. Quella sera non faceva eccezione: entrò dalla porta principale e il maitre lo fece accomodare al suo solito tavolo, al piano di sotto di fronte all’entrata della cucina. Ormai erano cinque minuti che stava seduto, seguendo con le dita gli intagli sul suo tavolino di quercia, quando arrivò un cameriere a prendere l’ordinazione. – E’ in ritardo Pierre – disse al ragazzo, di cui ormai ricordava il nome – Mi spiace herr Hohenhain, ma questa sera è particolarmente pieno. C’è una coppia di signore che vorrebbe sedersi, ma non ci sono posti se non quelli a questo tavolo: le spiacerebbe se prendessero posto qui? – chiese il povero cameriere, preparandosi a far scatenare l’ira funesta del diplomatico. Hans ci pensò su un attimo, tenendo viva la suspense, e poi rispose – Sta bene Pierre, le faccia sedere. – Tra pochi minuti verrò a prendere la sua ordinazione signore! – gli rispose il cameriere allontanandosi, incredulo d’averla scampata così facilmente. Stavolta dovevano darglielo un aumento, era riuscito a farla al von Hohenhain.

    Poco dopo due signore s’avvicinarono al tavolo, l’una con una grande gonna e l’altra… in pantaloni! Hans, vedendola vestire un capo da uomo, strabuzzò gli occhi e preparò il suo famoso sorriso di ghiaccio, riservato per trattare con le persone indesiderate. Mentre si facevano vicine le squadrò più attentamente: quella in gonna era una bruna signora di quarant’anni, il corpo grassoccio e flaccido, mentre l’altra… beh Hans rimase semplicemente di stucco vedendosela avvicinare. Rossi capelli tagliati corti (un’acconciatura da uomo ma, dovette ammettere Hans, molto affascinante) le cadevano sopra i gentili lineamenti del viso: due sottili sopracciglia ramate e labbra dolci come petali di rosa incorniciavano i suoi occhi. Che occhi che erano quelli! Mai Hans ne aveva visti di così belli: le lunghe ciglia nere si muovevano a tempo con lo sguardo della ragazza, il taglio dell’occhio leggermente allungato ne valorizzava le generose dimensioni. Le iridi verdi come il grano ad aprile mostravano una dolcezza d’animo e un’innocenza rara di quei tempi, come in una bambina appena diventata ragazza.

    - Bonsoir – disse Hans, alzandosi in piedi al loro arrivo – Bonsoir a vous – disse la più vecchia delle due, porgendogli la mano. Il tedesco la strinse, lasciando esterrefatta la signora, abituata alle smancerie, ma lui aveva solo occhi per la giovane. – Mi chiamo Hans von Hohenhain, diplomatico presso l’ambasciata tedesca. Et vous? – disse rivolgendosi alla ragazza. – Elle est madame Agnes Jambon – rispose la bella dama, volgendo la mano sinistra verso la signora – et je suis madmoiselle Anne Necker. – Gli porse dubbiosa la destra, aspettandosi un comportamento irrispettoso come quello rivolto alla vecchia. D’altronde, da un tedesco, per quanto bello come questo, che ci si poteva aspettare? Ma le sue aspettative furono tradite: Hans le fece un inchino con baciamano che la sorprese, alzandosi con un sorriso tanto semplice quanto affascinante. – Madmoiselle, è un onore conoscere la ragazza più bella di Francia – la adulò lui.

    Per tutta la cena discussero del più e del meno, Hans ed Anne sempre più interessati l’uno nell’altra. Lui, bello e gentile, per quanto molto conservatore, lei, affascinante e dolce come una rosa a maggio, convinta socialista. Proprio verso la fine della cena la sfortuna volle che Hans fece un commento sbadato riguardo una cameriera. – Questo è un lavoro da uomini, le donne non sono adatte a farlo. – Non l’avesse mai detto! Scoprì così l’ira funesta della neckrice Anne. I due si scontrarono su quest’argomento così duramente, un po’ aiutati dal vino e un po’ perché volevano solo parlare l’un con l’altra, che si trovarono ad urlare nel bel mezzo del locale – Dannato reazionario! – Voi socialisti distruggerete il mondo! –

    I camerieri si sbrigarono a portar loro il conto, prima che la situazione degenerasse. I due continuarono a litigare fino all’uscita, di fronte ad una basita madame Jambon. Una mezza crisi diplomatica. Giunti in strada però, sia perché s’erano dovuti buttare addosso giaccone, sciarpa e cappello,sia perché sentivano freddo comunque, si azzittirono. – Aspettate che vi chiamo un taxi – disse galantemente Hans, sporgendo la mano per la strada a fermare la prima auto che passava. – Finalmente, era ora! Non voglio più vedervi in vita mia! – disse ancora infuriata la ragazza. I suoi bollenti spiriti evidentemente non erano stati stemperati dal freddo come quelli del tedesco. Le due donne salirono in auto, ma prima di partire Hans riuscì a rivolgere un ultimo sorriso alla ragazza – A presto, Anne – le disse mentre che l’auto partiva.

    Quando Anne finalmente arrivò a casa sua, un bel palazzo in Rue de S. Honoire, tirò un profondo sospiro. Si diresse verso la sua stanza da letto ancora con la tensione addosso, salutando lungo la via la governante Charlotte. Per tutta la notte si rigirò sul letto, ad ogni movimento un martello gli fissava di più il chiodo che aveva in testa. Poteva lei, socialista, figlia di un industriale parigino, essersi invaghita di quello sporco reazionario tedesco?


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    Anne Necker


    12 Maggio 1926, Leipziger Stasse di fronte al Reichstag, Berlino


    Il partito nazista aveva ottenuto dalle ultime elezioni diversi seggi nel Reichstag. Hess e molti altri gerarchi già sedevano a destra del DNVP, tutti rigorosamente vestiti in camicia bruna, un’invenzione ispirata al fascismo italiano. Non c’era però Hitler, al quale ancora era proibito tenere comizi dopo l’uscita di prigione.

    Lucas stava uscendo dall’aula, parlottando con Von Papen e Schacht riguardo affari economici, quando Wilhelm li interruppe. – Scusatemi signori – disse l’aviatore, che alla sua divisa bruna aveva abbinato una sciarpa rossa – dovrei parlare con mio fratello. – I due allora salutarono Lucas, non senza bisbigliargli di non farsi influenzare da quel “tanghero”, come lo chiamava Von Papen.

    - Che c’è, Wil? – gli chiese, una volta preso da parte dal tanghero – Lucas, sai quanto il partito si sta ingrandendo. – Certo Wilhelm, ma che cosa vuoi da me? Sai che non mi piacciono i teatrini. – Va bene Lu. Ci serve un uomo della tua abilità. Si, abbiamo Goebbels, Hess, Goring, lo stesso Hitler, ma uno come te, che ne capisce d’economia e che sappia anche parlare alla gente. – Wilhelm gli stringeva le mani, tentando di catturarne lo sguardo. – Dai Lu, con te dentro, niente potrà fermare il partito! – lo incitò.

    Lucas si era chiesto in passato quando questo momento sarebbe giunto, ed ogni volta si sentiva in colpa per come sapeva avrebbe risposto al fratello. – Wil, sai che non posso né voglio. Perché me lo chiedi? – gli rispose Lucas, mettendosi a sedere su una panchina lungo il viale – Non posso abbandonare Franz [von Papen], né rinunciare al mio incarico alla Reichsbank. Non voglio immischiarmi con quel plebeo austriaco né coi pazzi che inneggiano contro gli ebrei. Perché allora vieni a chiedermelo? – Wilhelm taceva, lo sguardo perso ad ammirare un gruppo di piccioni che si contendeva un pezzo di pane. “Starà pensando a come insultarmi” si diceva Lucas. Un minuto di silenzio passò, poi Wilhelm si alzò dalla panchina, volgendo lo sguardo al fratello – Lucas, te lo chiedo non per me. – bisbigliò - E’ per la Germania e per l’imperatore che abbiamo bisogno di te. So che Adolf vuole la Repubblica, ma finchè io sarò in alto ci sarà sempre chi appoggerà il ritorno del kaiser. Mi serve qualcuno del tuo genio che mi appoggi, che appoggi la Germania nel partito e non pensi solo alla rivoluzione nazionalsocialista! – senza accorgersene aveva cominciato ad urlare nel bel mezzo della strada più trafficata di Berlino. Lucas allora si tolse il cappello, lisciandosi pensieroso i capelli – No, Wil. Non posso. – E’ la tua risposta definitiva? – lo riprese Wilhelm con uno sguardo implorante. – Sì, per ora. Sì. –
     
  17. SVEN HASSEL

    SVEN HASSEL

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    Complimenti. ti seguo molto volentieri
     
  18. navy94

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  19. Purfa

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    Grazie ragazzi! :D Piano piano si sta avvicinando il tempo di guerra e quindi di vero AAR, ma intanto vi annuncio che probabilmente oggi e al massimo domani metto su il 6 capitolo.
     
  20. Ciresola

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    Anne Necker è ... è ... magnifica :asd:

    Comunque è romanzato ottimamente, molto bravo ;)
     

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