[FONT=(Tipo di carattere testo asiati]Sempre citato dal libro "La battaglia del Solstizio" di Pierluigi Romeo di Colloredo, di prossima pubblicazione. Sarò un inguaribile romantico, ma la sua richiesta di farsi seppellire con i suoi uomini comunica una grandezza d'animo ormai difficilmente riscontrabile oggigiorno. [/FONT][FONT=(Tipo di carattere testo asiati][/FONT] [FONT=(Tipo di carattere testo asiati]Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta[/FONT] Il Duca d'Aosta aveva assunto il comando della 3a Armata il 20 maggio del 1918 e lo conservò sino al termine del conflitto mondiale. Come tutti i principi della Casa reale, Emanuele Filiberto aveva avuto una rapida carriera militare: uscito dall'Accademia Militare nel 1887 con il grado di sottotenente, a ventun anni era capitano, a venticinque era colonnello ed a ventinove generale. In effetti il comando dei principi di Casa Savoia era di fatto considerato poco più che nominale e di rappresentanza, mentre il compito di guidare sul campo le truppe veniva demandato ai Capi di stato Maggiore. Emanuele Filiberto come poi anche i suoi figli, soprattutto Aimone, futuro ammiraglio e re di Croazia, amava la bella vita, secondo l'etica dannunziana per usare le parole del Silvestri. Dopo la guerra il Duca fu assai esaltato dai panegiristi ufficiali, ma con l'avvento della repubblica il giudizio venne ribaltato in senso ostile ai Savoia, riprendendo le righe acide del Lussu (colui che scrisse un libro di duecento pagine di memorie di guerra senza mai citare la brigata Sassari cui apparteneva, come notò il generale Nicolò Manca[1]): Il Principe aveva scarse capacità militari, ma grande passione letteraria. Egli e il suo capo di stato maggiore si completavano. Uno scriveva i discorsi e l'altro li parlava. Il duca li imparava a memoria e li recitava, in forma oratoria da romano antico, con dizione impeccabile. Le grandi cerimonie, piuttosto frequenti, erano espressamente preparate per queste dimostrazioni oratorie. Disgraziatamente il capo di stato maggiore non era uno scrittore. Sicché, malgrado tutto, nella stima dell'armata, guadagnava più la memoria del generale nel recitare i discorsi che il talento del suo capo di stato maggiore nello scriverli. Il generale aveva anche una bella voce. A parte questo, egli era abbastanza impopolare[2]. La realtà era esattamente all'opposto, poiché il Duca era popolarissimo tra i suoi soldati, tanto da venir accusato di eccessiva bontà nei confronti delle truppe. Del resto, con la coscienza di classe dell'alta nobiltà, egli aveva una visione delle cose assai più aperta dei generali borghesi, dimostrando una maggior considerazione dei disagi della truppa di quanta non ne avessero gli altri comandanti: Se vedesse che cosa è la vita in trincea: i disagi, il freddo, il fango e più di tutto terribile, la convivenza con i morti! ...Tante volte, quando la morte minaccia e io son lì con i miei ufficiali mi dico: è naturale che io e costoro, che abbiamo tradizioni e cultura, si sia preparati a morire. Passano le palle e le granate; portiamo la mano al casco e diciamo: eccomi, son qui. Ma i nostri soldati, per quale meravigliosa virtù innata, son capaci di morire così?[3]. Tuttavia, se non fu un fulmine di guerra, Emanuele Filiberto di Savoia ebbe una dote molto rara tra i generali italiani. Il buon senso; e non per caso la III Armata ottenne i risultati maggiori con meno perdite delle altre armate sia sul Carso che sul Piave, e riuscì a ritirarsi nell'Ottobre 1917 dopo aver respinto gli attacchi nemici senza sfaldarsi[4]. Ponendo l'enfasi su quanto avvenuto nel settore della II Armata, si trascura spesso il fatto che anche nel settore della III si ebbero scontri piuttosto duri dal 24 al 27 Ottobre. La Ia Isonzo-Armee del generale Wenzel Würm attaccò infatti frontalmente l'XI ed il XIII Corpo d'Armata nel punto di giunzione tra le due grandi unità, tra Castagnevizza ed il Faiti Hrib, senza però che alcuna posizione importante andasse perduta, malgrado il logoramento nei continui attacchi e contrattacchi della 14a e 58a divisione; quando arrivò l'ordine di ritirata, le truppe del Duca d'Aosta poterono pertanto ripiegare ordinatamente[5]. Il 31 Ottobre, quando le sue truppe ultimarono il passaggio del Tagliamento, Emanuele Filiberto potè scrivere a Cadorna: Z. di G. - 31- 10 ore 18 Caro Generale. Sono fiero e felice [di] poterle dire che quasi tutte le mie truppe - quelle della sempre gloriosa III Armata- sono radunate e con esse quasi tutte le artiglierie - al di qua del T. [agliamen]to. Quello che hanno fatto i miei soldati e specie gli 'artiglieri' per portare le artiglierie in salvo sono cose da epopea. Io con i miei soldati che ho educato al dovere ed onore col cuore sono sicuro mi risponderanno sempre. Sononauseato scusi la parola del contegno degli sbandati (II A.) e mi permetto di dirle che se non si prendono provvedimenti speciali - non sene farà niente- inquineranno l'Esercito che ancora è saldo e compreso della situazione del momento. Quello che vedo e sento è terribile (..) Sempre col pensiero e col cuore ad una grande Italia Sono Suo Aff.mo Amico E. F. di S. [6]. Le stesse cose ripeté il giorno dopo al colonnello Gatti: Dica a S.E. Cadorna che io ho la più grande fiducia in lui. In quanto a me, mi guardi: io sono tranquillo, sereno. Vedo la situazione. E' terribile. Non mi sgomenta. Per la Patria farei tutto. Sono disposto a dare il collo per lei (...). Dica a S.E. che io, delle mie truppe della 3a armata rispondo fino all'ultimo. Sono fiero, glorioso di esse. Dicevano che parlavo troppo con esse, che ero troppo buono. Vede ora i frutti delle mie parole. Le mie truppe tengono. Ma, per tenere, ho bisogno di essere sbarazzato delle truppe della 2a armata (...)[7]. Purtroppo non tutti i generali ebbero la forza del Duca e la sua fiducia nei propri soldati! D'altro canto così disse Cadorna del comandante della 3a Armata: Un vero gentiluomo, degno della sua casa. Il cambiamento prodotto in lui dalla guerra è enorme; per chi lo aveva conosciuto a Napoli, non è più lo stesso uomo. Là egli era donnaiolo e pigro: qui tutto è cambiato[8]. Il Generalissimo lamentava piuttosto la mancanza di cultura militare di Emanuele Filiberto, e il suo eccessivo ottimismo. Ma è pur vero che sul Carso o sul Piave non occorrevano Federico il Grande o Napoleone, occorreva, come detto, il buon senso. Del resto, per quanto riguarda l'eccesso di ottimismo, Angelo Gatti annotava nel suo diario un ritratto di Emanuele Filiberto, scrivendo che Il duca ha queste qualità fondamentali: buona intelligenza, carattere, ma è nemico di ogni entusiasmo. Come nella sventura non si abbatte affatto, nel buon successo non si emballe. C'è in tutto quello che fa non del fatalismo, poiché vorrebbe sempre fare qualcosa, ed è sempre per andare innanzi: ma una tranquillità, per non dirla indifferenza, impressionante. Se un 305 gli scoppia vicino e non gli fa nulla, egli non si scompone. E' refrattario alle commozioni. E' certamente uomo di un certo valore. Una volta, nei primi tempi, era quasi nullo: stava a sentire i vecchi generali, non si arrischiava a dire il suo parere. Poi si accorse che spesso indovinava più degli altri, ed osò. Ha una memoria prodigiosa; conosce subito le persone, al fiuto: questo è un violino, questo la vuol dare a bere, ecc. Gatti, che oltre che militare fu anche un fine letterato ed accademico d'Italia, smentisce Lussu: [Il Duca] fa da sé tutti i discorsi se li compone, se li mastica; e sono belli, sebbene sgrammaticati. Fanno assai maggiore effetto sentiti che letti. Ha, insomma, assai più intelligenza che cultura. Se avesse avuto [sic] la passione per il mestiere che ha il conte di Torino, avrebbe potuto essere veramente un ottimo generale: ma il conte di Torino è senza testa, e il duca d'Aosta poco colto. Gli manca questo: e la passione[9]. Il comportamento del Duca, per quanto poco colto, fu tutt'altro di quello, per dire, del Cavaciocchi, coltissimo autore di monografie di storia militare, travolto a Plezzo. Del resto, quando le sue truppe conquistarono Gorizia, aveva previsto la disfatta austriaca e proposto di inseguire gli imperiali, chiedendo materiale da ponte e reparti celeri e cavalleria. Cadorna giudicò il Duca al solito troppo ottimista: e quando si vide che aveva visto giusto, fu troppo tardi per inseguire le truppe di Boroevič[10]. Le truppe di Emanuele Filiberto nel Giugno respinsero gli attacchi imperiali, e nel Luglio riconquistarono il delta del Piave. La 3a Armata venne chiamata l'Invitta; su quest'appellativo qualcuno s'è permesso di ironizzare: eppure è la pura e semplice verità. Le truppe del Duca d'Aosta non vennero mai sconfitte sul campo. Dopo Caporetto, il 4 Novembre, il Consiglio dei Ministri prese in esame l'eventualità di affidare il Comando Supremo al Duca, coadiuvato dal generale Diaz e da Giardino[11]. Il sovrano preferì invece affidare il comando al Diaz, insieme a Giardino ed a Badoglio come Sottocapi di Stato Maggiore. Si è a volte discusso sul perché il Duca d'Aosta, popolarissimo tra le truppe ed ottimo Comandante d'Armata non venne nominato Capo di Stato Maggiore: Vittorio Emanuele III ne diede la spiegazione a Leonida Bissolati che la riferisce nel proprio diario di guerra. Il Re non si nascondeva che se fosse crollata la linea del Piave l'Italia si sarebbe certamente trovata nella necessità di uscire dalla guerra. In tal caso, il sovrano avrebbe abdicato per sé e per il figlio Umberto. L'uomo in grado di salvare la dinastia sabauda e di stipulare una pace separata sarebbe stato solo Emanuele Filiberto: Vittorio Emanuele III non si sentiva di rischiare la popolarità del comandante della 3a Armata esponendolo ad una possibile disfatta[12]. Dunque, se si prende per vero quel che scrivono taluni autori malevoli verso il Duca, come Silvestri[13], Vittorio Emanuele non avrebbe stimato il cugino adatto a comandare un Armata ma in grado di essere Re in una situazione difficilissima sì! Del resto era anche ben noto come il Duca, analogamente a molti generali italiani, continuasse a provare maggiori simpatie per la Germania che per la Francia, e ancora nel maggio1917 aveva manifestato al Gatti la propria ammirazione per il Kaiser Guglielmo II, rimpiangendo di non aver marciato contro i francesi: i francesi non ci sono riconoscenti per ciò che abbiamo fatto per loro. Sta bene: ma se non fossimo andati con loro, avremmo a quest'ora la Savoia, Nizza, la Corsica e la Tunisia e concetti analoghi espose al vice presidente del Senato, il duca Emanuele Paternò del Castello a settembre[14]. Dopo la guerra Emanuele Filiberto fu uno dei sostenitori della politica di forza nelle rivendicazioni territoriali italiane non rispettate dopo la Vittoria mutilata. Il Duca appoggiò sin dagli anni '20 il movimento fascista, in cui vedeva la continuazione degli ideali della Grande Guerra; divenne presidente onorario dell'Opera Nazionale Dopolavoro, e soggiornò spesso nel Castello di Miramare a Trieste. Nel proprio testamento volle esser sepolto con i suoi soldati della 3a Armata: Desidero che la mia tomba sia, se possibile, nel cimitero di Redipuglia, in mezzo agli Eroi della Terza Armata. Sarò con essi vigile e sicura scolta alla frontiera d'Italia, al cospetto di quel Carso che vide epiche gesta ed innumeri sacrifici, vicino a quel mare che accolse le salme dei Marinai d’Italia[15]. Morì nel 1931, ed alla sua memoria venne concessa la medaglia d'Oro al Valor Militare, e difficilmente un generale della Grande Guerra la meritò in misura maggiore. [1]Nicolò Manca, Da Calamosca a Calamosca. Alla ricerca di un esercito, Torino 2000 p.265. [2] Emilio Lussu, Un anno sull'Altipiano, Torino 1945 (nuova ed. 2000, p.13). Per inquadrare il personaggio Lussu, (che quando scrisse il suo libro era fuoriuscito in Francia ed aveva la penna avvelenata verso il Duca, notoriamente favorevole al Fascismo) basti ricordarne l'ego smisurato, che lo spinse a scrivere nella nota di presentazione queste incredibili parole: Non esistono, in Italia, come in Francia, in Germania o in Inghilterra, libri sulla guerra. E anche questo non sarebbe stato mai scritto, senza un periodo di riposo forzato. Clavadel- Davos, Aprile 1937. Tralasciando la produzione letteraria italiana (che pura aveva Monelli, Salsa, Frescura, Malaparte, Gadda, Papini, Soffici...), Lussu evidentemente si considerava su un altro livello rispetto a Ernst Jünger, Erich Maria Remarque, Ernest Hemingway, Robert Graves... i quali non fecero la Resistenza come il Lussu, pertanto nessuno si sognò mai di sottolineare la sciocchezza dell'autore sardo, intoccabile per motivi di opportunità politica. Lussu è colui che scrisse un libro di duecento pagine sulle proprie esperienze di guerra senza mai citare la brigata Sassari cui apparteneva, come detto: dunque non è un'opera storica ma un romanzo, qualsiasi cosa ne dicano gli apologeti del politico sardo, che d'altro canto inizia scrivendo che alla sua brigata appartenevano i reggimenti 399° e 400°, che ovviamente non esistevano: la Sassari era formata dal 151° - nel cui III battaglione Lussu prestò servizio- e dal 152° fanteria. Se Emilio Lussu avesse avuto intenti memorialistici non avrebbe utilizzato numeri fittizi e avrebbe citato il nome della brigata, di cui l'interventista Lussu fu ufficiale di complemento. [3] Cit. in Silvestri, Isonzo 1917, cit., p. 105. Che non fossero solo parole lo dimostra come seppe educare il figlio Amedeo, che, pur mortalmente malato, volle condividere la prigionia dei propri soldati in Kenia, dove morì nel campo di concentramento di Nyeri, malgrado la sua carica di Vicerè, il suo grado militare e la sua parentela con la Casa reale britannica gli dessero la possibilità di ottenere un ben diverso trattamento. [4] Il colonnello Angelo Gatti così descrive la ritirata della 3a Armata: Questa mattina vado alla 3a armata per vedere ciò che succede, come avanti ieri sono stato alla 2a.“ Per la strada da Treviso a Oderzo e a Motta di Livenza (dove è il comando dell'armata) c'è un relativo ordine. Lo spirito della 3a armata è certo superiore infinitamente a quello della 2a. I carriaggi marciano in ordine sulla destra della strada. I reparti di truppe speciali (artiglieri, bombardieri, genio, ecc.) sono in buone condizioni di spirito e di morale. La cavalleria (...) ha il morale altissimo. Ci sono invece le fanterie che non sono in buone condizioni: sempre la stessa assenza di fucili negli sbandati: ma ci sono, sul Tagliamento, dei veri corpi d'armata, ed efficienti, che resistono (Gatti, Caporetto, cit., pp. 225- 226, alla data del 1 novembre 1917). E ancora, del Duca: 'Non sono un genio' dice lui stesso: ma è una persona di buon senso. E' calmo, è sereno. Ha, dice lui 'molti amici dell'accademia, che mi vengono a dire la verità: mi parlano da amico ad amico; quindi so, che cosa avviene'. Con questo, con il riposo che gli dà lo scarico di responsabilità, è un uomo che può far molto. (ibid., p. 227). [5]Silvestri, Isonzo 1917, cit., p.457. [6] Riprodotta in Faldella, La Grande Guerra, II, cit., p. 263 (i corsivi sono del Duca). Il riferimento ai provvedimenti speciali è tipico della mentalità dei generali dell'epoca: lo stesso Duca in una circolare datata 1 novembre 1916 scriveva: Ho approvato che nei reparti che si macchiarono di sì grave onta [alcuni gravi atti di indisciplina avvenuti nel 75° fanteria della brigata Napoli, con la fucilazione di due soldati, il 30 ottobre, e nel 6° Bersaglieri con la fucilazione di sei militari] alcuni, colpevoli o non, fossero immediatamente passati per le armi (citata. in Silvestri, Isonzo 1917, cit., p. 106). Cadorna in una lettera datata allo stesso giorno scriveva: E' venuto in questo momento il Duca per dirmi che sono successi dei gravi atti di indisciplina in alcuni reggimenti ed alcuni soldati furono fucilati seduta stante e senza processo. Sono cose dolorose, ma guai se non si procede così con esempi immediati: l'indisciplina si propaga fulmineamente ed allora ti lascio immaginare le conseguenze (Cadorna, Lettere familiari, cit., p. 174). Va detto che il 6° Bersaglieri proprio il 1 novembre conquistò il monte Pecinka, ed il giorno successivo la brigata Napoli si impadronì del Nad Logem. [7] Gatti, Caporetto, cit., p.226. [8]Silvestri, Isonzo 1917, pp.105- 106. [9] Gatti, Caporetto, cit., p. 23 (alla data del 24 maggio 1917). [10] De Biase, L'Aquila d'oro, cit., p.308. [11] Melograni, Storia politica della Grande Guerra, cit., p. 416. L'episodio è ricordato da Orlando nelle sue memorie. [12]Alberto Consiglio, Vita di un re. Vittorio Emanuele III, Bologna 1970, p. 129. [13] Secondo il re infine, il duca d'Aosta non aveva scienza di generale- tout court- cosicché chi comandava effettivamente era il capo di Stato Maggiore: Silvestri, Isonzo 1917, cit., p.107. Silvestri non indica da dove abbia tratta la notizia. [14]Gatti, Caporetto, cit., p. 32 e 167 (alle date del 26 maggio e del 3 settembre 1917). [15] Riportato in Carlo Corubolo, Dal sacrificio alla gloria. Guida ai campi di Battaglia dell'Isonzo, Gorizia 1968, p. 72. Queste parole sono incise sul sepolcro del Duca. Secondo Mario Cervi sono opera del gen. Villa Santa, già ufficiale d’ordinanza del Duca, e, secondo il Cervi, autore dei discorsi di Emanuele Filiberto (Cervi, Il Duca Invitto, Milano 2005, p.180). Tuttavia la biografia del Cervi è da prendersi a volte con cautela, per alcuni giudizi quantomeno discutibili (p.e. Diaz è definito l’insignificante Diaz, a p. 176) ed alcuni errori storici, anche gravi (la battaglia di Novara avvenne nel 1849 nel corso della Ia Guerra d’Indipendenza, e non nel 1866 nel corso della IIIa, come scritto dal Cervi a p.19!). Stranamente, Cervi sorvola totalmente il periodo tra l’attestamento sul Piave e la battaglia di Vittorio Veneto.
se il libro è di prossima pubblicazione sei sicuro che l'autore sia particolarmente felice che tu ne riporti qui ampi stralci? se l'autore è a conoscenza e approva scusa per l'appunto, altrimenti stiamo attenti. Anche perchè immagino che se tu possieda una bozza del libro l'autore sia tuo amico o perlomeno conoscente, quindi magari si incacchia di brutto
Un pezzo interessante su di un personaggio appartenente ad un periodo storico di cui conosco pochissimo Forse la storia scritta e' stata un po' ingiusta con lui, ma da romantico che era, la sua piu' grande ricompensa ritengo sia quella di esser ricordato dai suoi soldati (e perche' no, anche dai loro discendenti), come un generale a loro vicino,perche' credo non vi sia miglior ricompensa per un comandante della stima eterna da parte dei suoi uomini (al di la' delle vittorie sul campo).