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Italiani, qui bisogna morire !

Discussione in 'Wargames - Generale' iniziata da Luigi Varriale, 30 Maggio 2019.

  1. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Lor Signori mi seguiranno se lo crederanno diletto, nella disamina e recostruzione de l'una pugna che nall'annali della patria nostra evve la più grande importanzia e più ancor grande la diatriba. Mi referisco alla battaglia che avvenne in quel di Calatafimi un 15 maggio di incredibile arsura, e sulla qual lor signori converranno occorre fare la più massima chiarezza. Di tutto si scrisse e di tutto si disse su questa contesa e de l'ingegno e de la preparazione. Ora noialtri con paziente piglio e con tecnico oculo, stabiliremo al fine di qual guisa erano le arme e li contendenti.

    Combatteremo dunque la battaglia da prima come lo fu combattuta da li Borboni e da li Garibaldesi e poscia a verdetto sgorgato, comparato che sarà con l' historia, la combattermo come li Borboni l'avrebber dovuta risicare se sol la decisione gli avesse fatto effetto anziché defetto. E lo vedremo se a tal impiego li Garibaldesi meritavan vittoria o se l'Italia non s'aveva da fare.

    Come lor vedon sotto qui, nello ischieramento de storia, li Garibaldesi avevan superiorità, e questo è un fatto, sulle schiere borbone accipienti lo pianto romano colle. Sull'erto opposto detto de Peitralunga, le schiere scarlatte avevan posto li battaglioni loro tutti, devisi equanimamante in otto compagnie da battaglia. Completavan la massa gli spezialisti de carabina venenti da Geneva e le guide che'l prode s'era portato appresso da la campagna del'anno passato.

    Li Napoletani avanzavano ciechi o lì di presso, esplorando il Pianto de Romani, ch'avevan notizia de ribelli e gentaglia che desordinava le campagne. Il General loro Landi li aveva mandati devidendo la sua brigata in due colli e già questo era propizio di fallo. Checché se ne dica e checché se ne scriva, quattro e sol quattro eran le compagnie de Borboni che quel quindici maggio solcavano il campo; quattr'e mezzo se si contan li birri de un pelotone formati e li cacciatori a cavallo del Re che ne apoggiavan tenzone. Ora codesti manco sapevan chi avevan di fronte. Per lor conto e per l'informazione, de quttro ribelli si doveva trattare e con quattro schioppi avrebber dovuto fugare.
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    Ultima modifica: 30 Maggio 2019
  2. Iscandar

    Iscandar

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  3. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    E giungiamo quindi alla una poscia mezzodì pel adocchiare la truppa Borbona guadagnare a fatica la cima del Pianto in ischieramento di marcia che tutti si chiedevan in qual misere condizioni esti soldati sarebbero arrivati alla somma. Si trascinavan dietro li canoni di una mezza batteria che'l Brigadiere Landi avea loro asegnato.

    Per la destra avanzavan li birri di campagna in avanguardia alla risica colonna de cacciatori a cavallo del Re. L'ambascia di vegliar la strada principale per lo borgo di Vita cotesti militi ricevean da Sforza, Maggior comandante del distaccamento di manovra. Li birri eran arruolati locali dal Borbone per la vigilazione sul volgo che non c'eran bastanti birri borboni pel tener a consiglio la moltitudne sciliana. Ed oggi questi privilegiati giovinotti odiati dal volgo, avean privilegio di farsi ammazzare per primi.

    Sulla cima opposta de Pietralunga lo Eroe dei due mondi intimava alla truppa di star zitti e nascosti, che'l dovea capire li disegni nemichi prima di dar alcuna disposizione di guerra. Che nessuno sparasse comandava il sommo, che sparar con premura degnuda debolezza.

    Nel fondovalle pei Garibaldesi si avé lo problema che certi celaron presenza ai Borboni avanzanti, e cert'altri non evvero in vero abilità nel farlo e tutti comunque stavano in ordine sparso che non favoria certo la concentrazione del fuoco e del ferro.

    Fu si che tosto li volteggiatori della compagnia seconda de cacciatori borboni dé li allarmi de la presenza nemica inquattata né boschi e né fichi e tra li campi di fave dei due colli fatali. Immantinente la marcia si ruppe che le truppe mimiche s'erean trovate. La nuova veloca viaggio pel lo Sforza al quale soltanto spettanza decider; e ne lo prossimo torno decidrà
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  4. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Al quarto d'ora poscia l'una la borbonaglia sta dunque intentado di ischierarsi per l'attacco dhe lo Maggiore Sforza ha ordinato al poggio de la la pietra lunga, e quivi si verifica il periglio che mette a mostra lo svantaggio dell'aver le truppe immescolate tra di loro de li carabinieri ammischiate appunto con la fanteria di linea de napoletani: la compagnia de carabine all'ordine di si dispiegare in colonna d'assalto fa brutta mostra e s'inceppa sul loco bloccando li fanti e la soggiungente artiglieria non ostante lo sforzo e le bestemie de lo maggiore per districarne il groviglio.

    Nieppure le forze speziali de li cacciatori in avanguardia alla turba borbona havè una manovra pulita che discendendo lo pianto per menar li Garibaldesi, la seconda compagnia si ischiera per l'attacco, ma la prima ruzzola giù come un ciotolo e si scompagina per la sinistra.

    Dall'inverso del fronte in vece per la destra li Birri han l'occhio fino e naso da secugi per stanar la guerriglia siciliana conducata dal gran frate Pantaleo che ha giurato a Garibaldi che vincerà o morrà impugnando la spada. La guerriglia inquattata anch'essa tra aranceti e fichi viene scoperta e fatta segno di schioppi che fan più paura che danni data la distanza e ciò meno di non, lo frate fa de lo meglio suo per tener unita la marmaglia sotto lo fuoco sporadico de birri zelanti.

    Ascoltando la schioppetteria a la sinistra, il Supremo da la mezza costa de Pietra Lunga, allunga l'orecchio e dunque invia un corridore al fido Bixio di dispiegar il suo battaglione alla manca dello ischieramento per coglier d'infilata la truppa nemica descendente dall'ermo de Romani.

    Lo Nino s'affretta dunque ad eseguire menando a due lati dell'artiglieria d'Orsini, che s'era nel fra tempo disposta a dare fuoco de sui due canoni da quatro libre in un boschetto pe' la strada maestra per Calatafimi verso le pendici del monte occupato dall'inimico. La compagnia quarta e seconda si piantano a' due lati de canoni con la terza e la prima disposte in seconda schiera, la quarta reuscendo financo a buttarsi in linea di battaglia.

    Ne lo mesmo momento istruisce il battaglione primo de cacciatori di Carini di preparar una compagnia per lo contro assalto frontale a' li Borboni se dovessero attaccare la costa de la Pietra Lunga, e anzi dà li ordini personalmente a' la compagnia ottava, che sotto li sui occhi vigilanti si dispone disciplinatamente in colonna d'assalto per aucuna evenienza. A li altri comanda di star zitti e buoni a scrutar le mosse de lo Sforza.

    Al Carini focoso che domanda di cogliere lo inimico con l'assalto mentre non è ancora dispiegato risponde di pazientare e si fa una gran fatica a tenere a freno li Carabinieri Genovesi che hanno prescia di menar mani.

    Il quadro de la battaglia si va definendo dunque in modo ineguale da quello che storicamente fu in quanto che la riserva de lo secondo battaglione di Bixio viene asegnata a far da martello all'incudine del primo e riserva non è più. La cosa non ha da stupire che lo Generale ha l'occhi sullo inimico principale che non equivale a più di due compagnie da battaglia. Sarà questo un risico calcolato dal momento che li Carabinieri nemici ancora non si pavantano alla vista de lo nostro condottiero o andrà a togliere bilancio alla compattezza della forza de mille?

    Come ultimo dettallio v'é da dire che la guerriglia de lo frate Pantaleo non cessando di schioppar all'indirizzo de li birri che si ripiegano lungo la maestra non ostante le rimostranze de lo padre si trovan senza lo si accorger alla fine de loro palle.
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  5. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    E' alla mezz'ora dopo l'una che cose cominciano a muoversi con certa decisione nel campo di battaglia quando s'immostra tutta l'impazienza de turbe napolitane.

    Li birri sotto li schioppi de l'ala sinistra dello secondo battaglione di Bixio si rifugian nei campi coltivati alla dritta estrema del fronte borbonico smondanto da le cavalcarure e in seconda schiera l'offiziale de cacciatori a cavallo borbonici intentano di caricar la guerriglia di fra Pantaleo onde li punire de la loro audacia. Ma li cavalieri lance già in resta, preoccupati de lo fuoco de Garibaldesi s'impiantano e rifiutano la carica risolutrice: primo atto da corte marziale de lo turno.

    Nello centro della battaglia miscuglio di carabinieri e fanteria de linea napolitana sulla cima del pianto ancor non si decide su chi dabba aver precedenza sul movimento innanzi che lo Sforza imbufalito e desperato comicia a sospettar codardia: secondo atto da corte marziale de lo turno.

    Li cacciatori già dabbasso per la china tra i due colli risolvon per mano di un semplice capitano di comapagnia che lo momento di romper gli indugi è ormai venuto e carican la compagnia de lo tenente egregissimo Giuseppe Bandi, fedelissimo di Garibaldi. Vengono di due lati i cacciatori di Borbone gridando e correndo giù per la china con bestemmie ed improperi che li nordici manco capiscano: terzo atto da corte marziale de lo turno ma almeno questo non tacciabile di codardia.

    Li bersaglieri Genovesi con le loro carabine da gara, si aprrestan a sostener l'assalto, ch'il Bandi di se ripiegar non pensa nemmeno. A cinqanta passi i tiratori danno di schioppo atterrando almeno una decuria di quei prodi napolitani. MA questi non s'arrestano né per lo centro né per la manca, ove la compagnia prima essa pure in falange d'attacco s'abbatte su cacciatori de Genova ammazzandoli tutti e facendo l'ambita preda del tenente bandi prigiorniero.

    Solamente con ritardo la batteria del paro de quatro libre garibaldesi aggrappato alla maestra, si dispone per lo fuoco d'infilata sul nemico urlante che coglie in pieno la compagnia seconda de Borboni a rischia d'ammazar financo il captivo tenente Bandi (che ricordo nella pugna vera venne ferito ma giammai catturato). Li artiglieri che'l Bandi è prigioniero non lo sanno ed aprono il fuoco volentieri. L'é una ecatombe di Napoletani che ingurgitano fuoco teso de l'artiglieria d'Orsini che ne sgramaglia sullo fianco le righe.

    Lo stesso Garibaldi d'appresso schierato con la compagnia sesta del primo battaglione de mille ordina all'ottava innestate le baionette di contrattacar la sinistra della torma borbonica, e quando questa si indecide sul daffarsi fallendo di obbedir l'ordine del generale, lui stesso, con occhi di foco, si slancia in avanti per contrattacar almeno la destra del nemico. Li armati della sesta compagnia vedon il generale buttarsi all'avanti e come un sol uomo lo seguono per salvarne la vita e con ella l'onore del battaglione de Carini.

    Li cacciatori napolitani, ancora in tocchi dopo la repassata de cannoni, hanno lo spirito e la prontezza di ritirarsi sotto l'imbascia nemica c'avanza decisa lasciando il campo a li Garibaldesi che si spianano davanti ad un Piano de Romani sgombro di forze nemiche eccettuato per la compagnia prima che s'abbarbica al terreno.

    L'é questo giudichiamo, un momento decisivo della contesa, con li Borboni inbilanciati e disorganizzati e la via per lo Pianto aperta a li patrioti. L'mpazienza de le forze speziali de la brigata azzurra ha forse compromesso l'intero ischieramento napolitano?

    Lo vedremo senza meno ne lo turno venturo, ma occorre la massima decisione da parte de li Garibaldesi, neppure loro scevri da errori ed atti di valor dubbio.
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  6. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    15 minuti alle due pomeridiane e la battaglia havé la sua svolta dopo una ora di combattimento. Li Borboni hanno mantenuto l'iniziativa anche in questo turno e lo Maggiore Sforza provvede di come meglio usarla. La priorità é dispiegar finalmente le sue fanterie pesanti in discesa dal poggio de Romani per attaccar la linea garibaldese, cosa che finalmente gli riesce di ottenere. La mezza brigata borbona si immette nel combattimento nel seguente ordine:

    La compagnia prima del 10° battaglione di linea si dispone in colonna di assalto e discende il poggio con obbiettivo la dritta dello ischieramento garibaldese, costituito dalla 6a e della 8a comapagnia de'mille. Questa prima turba è respinta dal fuoco dell'artiglieria d'Orsini con perdite sentite. Quale ruolo centrale avette codesta batteria, piazzata ad uopo con netto anticipo sulla contesa storica che la vide in lnea un'ora dopo che in codesta ricreazione. La fanteria borbona si ritira al traverso della costa a trovar respiro da le palle da quatro libre sparate d'infilata. Segue la compagnia de Carabinieri sotto la conduzione diretta dello Sforza; questa turba giunge di presso la compagnia sesta de li rossi comandata per diretto da Garibaldi. Manco questa giunge a loco, che la fucileria de la settima la sbanda anch'essa a manca, ed indietro su per lo pianto.

    C'é però la compagnia prima de cacciatori napolitani che attestata ancora alla propaggine del poggio, posizione guadagnata ne lo turno passato rompe ogni indugio e carica la compagnia di Garibaldi in persona. Questa, la compagnia sesta come detto innanzi reagitte di schippo e fé ondeggiare ma non sbandare gli attaccanti. Si venne dunque al corpo a corpo con baionetta e calcio de li schioppi. Il combattimento fu brutale con le truppe al contatto e li Napoletani furon spazzati, li offiziali de camicie rosse usando a fondo anco li revolver nella pugna ravvicinata; nel mezzo della stessa e con sgomento, uno de li giovini mille se accorse che dell'imponderabile e del inusitato: Giuseppe Garibaldi giaceva a terra, con due sergenti che cercavano di coprirlo e di nasconderlo alla vista al tempo del nemico e dell'amico onde evitare lo sbandamento morale della truppa.

    alla dritta di codesta azione, la compagnia quinta sempre del II battaglione de camicie rosse, assaltava su per il pianto la rimanente compagnia de cacciatori azzurri, già mezzo sbandati in verità dalla fucileria de'mille. Il combattimento non era lungo, che li Napoletani, quasi totalmente distrutti, rotavano anch'essi verso la cima.

    Nieppure nel settore dello I battaglone li Borboni avevan requie, in quanto li falliva la carica de cacciatori a cavallo preceduti dal foco de li birri alla torma Pantalea, che incurante dell'attacco se ne stava piantata in posizione pronta a respinger la carica a bastonate e pietrate. Ora'l frate arguto s'era accorto che la compagnia di manca dello primo battaglione Bixio si preparava a respingere li cavallegeri nemici a precisi tiri, e così faceva facendo fallire anche questa velleità d'offesa delle truppe napoletane.

    Il Turno 3 vedeva dunque la rotta de Borboni, che rimaneva a forza d' una compagnia de Carabinieri, l'artiglieria tutt'ora da spiegare e uno terzo superstite de la compagnia seconda cacciatori, la quale un altro terzo era in marcia per Calatafimi per scortar lo priginiero Bandi.

    E proprio su Calatafimi stava l'altra metà della brigata del Landi, il quale vista la malaparata decideva di chiamar ritirata verso Palermo.

    La pugna si concludia quindi con lo medesimo risultato che l'istoria inquantoché medesimamente idiota era stato lo genereale di Borbone. Ora noi ci chiederemo e constateremo combattendo questa battaglia ancora con al comando non Landi lo corrotto o l'inetto a seconda di quale corrente storica si voglia la seguire; ma con al comando il valente e truculento Gnerale illustrissimo Luigi Varriale, di cui chi scrive è quinquisageno, comandante della 3a divisione Borbona, che con la sua brigata vé al combattimento di persona, sdegnando di affidare il comando al caccasotto Landi.

    Rimanete dunqe connessi con li piccioni viaggiatori della stazione di Calatafimi per tutti li agiornamenti de la prossima pugna.
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  7. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Bene; adesso diamo un' occhiata più approfondita a questa battaglia e a come i Borbonici hanno fatto un sacrilegio a non vincerla. Una vittoria a Calatafimi avrebbe con molta probabilità segnato il fallimento dell'impresa dei mille, con conseguenze storiche incalcolabili, nel senso che sono molto difficili da valutare. Non si sarebbe fatta l'Italia unita? Secondo me, il processo sarebbe solo stato ritardato; ma come detto le conseguenze sarebbero state incalcolabili.

    Dopo aver letto un certo numero di fonti secondarie e pure il racconto di Giuseppe Bandi, che alla spedizione partecipò molto vicino a Garibaldi, mi sono fatto l'idea che il Brigadiere Landi, comandante del contingente borbonico mandato a fermare "li Garibaldesi," abbia peccato come minimo di grave colpa; altre opinioni dicono di dolo!

    Nella precedente ricostruzione abbiamo combattuto quasi pari pari a come i due contendenti combatterono ed abbiamo avuto supergiù lo stesso risultato che si ebbe quel fatidico quel fatidico 15 maggio, con le variazioni del caso, visto che il caso non agisce mai alla stessa maniera in due occasioni diverse; ma possiamo dire che davvero la tattica usata da Landi non poteva che portare alla sconfitta, a meno di clamorosi colpi di sfiga da parte dei Garibaldini.

    In questa seconda ricostruzione invece metteremo di fronte ai rossi un generale capace e che segue i principi basilari della strategia militare, che in ogni tempo mantiene immutati i suoi caratteri fondamentali.

    Il rischio nell'analizzare una battaglia e specialmente nel ricombatterla, è naturalmente quello di agire e giudicare con la conoscenza del poi; errore che molti wargamisti fanno senza neppure accorgersene. E' imperativo dunque partire dalle conoscenze che i due contendenti avevano l'uno dell'altro prima di dare dei giudizi o di variare la natura delle decisioni dei comandanti.

    Quali erano dunque gli ordini impartiti al Generale Landi: riconoscere ed arrestare la minaccia dei delinquenti sbarcati a Marsala ed eventualmente distruggerli. Cosa sapeva del nemico? Secondo le fonti, praticamente nulla a parte che non erano molti e che venivano su dall'abitato di Vita con l'intenzione di fomentare ed appoggiare moti insurrezionali in tutta la Sicilia.

    Cosa fece il generale: divise le sue forze in due di fronte ad un nemico di entità sconosciuta e di cui sembra l'unica informazione che avesse era che si trattava di una banda di briganti. Ma l'informazione non era corretta, ed un generale accorto non divide mai le sue forze se non ha preventivamente svolto una ricognizione che gli dia conoscenza almeno approssimativa delle reali forze ed intenzioni del nemico.

    Nella nostra ricostruzione partiremo da questa decisione per quanto riguarda i napoletani; quella di separare le proprie forze e di mettere un paio di chilometri tra il contingente avanzato del Maggiore Sforza, e quello rimasto a guardia di Calatafimi. Un'altra decisione incomprensibile di Landi fu quella di inviare solamente un ufficiale superiore a comandare le quattro compagnie di fanteria, per di più appartenenti a battaglioni diversi, più il plotone di cavalleria e la mezza batteria di cannoni.

    Noi partiremo da questa situazione: quella reale nella quale il Maggiore Sforza, secondo molti un ufficiale capace e coraggioso, fu messo dal comando superiore. Consentiremo quindi anche al Genereale Varriale di commettere lo stesso errore che commise Landi. Del resto magari era vero che occorreva preoccuparsi delle bande guerrigliere sulle terga della brigata e che il possesso di Calatafimi dovesse essere assicurato in ogni caso, ragioni queste addotte al comportamento indeciso di Landi. Ma se tutto ciò è vero, è vero anche che la sconfitta delle truppe di avanguardia avrebbe provocato, come provocò anche la ritirata inevitabile del resto delle forze, con l'abbandono forzato di Calatafimi al nemico.

    Quindi situazione iniziale immutata e premesse identiche. Comincerò a decidere io invece di Landi a partire dal turno uno. Durante la ricostruzione della battaglia metterò in evidenza man mano che si presenteranno, le differenze tra il comportamento di Landi e quello di Varriale.
     
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    Ultima modifica: 2 Giugno 2019
  8. metalupo

    metalupo

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    Per quanto riguarda i Garibaldini invece come ti regoli?
    Alcune decisioni di Garibaldi è probabile che siano state dettate dal comportamento del nemico.
    Per quanto non fosse un Generale di professione aveva grande esperienza sul campo ed è dimostrato che possedesse una certa abilità tattica.
     
  9. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Turno 1 ore 13.00

    La colonna del Maggiore Sforza avanza sull'altopiano del colle del Pianto Romano con lo schieramento storico delle due compagnie dell'VIII battaglione cacciatori in testa ed una compagnia del II battaglione 10° reggimento fanteria di linea, affiancata da una compagnia del II battaglione carabinieri, in seconda schiera.
    Queste truppe sono seguite dalla mezza batteria di artiglieria ancora in fase di salita sul monte ed appoggiate sulla sinistra dal plotone del reggimento cacciatori a cavallo. Assiste lungo la strada maestra per il comune di Vita anche un plotone di polizia civile locale siciliana, chiamati birri (o sbirri) di campagna dalla popolazione che sembra li avesse particolarmente in odio, in quanto collaborazionisti dei borbonici.

    Ma chi avevano di fronte esattamente le truppe di Sforza quel giorno; ovvero qual'era la pasta reale di cui erano fatti i "mille" di Garibaldi. Ebbene secondo le fonti che ho visto io, i battaglioni di fanteria erano due: uno comandato da Giacinto Carini e l'altro da Nino Bixio. Il primo battaglione era formato dalle reclute più inesperte: studenti e civili con addestramento molto sommario che non avevano mai visto un combattimento prima d'allora. Il secondo invece era formato da truppe veterane, i veri e propri Cacciatori delle Alpi di Garibaldi che avevano combattuto l'anno prima nella Seconda Guerra d'Indipendenza. Tutte queste forze avevano scarse munizioni e fucili di tipo antiquato. A Bixio fu dato il battaglione di inesperti, visto che lui era il comandante più focoso, mentre al più equilibrato Carini si affidò il comando dei veterani.
    I carabinieri genovesi erano truppe molto solide e ben addestrate e sopratutto ben armate con fucili moderni a lunga gittata, che in mani esperte potevano diventare davvero letali. Queste truppe non soffrivano della limitatezza delle munizioni come i due battaglioni di fanteria.

    L'artiglieria era raffazzonata ma con munizioni sufficienti, ed all'epoca dei fatti era costituita da una mezza batteria di due cannoni da quattro libbre su affusti improvvisati. Il personale però era all'altezza e formato da cannonieri di marina. La batteria era alle dipendenze di Vincenzo Giordano Orsini.

    La cavallleria era costituita dal plotone delle guide, che però non aveva ancora nemmeno un cavallo e veniva usato quindi come fanteria leggera esplorante.

    Tutte le forze garibaldine, secondo la totalità o quasi le fonti, erano animate da un'eccellente morale e spirito combattivo; e logicamente non poteva essere altrimenti in quanto per una causa o per l'altra erano tutti volontari ed a nessuno di loro erano stati promessi né lauti compensi in denaro né la possibilità di razziare bottino. Garibaldi fu sempre molto severo, secondo la maggioranza delle fonti, nel tenere sotto controllo i suoi. Alcune fonti su questo non concordano.

    Le forze alle dipendenze del maggiore Sforza invece, erano composte da un mix di tre corpi diversi dell'esercito borbonico: cacciatori, carabinieri e fanteria di linea. Completavano l'avanguardia del maggiore un plotone di cacciatori a cavallo con compiti esplorativi e di collegamento e la mezza batteria di artiglieria da montagna da sei libbre, ben superiore all'artiglieria garibaldina. Per quanto riguarda la qualità e l'equipaggiamento di queste truppe se ne sono sentite e scritte di tutti i colori. Penso che la verità possa collocarsi nel fatto che i mille si trovarono di fronte a truppe ben addestrate, magari meno motivate rispetto ai garibaldini, ma con un equipaggiamento mediamente superiore. In particolar modo le forze speciali costituite dal battaglione dei cacciatori, di cui due compagnie alle dipendenze di Sforza, erano dotate di moderni fucili belgi modello 1850, in tutto e per tutto comparabili all'armamento sofisticato dei Carabinieri Genovesi. L'artiglieria era poi superiore a quella garibaldina in calibro e qualità; pari invece il numero dei pezzi, giacché Varriale, come Landi, aveva fatto l'errore di trattenere presso di sé mezza batteria.

    Per questo primo turno l'iniziativa è nelle mani dei Napoletani, e tale rimarrà fino a quando non si sparerà il primo colpo. In avanguardia assoluta dello schieramento borbonico c'é la 2a compagnia dell'VIII cacciatori. Questa avanza fino alla propaggine sud del pendio del monte del Pianto dei Romani e là s'arresta per compiere l'osservazione della vallata di fronte, dove sono stati riportati movimenti sospetti.

    La compagnia riferisce al Maggiore Sforza di vedere sparsi sulla costa del monte Pietralunga gruppi sparsi di armati, un due o trecento almeno. In più scorge un gruppetto di forse due decine nella valletta che separa i due massicci, più avanzato di tutti gli altri. Si tratta delle guide appiedate di Garibaldi che non hanno ancora trovato terreno adatto nella valle per nascondersi.

    Quello che gli osservatori della 2a compagnia cacciatori avvistano è infatti la parte del contingente garibaldino che non è riuscito a nascondersi alla vista del nemico come Garibaldi aveva ordinato. E d'altra parte non era un compito facile inquantoché parte della costa del monte Pietralunga è brulla e priva di caratteristiche morfologiche atte all'occultamento.

    La 1a compagnia cacciatori napoletana, posta alla sinistra ed arretrata rispetto alla prima, avvista un'altro gruppo di ribelli lontano ad est, nascosto su una cima isolata circa 600 metri dalle posizioni borboniche (si tratta di uno dei gruppi di picciotti siciliani schierati alle ali del dispiegamento garibaldino). Un'altro gruppo di questi irregolari (e per irregolari intendo dire privi di qualunque addestramento militare, giacché giuridicamente tutti i componenti della spedizione erano irregolari), viene avvistato su un'altra altura, questa volta ad ovest delle posizioni borboniche dal Maggiore Sforza in persona presente tra i ranghi della 3a compagnia cacciatori. Tutto il resto delle truppe di Garibaldi, vale a dire altre due compagnie di cacciatori ed i carabinieri genovesi piazzati anch'essi nella valle in avangurdia, non appaiono alla ricognizione dei Borbonici, così come si fallisce d'individuare la batteria d'artiglieria garibaldina posta lungo la strada maestra Vita-Calatafimi, dietro alla quale ben nascosto, i Garibaldini hanno schierato in profondità l'intero loro 1° battaglione cacciatori agli ordini di Nino Bixio.

    Quindi in definitiva alle 13.00 il Maggiore Sforza crede di avere di fronte un paio di centinaia abbondanti di balordi sparsi sul colle di fronte a lui alcuni dei quali sono già avanzati nella valle, più due manipoli di loro colleghi altrettanto balordi schierati sulle alture circostanti con scopi evidentemente di ricognizione e protezione dei fianchi.

    Ora noi sappiamo che molti reparti garibaldini Sforza non li ha individuati; lui però non lo sa ed è da chiedersi se a questo punto è giustificabile per Sforza di ridare l'ordine storico di attacco alle posizioni conosciute del nemico come fece nella realtà: io direi di si, ma storicamente Sforza attaccò solo con le due compagnie cacciatori, lasciando cavalleria, artiglieria e due comapgnie di fanteria in riserva. Noi invece lo faremo attaccare con la massa delle forze riunite, tranne il plotone di cavalleria che per il momento ci teniamo come mezzo di comunicazione veloce con Varriale, nel caso qualcosa non vada per il verso giusto. Ma il maggiore borbonico non ha nessuna intenzione di attaccare a cacchio; ha visto abbastanza nemici sull'altro colle da sapere che straccioni o non straccioni sono gente armata ed allineata e va trattata come tale. Pertanto dispone che che la prima compagnia del reggimento di linea si affianchi alla seconda compagnia cacciatori sul ciglio sud del Pianto dei Romani, così come che la mezza batteria dei 6 libbre venga inerpicata fino alle posizioni avanzate. Lo Sforza ragiona che piazzando le sue compagnie di fanteria in linea fino ad ultimazione dei preparativi d'attacco, il peggio che gli possa capitare è che il nemico attacchi lui, e ben venga: i Garibaldini dovrebbero venir su per la scoscesa costa del Pianto e piangerebbero anche loro. In altre parole il nostro sforza non ripete l'errore di attaccare alla spicciolata con due compagnie senza alcun appoggio.

    Mentre il nostro ufficiale borbonico osserva il passaggio faticoso dei pezzi di artiglieria, giunge un cavallegero del plotone cacciatori di stanza sulla strada maestra, per informare il comandante che un drappello di briganti si è attestato su un cocuzzolo scoperto che controlla la strada e impedisce così sia alla polizia siciliana che alla cavalleria di spingersi innanzi verso Vita per esplorare il terreno. Il cavalleggero domanda con i complimenti del signor tenente comandante del plotone, se egli possa autorizzare una carica per sloggiare gli straccioni dal picco. Dal lato ovest, indica a gesti il cavaliere, ché la zona è in perfetta visuale dal luogo in cui Sforza e lui stanno discorrendo, c'è una salita non troppo scoscesa che si presterebbe all'operazione. Il Maggiore ci pensa, osserva la posizione dei briganti (che peraltro altro non sono che la banda di picciotti comandati da Frate Pantaleo alla sinistra dello schieramento garibaldino), quella dei suoi cavalieri e poi autorizza. Di gran lena il cacciatore a cavallo se ne parte al galoppo alla volta del suo comandante. La carica si rivelerà poi non necessaria, in quanto non appena la turma nemica riceve qualche schioppo da valle ad opera dei birri di campagna, Frate Pantaleo o no, si dà alla fuga disordinata sulla batteria di artiglieria garibaldina. Per cui il plotone di cavallegeri borbonici si avvia lungo l strada al passo attraversando la posizione dei birri che hanno ancora i fucili fumanti. Non appena usciti dal boschetto occupato dai loro amici, percorsa una S che immette sulla strada per Vita, scorgono però le bocche da fuoco di Orsini puntate dritte sulla strada ed un'altra moltitudine di armati in abiti civili (si tratta della 4a compagnia del I battaglione per al quale non c'erano abbastanza camicie rosse). Con gran prontezza, la coppia di cavalieri di testa danno l'allarme ed il plotone volge le terga e se ne torna da dove è venuto. Il suo compito l'ha fatto: ha esplorato ed ha scoperto una nuova posizione nemica. Il tenente che comanda il plotone si appresta a mandare veloce un altro messaggero al Maggiore Sforza. Invece a Bixio, presente di persona nell'esagono della 4a, non rimane che bestemmiare per come i suoi si sono fatti prima scorgere e poi battere in velocità dal nemico.

    Adesso è il turno dei Garibaldini. Vediamo quindi quali avrebbero potuto essere le decisioni del capo, nascosto con la 7a compagnia presso il comando di Carini: Il nemico è attestato in cima al poggio, sbarra la strada per Caltafimi, non ha attaccato e sta per disporre la sua artiglieria. E'chiaro che bisogna anticiparlo. Garibaldi dà ordine ad Orsini di cominciare il tiro di spianamento sul nemico attestato anche perché oramai la posizione dei cannoni è nota al nemico. Poscia l'intero secondo battaglione muoverà all'assalto del Pianto dei Romani.

    La mezza batteria garibaldina apre quindi il fuoco sulle posizioni tenute dalla 3a compagnia cacciatori borbonica, posizione attraverso la quale sta transitando anche l'artiglieria nemica ancora agganciata ai cavalli. E' sicuramente il momento propizio per dare inizio alle danze. Le palle da quattro cominciano a cadere sulla destra dello schieramento borbonico, e per miracolo non causano perdite. I cacciatori borbonici non possono rispondere al fuoco; 600 metro sono troppi anche per i loro fucili belgi modello 1850, ma nel prossimo turno i cannoni saranno messi in posizione e se si riesce a proteggerli per un altro turno, potranno in quello successivo farsi sentire anche loro.

    L'attacco della fanteria garibaldina si apre con il tiro dei carabinieri genovesi contro le posizioni avanzate dei Borbonici; è presa di mira la 2a compagnia cacciatori schierata sulla destra di tali posizioni. I borbonici reagiscono prontamente al fuoco, individuate che hanno le vampe della fucileria nemica. Una decina di borbonici cadono ma il plotone dei carabinieri è preso da un fuoco d'infilata micidiale ed è decimato; il Tenente Bandi è uno degli ultimi a cadere, ancora non si sa se morto o ferito. La precisione del tiro dei cacciatori borbonici schierati a pié fermo è micidiale.

    L'attacco si apre quindi sfavorevolmente per la compagine dei mille con i carabinieri ridotti al silenzio immediatamente; è dubbio che il plotone sia ancora combat effective dopo la ripassata subita. Bixio, sentite le prolungate scariche di fucileria, di iniziativa comincia a far muovere il suo battaglione lungo la strada. Superate le postazioni dei cannoni, con in testa la 7a compagnia, il battaglione esce dalle posizioni di partenza. L'idea di Bixio è chiara: vuole avanzare lungo la strada per Calatafimi, aggirare per la sinistra il Pianto dei Romani e rendersi utile alla carica del battaglione gemello. La compagnia di testa coglie di sorpresa i birri inquattati tra gli alberi lungo la strada e ancora montati, ma non la 3a compagnia cacciatori sul margine ovest del monte, che la vede ed apre il fuoco d'arresto. Cadono una trentina di uomini della 4a compagnia, Bixio si salva perché i suoi lo tirano indietro in tempo. Il fuoco di risposta della 4a è inefficace, che gli ufficiali sono impegnati a tenere a posto i plotoni scossi dalle scariche borboniche. Una parte del plotone di testa apre però il fuoco contro i Birri, causando confusione ma non perdite. La stessa compagnia napoletana apre poi il fuoco contro il resto della colonna di Bixio man mano che questa si presenta in linea di visuale trafilando oltre la posizione dell'artiglieria di Orsini, ma la cadenza e la coordinazione del fuoco decadono ad ogni scarica e le truppe garibaldine non subiscono ulteriori perdite anche se la disorganizzazione tra i reparti inesperti si fa sentire e si vede.
    Sul fronte del II battaglione di carini scatta pure l'attacco così articolato:
    alla sinistra del fronte di attacco scatta la 5a compagnia ed a destra l'8a. Originariamente il settore sinistro avrebbe dovuto essere affidato alla 4a compagnia, personalmente guidata da Carini, ma avvenne che all'ordine del comandante di muovere all'assalto, la compagnia titubò e fu buona grazia che fu scavalcata immediatamente dalla gemella 5a. La furia di Carini a questo episodio di codardia è senza misura e vi saranno certamente delle conseguenze alla fine della battaglia.

    Comechessia i Garibaldini cominciano ad inerpicarsi lungo il pendio del Pianto dei Romani, brullo di ripari e dove c'è solo da correre in salita a pedifiato tra le coltivazioni ed i fossi. Una carica di altri tempi la si definirebbe oggi. Di fronte all'impeto della 5a compagnia garibaldina, i cacciatori borbonici della 2a compagnia, già disturbati dal tiro dei carabinieri durante il turno, perdono coraggio e ripiegano dietro alle compagnie di seconda schiera, mentre alla destra il combattimento tra l'8a e la fanteria di linea borbonica è feroce, che i Napoletani non vogliono saperne di ritirarsi. Prima spazzano col fuoco il pendio causando peraltro pochi danni ai demoni garibaldini che vengono su urlando, e poi avviene il contatto che è tremendo per i Napoletani che perdono più di metà degli effettivi tra morti e prigionieri, tutti feriti. Quello che rimane della 1a compagnia/II battaglione/10 reggimento fanteria di linea, si dà alla fuga lungo l'altopiano, seminando lo scompiglio tra le truppe borboniche retrostanti.

    Alla fine del turno la situazione è la seguente:

    il secondo battaglione garibaldino è fermamente attestato sulla cima del Pianto dei Romani, dove due comapgnie di borbonici sono state messe in rotta, una delle quali con gravissime perdite. L'attacco di Bixio sulla destra non ha avuto lo stesso successo di quello sulla sinistra, ma non è nemmeno stato respinto. Le perdite del primo battaglione sono superiori a quelle del secondo, e Sforza, boccheggiante sull'altopiano, farà meglio a spedire un cavaliere veloce al suo capo per richiedere rinforzi, prima che i Garibaldini ripetano la storia per la terza volta di seguito; altro che attacco coordinato giù dal pianto.

    Non ci sono caxxi, sti garibaldini sono proprio forti!

    Rimanente collegati con i piccioni viaggiatori siciliani.
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  10. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Assolutamente come hai detto tu; fino a quando non si riesce a strappare l'iniziativa ai Napoletani, si ballerà al loro ritmo. Poi...dipende dalle circostanze.
     
  11. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    nota tecnica; ho girato la mappa di 90 gradi a destra per una miglior visione d'insieme
     
  12. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Turno 2 ore 13.30

    La prima unità borbonica da attivare in questo turno è il plotone dei cacciatori a cavallo che ha la missione di lanciarsi al galoppo sfrenato indietro verso Calatafimi per andare ad avvertire il Generale Varriale della situazione sull'altopiano: i cosiddetti straccioni sono in realtà almeno un migliaio di demoni che vengono avanti minacciando di tutto travolgere e tutto schacciare. E' necessario che il generale si muova con la rimanente mezza brigata, perché che le truppe di Sforza possano ributtare il nemico è un'eventualità quantomai incerta. Alla periferia ovest di Calatafimi, i primi a vedere i cavallegeri con i loro quadrupedi schiumanti dalla bocca, sono i fanti della 3a compagnia II battaglione di linea. I cacciatori proseguono oltre senza nemmeno vederli. Il capitano comandante la compagnia pensa che siano venuti ad annunciare la grande vittoria; non sa e non può sapere che la gemella 1a compagnia, comandata dal suo caro Amico Vitale compagno di corso alla scuola ufficiali, è stata semidistrutta ed è impegnata sulle pendici nord del poggio a contare i sopravvissuti:una ventinaina di uomini. Altrettanto non sa il sottotenente che comanda i cavalieri che le notizie che riporterà a Varriale sono meno gravi della situazione che esisterà alla fine del turno. Gran brutta cosa non avere le radio o la digitalizzazione delle truppe.

    Mentre i cacciatori a cavallo galoppano, lo Sforza si ritrova in prima linea e nel bel mezzo della pugna nell'esagono della 3a compagnia cacciatori, con l'artiglieria ancora da sganciare e piazzare e con l'inimico sulla destra e di fronte. Infatti ha la compagnia di testa di Bixio giù a destra sulla strada e la 5a compagnia del II battaglione Carini ch'ha conquistato la cima sud del Pianto dei Romani. Alla sua sinistra tiene la posizione la compagnia dei carabinieri, ancora abbarbicata agli ultimi tornantelli che danno sulla cima; ma anche questa forza è impegnata di fronte da un'altra compagnia nemica.

    Dietro di loro, assurta a riserva generale, la seconda compagnia cacciatori, malmenata pure questa nel turno precedente dall'urto dé Garibaldini, ed è quella che ha passato parola ai cavalleggeri di andare a dare l'allarme a Calatafimi. Questo reparto non è compromesso avendo perduto non più di una ventina di soldati ma senza dubbio necessita di almeno un turno per riorganizzarsi prima di poter combattere di nuovo.

    A proteggere la strada contro quello che pare un intero battaglione di nemici avanzanti in compatta colonna, lo Sforza non ha ch'un plotoncino di ruffiani a cavallo (i birri) che sarà buono a taglieggiare la popolazione ma non certo a misurarsi contro soldati in piena regola ed imbaldanziti dal successo.

    La situazione è quindi grave ed allo Sforza è il compito di dipanare la matassa; non ha neppure molto tempo per pensare: i Garibaldini gli sono nelle basse terga e da quello che ha visto finora, non sono tipi da mollare l'osso una volta che lo hanno addentato. Ora le opzioni del maggiore sono principalmente due: cercare di ripiegare ordinatamente per accorciare le distanze tra sé ed i rinforzi di Varriale, che sicuramente dovranno accorrere a salvare la giornata, oppure contrattaccare disperatamente con quello che ha alla mano sperando di sorprendere il nemico. Contro la seconda ipotesi pesa la minaccia portata dal nemico lungo la strada, che è una minaccia di sfondare li birri, accerchiare tutte le sue forze sull'altopiano ed annientare completamente la sua mezza brigata. Contro la prima ipotesi pesa una minaccia equivalente: permettere al nemico di venire in contatto con le forze sue disorganizzate in seconda schiera ed averle definitivamente battute. In più deve considerere lo Sforza che la compagnia carabinieri un esagono libero per ripiegare ordinatamente ce l'ha, ma la ritirata della 3a cacciatori e soprattutto dell'artiglieria di fronte al nemico sarebbe manovra pen più rischiosa ed impegnativa.

    Ciò non di meno occorre decidere e manca il tempo per esaminare tutte le possibili conseguenze, ragione per la quale il nostro maggiore si decide per l'attacco. Se accerchiate, le sue forze dovranno resistere fino all'arrivo del Generale Varriale. Sa già Sforza che se fallirà, morrà e nessuna corte marziale lo potrà trarre in giudizio. Non ha idea di quanto è stato preveggente.

    Per prima cosa, pur essendo questa al cospetto del nemico, ordina alla mezza batteria da sei di far piazzare e disporre i pezzi, che se ne avranno il tempo, quando la fanteria avrà sgombrato il campo, potranno punire a dovere il nemico temerario. Poscia agitando la sciabola ed incitando i suoi cacciatori fa innestare le baionette ed ordina la carica dritta e filata contro i ranghi del nemico schierato di fronte che si prepara a continuare l'avanzata.

    Si lanciano dunque all'attacco i prodi della terza. La distanza da percorrere è breve; meno di ducento passi al ritmo di corsa. I Garibaldini non tentennano. Sono i cacciatori veterani del II battaglione e da par loro con calma mirano ed aprono il fuoco. Di danno ne fanno poco, ma quel poco è rilevante, ché tra i pochi stramazzati borbonici lo maggiore Sforza è tra i primi a cadere, fulminato da una palla in testa. A contatto con il nemico sono i cacciatori napoletani ad avere la peggio. I Garibaldini appoggiandosi ad un muretto di fichi d'india ne ammazzano una moltitudine subendo irrisorie perdite loro. Da eroi quali sono i cacciatori dell'VIII battaglione del Re reiterano l'assalto con rinnovato spirito, ma sono oramai troppo pochi. Ciò non di meno non scappano. Il combattimento finisce con l'ultimo manipolo di giacche blu preso prigioniero. I rossi hanno perso tre feriti ed un ammazzato.

    Il tenente napoletano che comanda la compagnia carabinieri alla sinistra del macello vede tutta la scena proprio mentre si accingeva a dare inizio all'attacco ordinatogli da Sforza. Non sa che il maggiore è caduto ma si rende conto benissimo che il combattimento è cessato e che i Garibaldini sono ancora là, quindi devono avere vinto loro. Truppe amiche non ne vede rifluire e quindi ipotizza subito il peggio. E' quindi adesso vieppiù necessario pressare il nemico di fronte, di modo che non possa lanciarsi nel prossimo turno contro i cannoni totalmente indifesi da un attacco di fianco. Senza esitare dunque con gutturali grida ordina l'assalto dei suoi carabinieri contro l'ottava compagnia garibaldina. Questo secondo attacco è quasi una fotocopia del primo, con la differenza che qui i Garibaldini hanno una decina di morti anche loro. Pochi borbonici cadono prigionieri; i rimanenti cadono sul campo da valorosi. Il controassalto di Sforza al secondo battaglione di Carini è una disfatta totale.

    Tutta la scena è osservata al cannocchiale da Garibaldi in persona che immediatamente capisce di aver vinto. Le forze borboniche sulla pendice meridionale del poggio sono annientate. I suoi uomini esausti ma padroni del campo sull'altopiano, una volta riorganizzati potranno spazzare il nemico definitivamente dal resto del campo di battaglia. Occorrerà subitanea proseguire l'offensiva su Calatafimi, onde non dare respiro al Borbone e vincere definitavamente la giornata.

    Per prima cosa Garibaldi osserva de' barellieri dei cacciatori genovesi portar via verso il posto di medicazione presso Vita il Tenente Bandi con la gamba sinistra malamente spezzata da una palla. Quindi immantinente s'industria a ordinare a Carini di muovere il restante del suo battaglione verso l'altopiano per completarne la conquista e distruggere l'artiglieria nemica che par'essere l'ultimo reparto superstite (Garibaldi non può vedere la comapgnia superstite dei cacciatori borbonici che avevano ripiegato al turno precedente). S'affretta poi a mandare una staffetta a Bixio perché soppraffaccia li birri che gli stanno ancora di fronte e si lanci per la strada alla volta di Calatafimi, ove il nemico va impegnato senza indugio prima che possa inventarsi qualche iniziativa. Il Nostro Garibaldi pare Rommel nella ferrea volontà di non dare respiro ad un nemico in difficoltà. Non sa di preciso quante truppe il Varriale ha a Calatafimi, ma le sue spie gli dicono un migliaio.

    Il primo a muovere è proprio Bixio, ch'ha un suo disegno ben preciso: disperdere a fucilate i birri con la quarta compagnia, ed assaltare i cannoni nemici su dal poggio con la terza, prima che possano puntare o pezzo contro le truppe di Carini. Com'ebbe a dire il grande Bonaparte, il tempo...il fattore tempo regna sovrano in battaglia, e di tempo al nemico di far carneficine non bisogna darne. La sua quarta compagnia, come da piani, mette in fuga li birri a schioppettate, che questi volgono le terga ai Garibaldini e si lanciano al galoppo tra le alture campagnole a ovest. L'attacco ai cannoni riesce ma solo parzialmente. Due compagnie del primo battaglione, all'ordine di assalto, rimangono piantate ed indecise confermando la bassa tempra delle truppe di Bixio. Egli dovrebbe essere con ciascuna compagnia per incitarla, ma può essere solo con una alla bolta e adesso è con la compagnia di testa e non può far valere il suo impeto su quelle retrostanti. Siamo sicuri che a fine battaglia farà valere invece la frusta e le improperie a quella truppaglia che gli è stata affidata, secondo il carattere peculiare di quel particolare condottiero. Comechessia i cannonieri borbonici, che non hanno nessuna intenzione di sostenere l'assalto dell'unica compagnia nemica che alla fine si risolve ad attaccare e cioé la prima, In fretta e furia riagganciano i pezzi e si danno alla gran fuga attraversando la strada giù dal poggio, sfruttando lo spazio libero lasciato dalle disorganizzate compaginie di Bixio.

    Il restante del secondo battaglione dei mille serra sotto come da precisi ordini di Garibaldi per rinsaldare il possesso del Pianto dei Romani, avendo così riunito nuovamente la compagine di Carini in quasi due colonne che s'apprestano a continuare l'avanzata. Alla testa di questa legione si pongono dunque le guide che come si portano innanzi prendono contatto quasi subito con i reparti borbonici che si stanno raggruppando sulla pendice nordica del poggio. Il Grande condottiero si tiene in terza schiera con Carini e sfumacchia il suo toscano pregustando la vittoria.
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  13. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Turno 3 ore 14.00 Garibaldini

    L'iniziativa, dopo le batoste prese dai Napoletani, si sposta inesorabile nel campo dei garibaldini che in questo turno attivano per primi.
    I carabinieri genovesi sono la prima unità che viene attivata e continua la sua marcia per sulla strada per Vita allo scopo di salvare la "vita" al Tenente Bandi; se si riesce a portarlo a tempo all'opedale sito nell'abitato, magari lo si riuscirà a salvare lui e la sua gamba e potrà tornare un giorno a combattre nelle successive campagne lungo la penisola italiana. Si tenga conto che anche nella battaglia reale Bandi fu uno dei primi ad essere ferito gravemente, come lui stesso racconta nelle sue memorie della spedizione dei mille.

    Carini e Garibaldi, stabilito il loro posto di comando provvisorio appena in cima al Pianto dei Romani si dispongono a pianificare il proseguio della battaglia: i messaggeri delle guide in avanguardia parlano di una singola compagnia di Napoletani che presidia ancora il poggio, cercando disperatamente di riorganizzarsi dopo i primi due focosi turni. Il Piano dei condottieri dei mille è quello di sfruttare il momento di smarrimento di quello che sembra essere l'ultimo corpo di truppa avversaria organizzata sul monte disturbandola con il fuoco delle guide per poi condurre l'attacco deciso e risolutore con due compagnie del II battaglione.

    Nel settore della strada Vita-Calatafimi, la consegna per Bixio è quella di raccogliere il suo battaglione, avanzare alle spalle del nemico e tagliargli la ritirata verso Calatafimi. Al contempo il colonnello deve tenersi a misura di contrastare qualunque avanzata di rinforzi borbonici di Varriale mentre il battaglione di Carini completa l'opera di distruzione degli stessi sul Pianto dei Romani.

    Come Dio vuole, la 2a compagnia del battaglione cacciatori napoletano è colta dal fuoco delle guide mentre sta cercando di organizzasi su una posizione difensiva basata su un paio di poderi in cima al poggio. Ma questa volta allle guide va male: il fuoco di risposta della linea borbonica è veemente, e la maggiorparte dei Garibaldini che sparano in ordine sparso cadono per le precise fucilate nemiche. Il plotone garibaldino è mietuto come il grano e dovremo investigare nel prossimo turno quali e se ci sono sopravvissuti nel reparto delle guide. Garibaldi e Carini, solo dopo si accorgono di aver dato un ordine folle ai coraggiosi cavallegeri. Carini sollevando di peso la pedina delle guide si rende conto che era in terreno scoperto. Un errore da attrito clausewitziano direbbe il grognard di lungo corso. Comechessia dalle idiozie non si torna indietro né nei wargame né nelle battaglie vere, e adesso Garibaldi da un'altro ordine temerario e d'impulso: imgiunge alle compagnie 5a e 8a del battaglione glorioso di Carini, che già hanno spazzato tre quarti di poggio, di assaltare baionetta in resta que' caparbi di Napoletani che non si decidono a sgombrare il campo. Tenute insieme dal loro gran morale, le forze garibaldine si lanciano all'attacco.

    La 5a avanza dunque a botta dritta da lato a lato del poggio mentre l'8a aggira le guide per la destra per cadere sullo spigolo sinistro della compagine nemica. I cacciatori napoletani sono presi di sprpresa mentre sono intenti a ricaricare le armi e a rassettare la loro posizione dopo il battibecco con le guide. Vedendosi arrivare i diavoli rossi su due lati, non reggono moralmente e si ritirano a rotta di collo giù dal poggio verso Calatafimi. E' solamente dopo che questa ritirata s'é compiuta che le falangi avanzate del battaglione di Carini si accorgono che il Pianto dei Romani è sgombro di truppe nemiche, eccettuato per una sparuta pariglia di soldati del 10° reggimento fanteria di linea, pure loro già sulle scale della discesa. Anche queste forze vengono sloggiate da una pronta carica della 7a compagnia guidata personalmente da Carini, che venuto a conoscenza della residua quanto esigua presenza del nemico dà senza porre tempo in mezzo l'ordine di assalto.

    Dal canto suo Bixio si trova di fronte all'esigenza di ricomporre il suo sfilacciato battaglione, ma non si risolve certo a starsene fermo con la sua fida 4a. S'avanza dunque verso i birri che tentano di osservare i movimenti suoi e questi ultimi ad evitare guai peggiori si lanciano definitavamente al galoppo verso la slavezza di Calatafimi. Dietro Bixio le rimanenti compagnie del primo si raggruppano sulla maestra e cominciano il movimento di ricongiungimento con il loro condottiero, come pure si riaggancia l'artiglieria di Orsini che si crede tornerà sommamente utile se si assalterà l'abitato.

    La disfatta sul poggio è quindi completa per i Napoletani. Ho giocato questo scontro due volte e due volte i Garibaldini le han suonate forti ai Borboni. La condotta dello Sforza non è stata impeccabile e del resto ha pagato con la vita; come disse lui, niuna corte marziale lo potrà indire a giudizio. La ricostruzione fino a qui dimostra in maniera definitiva come davvero l'aver diviso le forze borboniche in due tronconi e l'aver posto tal distanza tra di loro, sia stato davvero l'errore fatale del comando napoletano. A guardare la simulazione, i Garibaldini non abbisognarono di alcun tradimento di Landi per prevalere in questa battaglia. Si poterono contentare della sua idiozia. Adesso noi a Calatafimi abbiamo Varriale e non Landi; e Varriale si è già risolto per la resistenza ad oltranza del borgo, sul ciglio del quale combatterà la sua disperata difesa.

    Solamente adesso i cacciatori a cavallo ed i birri giunti a contatto con gli ufficiali napoletani a Calatafimi, che a loro volta riferiranno a Varriale della misura del disastro patito al poggio, faranno si che il sommo prenda le sue prime contromisure. Ma se guardate la carta sottostante vi accorgerete che son davvero disperate le misure da prendere per provare a salvare la giornata; con metà della brigata distrutta e forze nemiche doppie di numero in avvicinamento, il proseguio della battaglia per i Borbonici s'annuncia arduo e difficile.
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  14. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Ore 14.00 Turno dei Napoletani

    Le notizie portate dai cacciatori a cavallo erano già state bruttine anzichenò, ma la reale portata della disfatta subita dalla colonna Landi viene alla luce dal rapporto sommario che il Tenente Colonnello De Cosiron fa al Varriale avutane notizia dai birri che son venuti a nascondersi tra le gambe delle truppe attestate a Calatafimi.

    La situazione è gravissima: secondo i "vigili urbani", che hanno visto i rimasugli delle truppe di Sforza in ritirata cenciosa giù dai tornanti del poggio, i ribelli sono migliaia ed avanzano sull'altura come sulla pianura, tutti diretti su Calatafimi. Il Generale di Brigata Varriale ascolta, dimezza, e decide il da farsi.

    Prima di tutto dividere le truppe, mai più. Si può scegliere di andare incontro agli insorti o di trincerarsi a istrice a difesa dell'abitato, ma in entrambi i casi lo si farà a forze riunite. Il generale decide subito che lo squadrone di cacciatori a cavallo sarà la riserva generale, pronta a caricare ogni penetrazione nemica, mentre l'altro plotone cacciatori a cavallo che fu di Sforza, sarà usato come elemento esplorante e di collegamento. Il Varriale sale sulla torre più alta del castello di Calatafimi per osservare le posizioni alla periferia della cittadina e per vedere, binocolo alla mano, se riesce ad individuare truppe in movimento giù nella vallata. L'unica cosa che riesce a vedere sono alcune forze borboniche effettivamente in ritirata verso la città e qualche centinaio di metri alla loro destra, un gruppo di civili armati presso la cava del gesso (sono i picciotti siciliani all'ala destra garibaldina).

    Poi, velocemente il generale pensa a come condurre la difesa; a differenza di Landi lui di ritirarsi non ha nessuna intenzione. La presa di Calatafimi, ammesso che avverrà, i ribelli dovranno pagarla cara. Sempre scrutando col binocolo, Varriale individua un certo numero di posizioni chiave alla periferia ovest dell'abitato, sia in piano che a mezza costa sull'altura sulla quale la città è piantata. Chiama a sé i suoi ufficiali e si mette a dare le prime disposizioni. Dal punto di vista strategico ha già deciso che condurrà una difesa d'arresto dell'abitato di Calatafimi, limitando la manovra al contrassalto ed al rintuzzamento di qualunque tentativo di accerchiamento da parte del nemico.

    Per prima cosa dispone che la mezza batteria d'artiglieria che gli rimane venga piazzata tra le rampe che si abbarbicano su per la collina di Calatafimi, da cui godranno di un'eccellente visuale su tutta la vallata. Poi decide che disporrà il battaglione di fanteria di linea (meno la compagnia distrutta al Pianto dei Romani) al "piano terra", cioé a difesa delle prime case dell'abitato fronte a ovest in uno schieramento semicircolare che guardi l'accesso alla strada maestra e le provenienze dal Pianto dei Romani.

    Al primo piano schiererà le truppe scelte, vale a dire il battaglione cacciatori e quello carabinieri. Queste forze saranno schierate nelle posizioni immediatamente sopraelevate alle precedenti tra le case a mezza costa dell'abitato come supporto di fuoco alla prima schiera e riserva. Tali truppe vanno completate con quelle in riflusso dal pianto (noi sappiamo essere una compagnia più o meno intatta tra fanti e cacciatori ma il varriale non ne sa nulla e può solo sperare). Al piano di sopra, e cioé tra gli ultimi tornanti di accesso all'abitato si schiererà la mezza batteria che ancora rimane a disposizione (anche qui il Varriale non sa che la rimanente mezza batteria sta cercando di districarsi dall'accerchiamento del battaglione di Bixio e deve quindi considerarla come perduta).

    Come riserva di ultima istanza e truppe per la manovra, la cavalleria alle dirette dipendenze di Varriale, il quale trattiene presso di sé il plotone cacciatori a cavallo come guardia personale e con compiti di collegamento con i suoi ufficiali. Il Varriale vorrebbe scendere a valle con lo squadrone di cavalleria, ma i colonnelli lo convincono a rimanere nel castello dal quale può tutto osservare e tempestivamente dare gli ordini.

    Lesti gli ufficiali dello stato maggiore del supremo si affrettano a diramare gli ordini ed a prendere posto presso i loro comandi avanzati.

    Lo schieramento a testuggine ideato dal Varriale: npn è detto che per lo Garibaldesi sarà una passeggiata.
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  15. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Ore 14.30 Turno 4

    L'iniziativa è ancora saldamente dei Garibaldini. Il plotone delle guide fa il conto del macellaio ed ha una decina di feriti leggeri ed un'altra di feriti gravi; miracolosamente nessun deceduto, che è davvero notevole considerato la ripassata che ha subito nel turno precedente. Cio non di meno, riceve l'ordine di riportarsi su Vita direttamente da Garibaldi. La quarta compagnia di Nino Bixio deve controllare il morale per vedere se matiene la sua integrità con tutti i feriti leggeri che ha accumulato nel corso degli scontri, e supera il controllo. Adesso si tratta di vedere come portare avanti le operazioni.

    Certamente la mancanza del plotone delle guide si farà sentire dal punto di vista dell'esplorazione, ma Garibaldi conta di avvicinarsi prudentemene all'abitato di Calatafimi con il II battaglione dal lato sud, attraverso la pianura alle spalle del Pianto dei Romani e con il I battaglione dal lato ovest lungo la strada; si cercherà una buona altura dove piazzare l'artiglieria e se i borboni non decidono di sloggiare, si darà senz'altro l'assalto all'abitato. Per adesso le notizie non sono incoraggianti affatto, ché un paio di picciotti del gruppo ovest sono corsi a lui riferendo che la borbonaglia si sta tutta organizzando e e preparando per la difesa della città. Garibaldi dovette sentirsi un po'come Rommel nel '41, qudno sbaagliato il nemico in Tripolitania, si dovette apprestare all'investimento di Tobruk.

    Comunque le forza garibaldine si mettono in marcia verso il loro obiettivo: il battaglione di Nino Bixio si incolonna lungo la strada Vita-Calatafimi, con la 4a compagnia che si mette in lenta marcia pr consentire alle altre tre di riunirsi ad essa. Di iniziativa il primo condottiero di Garibaldi da ordine alla 2a compagnia di deviare ad ovest lungo una stretta valletta per porsi all'inseguimento della batteria di cannoni napoletani scampati alla battaglia del Pianto dei Romani, di controllarne i movimenti allo scopo di impedirgli di prendere alle spalle o di sorpresa lo schieramento garibaldino ed infine di distruggerla o catturarla se se ne presenta l'occasione.

    Il secondo battaglione si incammina anch'esso senza lungo i tornanti che scendono giù dal Pianto lato nord con nell'ordine l'8a compagnia seguita dalla 7a con Carini, la 5 con Garibaldi e la 6a che chiude la colonna.

    Per ultimo, della banda di picciotti che ha avuto lo spiacevole inconveniente con i birri, i sopravvissuti vengono lasciati dal frate Pantaleo che ammette di dover dar requie a quegli sventurati. Il focoso frate si incammina da solo su per il Pianto dei Romani con l'idea di raggiungere l'atra banda di patrioti siciliani alla cava di gesso, e vedere da lì come contribuire alla liberazione della sua terra.

    Dal lato dei Borboni sulla torre maestra del castello il Varriale, binocolo alla mano ch' oramai s'è rotto gli occhi a scrutarci dentro, ha la chiara e spaventevole situazione tutta davanti a sé: scorge le moltitudini nemiche rotolar giù per il poggio e dilungarsi sulla strada a lento ma inesorabile passo. Saranno più di mille giudica il comandante napoletano, non meno deciso di prima ad opporre a quelli tutta la sua forza. Sulla sinistra osserva i gruppi sbandati di soldati suoi tornare dal campo di battaglia; uno grande (si tratta dei cacciatori della 2a compagnia) ed uno piccolo (si tratta di una decina di sopravvissuti della 1a comagnia fanteria di linea). Queste forze si dirigono verso l'angolo sud della città; non c'è ancora modo di mandare un messaggero senza rischi per indirizzarle sui loro nuovi ordini, ma ci sarà al prossimo turno. Già vedendole così quelle sparute schiere di scampati, il Varriale capisce che la compagnia fanteria a piedi è oramai inutilizzabile; più speranze ripone sui cacciatori, che ha già deciso farà rientrare nei ranghi del loro proprio battagllione per la difesa del lato ovest del perimetro.

    Sul versante ovest appunto, Varriale predispone che i carabinieri al comando di Francesco Cosiron allunghino un po' le posizioni in maniera da coprir le prime case dell'abitato sgombrate dai civili, che vanno tutti a rifugiarsi al di là del castello. La protezione degli edifici servirà per meglio resistere all'assalto nemico che si pronuncia oramai sicuro. I carabinieri trovano una solida posizione, dove la 1a compagnia si installa appunto negli edifici mentre la terza alla sinistra sale su un bozzello di terra che ospita i primi tornantelli di accesso alla città. De Cosiron è fiducioso; guarda in alto dietro di lui e scorge i due cannoni da 6 di Varriale, guarda a destra ed a sinistra e vede i suoi carabinieri magnificamente schierati in linea d battaglia l'una compagnia e trincerata l'altra. Il collega Pini gli ha detto che attende di riunire i cacciatori per fornirgli valido rincalzo e fuoco di supporto alle terga: che vengano pure i balordi ribelli; che là li fermeranno.

    Turno di transizione: le parti si preparano alla seconda fase della battaglia di Calatafimi, che nella realtà non ebbe luogo. A noi scoprire come sarebbe finita.
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  16. Luigi Varriale

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    Ore 15.00 Turno 5

    I Borbonici riorganizzati alla meglio riconquistano l'iniziativa sulle forze garibaldine che se la prendono comoda nel raggruppare le loro forze per la seconda parte della battaglia. Essenzialmente utilizzano il turno per completare il rientro delle due compagnie dei superstiti del Pianto di romani nelle linee difensive: la 2a compagnia cacciatori trafila lungo lo schieramento del II battaglione fanteria di linea e si va ad attestare di fronte alla 1a compagnia gemella, che ricordiamo essere quella compagnia cacciatori che non si è mai mossa da Calatafimi. Ricordiamo anche che la 3a compagnia dell'VIII cacciatori è stata distrutta. Alla testa di quello che rimane del battaglione si mette il Tenente Colonnello Pini, che prende posto tra i ranghi della 1a compagnia, nella posizione più soprelevata allo scopo di far valere i suoi fucili a lunga gittata. Per quanto riguarda la 1a compagnia del II battaglione fanteria a piedi, che sta anch'essa tentando di rientrare, dobbiamo dire che è in ritardo in quanto ancora esausta dagli scontri precedenti ed oramai ridotta a poco più di una decina di soldati completamente demoralizzati. Non credo che questa unità potrà ancora far sentire il suo peso nella battaglia. Infine la semi batteria di artiglieria in ritirata si affretta con cavalli e carriaggi a postarsi verso Calatafimi da ovest cercando di mantenere le distanze dalla compagnia del I battaglione di Bixio che la insegue.

    Per i Garibaldini è venuto il momento di decidere come vogliono affrontare l'attacco a Calatafimi. Avviene un conciliabolo fra i tre comandanti dei mille alla base del Pianto dei Romani lato nord. Garibaldi, con l'accordo dei suoi, in questo turno per lo meno stabilisce di piazzare la batteria di Orsini in un punto prossimo alla cava del gesso da cui secondo una ricognizione fatta personalmente da Carini si dominerebbe l'intera zona della città compatibilmente con la non eccezionale gittata dei cannoni disponibili.

    Per il momento le forze garibaldine possono solamente avanzare lungo le principali vie d'accesso, che sono come sappiamo la strada maestra da Vita e le pendici nord del Pianto dei Romani. Nella marcia d'avvicinamento la seconda compagnia del II battaglione scorge la maggior parte delle truppe borboniche attestate a difesa sul lato sud, che occupate come sono a piazzarsi non sono riuscite ad occultarsi, mentre il battaglione di Bixio, avanzante lungo la maestra, ha più difficoltà per vie delle curve e dei boschi che si frappongono tra lui e le truppe nemiche. si decide infine di riimmettere nella battaglia il plotone delle guide e con un contrordine Garibaldi gli fa invertire la marcia, per accorrere sul campo di battaglia. Infine, i cacciatori genovesi si mettono anche loro in cammino verso nord, dopo aver trasportato il Tenente Bandi all'ospedale di Vita. Sulla base delle ricognizine dette sopra, nel prossimo turno i Garibaldini divranno formulare il loro piano d'attacco e posizionare le forze di conseguenza.
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  17. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Turno 6 ore 15.30

    In questo turno i Borbonici mantangono l'iniziativa e la usano per sistemare meglio le loro forze a difesa di Calatafimi, cercando di occultarle meglio alla vista del sopraggiungente nemico. L'operaione riesce alla 1a comapagnia carabinieri, alla semi batteria arroccata in cima all'abitato ed allo squadrone di cacciatori a cavallo, che riesce a nascondersi anch'esso tra le case nelle terrazze più alte. Inoltre l'altra semibatteria di artiglieria contnua il suo movimento per raggiungere i suoi colleghi. Il problemaa per questo reparto, in fuga oramai da tre turni, è che per accedere alle prime rampe d'accesso alla città deve seguire la strada che paradossalmente la riavvicina alle forze nemiche (quelle di Bixio) che si appropinquano da sud ovest; decidono di correre il rischio. Per quanto riguarda la fanteria a piedi del 10° reggimetno (II battaglione), non esiste più la possibilità di nascondersi al nemico, in quanto già avvistata nei turni precedenti. Tutte le forze che si presume entreranno in contatto con il nemico nel prossimo futuro si schierano in linea di battaglia per massimizzare la potenza di fuoco.

    E viene così la parte di turno garibaldino: Il Generale Garibaldi, dai rapporti che gli sono pervenuti circa la dislocazione delle forze nemiche, ha già deciso di concentrare il suo attacco sul lato ovest delle difese borboniche dove sono state individuate le posizioni dei carabinieri nemici. La decisione deriva dal fatto che sembrerebbe il lato meno esposto al fuoco. Prima di iniziare l'attacco però è indispensabile completare la ricognizione, trovare il migliore spiegamento per le truppe d'assalto e piazzare in luogo adatto la sparuta artiglieria.

    La 4a compagnia del battaglione di Nino Bixio è la prima ad affacciarsi alla vista dell'accesso a Calatafimi da ovest. Marcia in colonna fino all'ultima curva che dà sull'abitato e viene in contatto con la batteria borbonica che si stava ritirando e con il fianco destro della 3a compagnia carabinieri. Quest'ultima non può aprire il fuoco visto che il nemico gli appare sul fianco destro, ma la compagnia di Bixio può e non mette tempo in mezzo. Purtroppo il fuoco risulta inaccurato, anche perché essendo la 4a in colonna non può mettere in campo tutta la sua fucileria. Riesce però ad avvisare Bixio della presenza dell'artiglieria nemica sul suo fianco sinistro, ed immediatamente la 3a compagnia del I battaglione si precipita ad attaccarla. Con Bixio stesso in testa alla colonna, la compagnia garibaldina assalta senza meno i cannoni nemici che sono agganciati ai loro trasporti e non possono difendersi. La batteria nemica, già stremata dai movimenti precedenti, non ha né il tempo né la forza di sottrarsi all'improvviso assalto; alcuni serventi cercano debolmente di reagire con i moschetti ma invano. Si viene dunque alla mischia dove gli artiglieri si difendono in maniera sorprendentemente energica. Al primo urto pur venendo ammazzati in gran numero, reagiscono coraggiosamente atterrando almeno una decina di nemici. I garibaldini, sorpresi dalla reazione titubano e deve intervenire Bixio in persona, sciabola in mano a tenere fermo il morale. Al secondo assalto i cannonieri sono spazzati via, ed i cannoni catturati. Magari non si potranno usare subito per mancanza di serventi, ma comunque i Garibaldini se li prendono; magari potranno essere usati in futuro.

    Ora il problema per la compagnia di Bixio è che l'impeto dell'assalto l'ha portata ad un esagono dalla 1a compagnia carabinieri borbonica attestata nelle primissime casupole dell'abitato di Calatafimi. Questi ben nascosti ed in linea aprono immediatamente il fuoco di reazione sugli ignari ed esaltati garibaldini. Il fuoco dei Napoletani, non preparato perché il nemico è apparso all'improvviso non è molto efficace e solo qualche sparuto garibaldino cade. Invece il fuoco di risposta della 3a compagnia è efficace, e nonostante che i carabinieri siano riparati in un paio di edifici, hanno perdite sensibili, falliscono il morale e si disorganizzano. Nel mentre avvengono queste scaramucce, il resto del I battaglione garibaldino si incolonna dietro alle due compagnie di testa che sono alle prese col nemico allo scopo di dare consistenza allo schieramento. Garibaldi intanto si lamenta con gli altri subalterni che come al solito quando c'è di mezzo Bixio, da una semplice ricognizione si arriva tosto ad una battaglia campale.

    Il II battaglione deve risolversi quindi ar intervenire anticipatamente nell'azione e Garibaldi lo fa disporre in due colonne in profondità composte ognuna da due compagnie. In prima schiera si dispongono la 7a e l'8a con Carini alla sinistra, mentre in seconda schiera si dispongono al 5a e la 6a con Garibaldi sempre a destra. Queste forze vengono a tiro del battaglione (-1 compagnia) di fanteria a piedi borbonico e si arriva alla fucileria. La scarica dei borboni è per battaglione in linea: l'8a compagnia garibaldina non subisce grossi danni, ma la 7a ha molti caduti, e solamente la presenza di Carini che rimane miracolosamente illeso, evita la rotta del reparto di destra dalla prima schiera garibaldina. Il fuoco di risposta è inefficace nei confronti dei Napoletani ben imbucati nelle prime case del vesante sud dellpabitato.

    Riepilogando, attacco deciso di Bixio a ovest che cattura una batteria nemica e scontro alla distanza sul lato sud, dove la posizione accuratamente scelta da Varriale per il dispiegamento del II fanteria di linea dà i suoi frutti. C'è da sperare adesso che se entrano in battaglia i quattro libbre garibaldini le cose possano andare meglio. Già dalle avvisaglie di questo turno però possiamo notare come forse Landi avrebbe dovuto pensarci due volte prima di abbandonare una posizione forte come l'abitato di Calatafimi.
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  18. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Turno 8 16.00

    Riunite le compagnie in battaglioni per maggior chiarezza sulla mappa, i Garibaldini riconquistano l'iniziativa in questo turno. Il supremo decide che a costo di perderla, deve avvicinare l'artiglieria all'abitato il più possibile per via della scarsa gittata dei quattro libbre. Frate Pantaleo corre a rotta di collo per raggiungere i Picciotti che vengono destinati ad appoggiare l'attacco al lato sud del paese del battaglione di Carini, ed arriva a destinazione con la lingua in terra. Cotale Battaglione, giacché deve attendere l'artiglieria per dare l'assalto, viene fatto disporre in linea e scambia fuoco di fucileria inconcludente con il II battaglione fanteria napoletano.
    I picciotti si dispongono in linea alla destra del II battaglione dei Garibaldini. Le guide arrivano anche loro sui cerchioni alla destra dei picciotti, per dare ancora più consistenza al futuro attacco garibaldino sul lato sud dell'abitato. Si avvicinano anche i carabinieri genovesi in colonna di marcia. A Bixio con il suo I battaglione viene affidato il ruolo diversivo sul lato ovest e si appresta ad incominciare la sua avanzata dimostrativa. Anche qui scambio di fucilate ineffettivo con i carabinieri ed il battaglione di Bixio mantiene la posizione acquisita. L'artiglieria borbonica ancora tace.

    Adesso per il Generale Varriale é tempo delle decisioni irrevocabili: delle unità non attivate nella porzione di turno garibaldina e quindi muovibili durante la porzione sua, l'VIII cacciatori sta troppo bene dove sta in posizione sopraelevata rispetto al II fanteria. Per dare una scossa ai briganti si potrebbe ordinare una carica della sua cavalleria leggera sul battaglione nemico a sud della città, ma si corre il rischio che la carica venga presa sotto il fuoco da due lati, e lo squadrone di cacciatori a cavallo è una carta troppo preziosa per essere sciupata. Però il battaglione nemico ad ovest che minaccia sul fianco la sua fanteria in qualche modo bisogna infastidirlo, quindi il Varriale manda un portaordini a cavallo ad ordinare ai birri di aggirarlo per la destra allo scopo di prenderlo a fucilate dalle terga. Il plotone di cavalleria si port quindi in una posizione favorevole per aprire il fuoco, e dopo essere smontato da cavallo si mette a sparacchiare un po' a caso contro il fianco sinistro della colonna di Bixio. Questo non si perita nemmeno di ruotare il battaglione per rispondere al fuoco, in quanto a sud si sta per disporre l'artiglieria garibaldina che rappresenta un ben più minaccioso avversario. Le truppe di Bixio si limitano a prendere riparo come possono tra una cascina ed un filare di aranceti presenti nell'esagono. Tra l'altro con questa scarica i Birri finiscono le munizioni e diventano del tutto ininfluenti ai fini del proseguio della battaglia. Per ultima entra finalmente in azione la batteria di artiglieria borbonica, il cui tiro è diretto dal Varriale in persona, sul secondo battaglione di Carini giù nella valle. Una decina di caduti, ma il reparto tiene fermo il morale sotto lo sguardo torvo Carini per primo che fa finta di non curarsi dé palle nemiche.

    Sta quindi per cominciare l'ultimo assalto; non appena la batteria garibaldina sarà piazzata e comincerà il tiro di preparazione, vedremo alla fine come finirà questa battaglia.

    Si completa l'allineamento garibaldino a sud. L'artiglieria si prepara a piazzare i cannoni per battere l'abitato. L'ultimo atto di questa piccola battaglia sta per avere luogo. Sul lato ovest, le scaramucce di assestamento ed il tentativo di birri di disturbare l'attività del battaglione di Bixio.
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  19. Luigi Varriale

    Luigi Varriale

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    Ore 16.30 Turno 9

    Mentre l'artiglieria dei garibaldini viene sganciata messa in posizione, il battaglione di Carini rinserra le file dopo le leggere perdite subite nello scorso turno. Avanzano le guide, che si affiancano ai picciotti per completare la linea offensiva che adesso va da loro in su fino al II battaglione.

    A Bixio viene dato l'ordine fatale, portato per bocca dello stesso Garibaldi di dar l'assalto ai carabinieri borbonici chepresidiano la periferia ovest di Calatafimi. Non attendeva altro Bixio che di avere l'onore delle operazioni di assalto alla città. Si mette in testa alle sue truppe e si prende la prima palla in petto che lo fulmina prima c'abbia fatto 50 metri. Il battaglione testimone della scena si ferma, tituba, e poi si sbanda ritirandosi verso sud a tutta velocità. Non comincia bene l'attacco dei Garibaldini alla roccaforte napoletana.

    Per ultimi a passo di marcia ed in ordinata colonna, continuano ad avvicinarsi i carabinieri genovesi, che quando potranno unire il fuoco dei loro fucili di precisione a quallo degli attaccanti, si spera facciano girare la bilancia non molto propizia per adesso ai prodi mille.

    I Borboni reagiscono ancora con l'artiglieria e col fuoco del battaglione fnteria di linea contro il II garibaldino. Ancora la disposizione in linea, la distanza dei cannoni borbonici e la leggera copertura nell'esagono occupato dai profi di Carini evita perdite dolorose, ma avviene quello che Garibaldi aveva temuto fin dall'inizio della battaglia, motivo per il quale aveva ordinato di attaccare a fondo alla baionetta e di non cincischiare con gli scambi di fucileria: il secondo battaglione in questo turno termina le munizioni. Questo è un'altro guaio, perché adesso l'attacco alla baionetta diventa la sola opzione è c'è da pregare che riesca bene, ché di respingere un contrassalto nemico con il fuoco non se ne parla. Bisognerà avere l'assistenza di picciotti, guide e carabinieri quando arriveranno.

    Turno 9 con brutti presagi per i Garibaldini. Sono sempre più convinto che Landi fece una follia nel ritirarsi.
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  20. metalupo

    metalupo

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    Be! C'è stata anche la sfortunata morte di Bixio, che ha cambiato radicalmente la situazione.
    Non sono neppure certo che Garibaldi avrebbe preso d'assalto la città in presenza di un solido schieramento difensivo.
     
    Ultima modifica: 8 Giugno 2019

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