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Il mondo dei beati beoti

Discussione in 'Off Topic' iniziata da StarUGO, 17 Luglio 2014.

Status Discussione:
Chiusa ad ulteriori risposte.
  1. Lirio

    Lirio

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    Mi permetto di suggerire ai lettori di questo dibattito interessante, rinverdito dalla vexata questio affrontata da Amadeus e Lord Attilio su più aulici piani, di inserire ulteriori spunti di riflessione, tratte dalla vita vissuta.

    Parto io.
    Questa mattina, arrivo nel palazzo dove ho l'ufficio. Al piano terra siamo in tre persone. Io e una collega attendiamo l'ascensore, arriva una signorina con un tablet in mano, stregata dalla lettura di qualcosa, e attraversa strada, portone, scalini e atrio senza alzare lo sguardo. Per un minuto buono non saluta e continua a leggere attendendo l'ascensore. Arriva l'ascensore, io e la collega ci guardiamo con sguardo interrogativo ed entriamo. La ragazza entra, come un automa, continuando a leggere.
    Lo so, cortesia avrebbe voluto che io le chiedessi a che piano doveva andare, ma ero più che altro curioso di vedere se il mio Maestro Venerabile, che ormai è noto coram populo essere una star del forum, avesse non solo ragione (cosa indubitabile ai più) ma anche fino a che punto l'avesse.
    Quindi, bastard inside, schiaccio il pulsante del mio piano, il quarto.
    La fanciulla continua imperterrita estraniata nel suo mondo beato, per la durata del viaggio.
    Quando arriviamo al quarto piano, come uscita dal nirvana si sveglia, quando noi le segnaliamo cortesemente che dovremmo scendere, quindi sarebbe duopo che ci lasciasse libero il passaggio.
    Ma a che piano siamo?
    Al quarto.
    Oh, pazienza, vorrà dire che scenderò per le scale, afferma la beata, ritornando al tablet.
    Volendo, risponde la mia collega, potrebbe anche premere il pulsante numero due dell'ascensore.
     
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  2. Lirio

    Lirio

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    “Spegniti, spegniti, breve candela!
    la vita non è che un’ombra che cammina,
    un povero attore
    che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena
    e del quale poi non si ode più nulla;
    è una storia raccontata da un idiota,
    piena di rumore e furore,
    che non significa nulla.”

    W. Shakespeare, Macbeth, atto V, scena V

    ogni nostro curriculum, lo è.
    (tanto siamo nella sezione off topic:p)
     
  3. TFT

    TFT

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    La concezione dell'uomo attuale è diretta figlia della società di consumo e produzione, che getta le basi a partire dalla seconda metà del 1700. Ora, se ci togliamo di dosso l'immagina del mondo antico e medioevale come quella di un posto sporco dove c'erano gli schiavi e i nobili che comandavano ma ci mettiamo nella mentalità del tempo notiamo parecchie differenze.
    Per esempio, è cosa assolutamente certa che un servo della gleba medioevale o un contadino del mondo romano lavorassero più o meno la metà di quello che lavora un moderno operaio. Un bracciante agricolo, di qualunque epoca, aveva un tenore di vita in proporzione migliore di quello di uno stagista di adesso. Va bene, non avevano le nostre comodità ma semplicemente perchè non esistevano, punto. Anzitutto si seguivano i ritmi di lavoro naturali delle stagioni e della propria predisposizione fisica (stavi male, non andavi al campo, avevi una gamba rotta, stavi a casa a intagliare il legno), poi c'era proprio un concetto diverso della vita; il mito del buon contadino felice che passa le serate ad ubriacarsi è giustissimo, certo da noi viene visto come qualcosa di negativo ma in realtà non lo era, quando avevano soldi se li spendevano alla taverna con gli amici o si compravano le candele per fare i bagordi la sera. è invece a partire dalla nascita della società industriale dove l'uomo viene valutato come moneta di mercato, vali quanto puoi produrre, sei quello che puoi permetterti di comprare.
     
  4. Lirio

    Lirio

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    Non conoscevo questa visione bucolica del contadino medioevale e dell'epoca antica.
    Avevo letto di una vita ben più misera, men che meno che lontanamente paragonabile a quella di un moderno operaio.
    Ma lo dico con candore, sarai certo più informato di me.
     
  5. TFT

    TFT

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    Facevano sicuramente una vita più dura perchè non avevano medicine, tecnologie utili, materiali da costruzione adatti e soprattutto ignoranza ecc. Era abbastanza comune morire per un'infezione ai denti o per un taglio che andava in cancrena, o di febbre perchè la si curava pregando e non stando al caldo.
    Ma la questione va vista in rapporto al contesto storico non in modo assoluto. è come dire che la pasta di pesce ha perso potenza di mercato perchè nel 100 dc era il contorno più mangiato e ora invece sono la patate. Non è così, è che in quel contesto storico c'era quello, punto.
     
  6. Invernomuto

    Invernomuto -

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    Mah... Per me sottointendere che, in relazione all'epoca, un servo della gleba stesse meglio di un moderno operaio (ma anche solo di un operaio di fine ottocento) è una mistificazione della realtà. La rivoluzione industriale è stata dipinta a tinte molto fosche della letteratura, ma la vita nelle campagne non era un paradiso bucolico...
    Se ti rompevi la gamba e non potevi lavorare i campi o avevi chi lo faceva per te (tanti figli in salute) oppure facevi una fine orrenda...

    Le società moderne, pur con tutti i difetti citati, permettono dei tassi di attività decisamente bassi (cosa, peraltro, che ti permette, di ricevere un'istruzione articolata), impensabili per la società bucolica che descrivi: stavi nei campi da bambino e lavoravi finché vivevi. Possibilità di elevazione sociale prossima allo zero e vita con reddito di pura sussistenza. Bastava un'annata di raccolto andata storta e ti mangiavi l'erba (e non è un modo di dire)

    Ah, ti lascio immaginare quali potessero essere le tue condizioni nel caso ti trovassi a coltivare magari una risaia della pianura padana...

    Oggi abbiamo gente che fino a 30 anni non lavora oppure 50enni in pensione. Solo nell'ultimo periodo si è toccato questo punto, ma suvvia, solo un pazzo o un completo ignorante vorrebbe tornare al passato...



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  7. StarUGO

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    Il tuo ragionamento non fa una grinza e mi trova d'accordo.
    Solo,forse,il discorso andrebbe affrontato in relazione al contesto e al punto di vista dei soggetti in questione.
    Il bucolico dell'epoca aveva una vita che ci farebbe inorridire,ma ,probabilmente,a lui andava bene cosi',non e' che pensava al futuro e a noi che saremmo stati meglio.
    Un po' come lo scemo del villaggio che ,incosapevole,sta bene cosi' e non si stressa come altri che ,sicuramente ,stanno meglio di lui.
     
  8. Lirio

    Lirio

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    Io la vedo come @Invernomuto, parola per parola, sopratutto nella chiosa dal suvvia in poi.

    per dirimere la questione, senza alcuna velleità di convincerti, poniti questa semplice domanda, che ho letto (e alla quale non ho risposto) anche in questo forum, se non erro.
    In quale periodo storico ti piacerebbe vivere, se avessi la bacchetta magica?

    vedo che molta gente ha citato (e io non lo farò) periodi di grande fascino nell'immaginario collettivo citando anche famose capitali europee o mediorientali in diversi contesti storici, dall'antichità, passando per il medioevo, il rinascimento ed epoche post rivoluzione industriale.
    io non sono assolutamente uno storico, e so che sul forum ci sono persone molto più esperte di me in materia, ma per quel poco che ho letto di come viveva la povera gente, se mi faccio io questa domanda, mi pongo anche un interrogativo statistico:
    in questo gioco ho più probabilità di essere patrizio o plebeo, nobile o servo della gleba?
    sai, se sei ricco e potente, stai abbastanza bene anche oggi, me ne darai atto, come non dubito che un principe non se la cavasse male nemmeno in un passato più o meno remoto.
    ma tutti gli altri?
    e poi, fatti una seconda domanda, con tutti gli scongiuri del caso: quale era la speranza di vita, per migliore che fosse (posto che lo fosse)?

    la verità, IMHO, è che, ceteris paribus, e quindi con tutte le varianze del caso, il progresso umano (in tutti i campi) ha fatto sì che, in media, la qualità della vita sia migliorata, in tutte le classi sociali.

    dico questo perchè vengo da una famiglia di contadini, forse se avessi una discendenza di nobili la penserei diversamente, non lo so.

    se mi si dice che le cose vanno valutate non in senso assoluto, ma con riferimento al contesto, posso essere d'accordo. Lo considero un ragionamento razionale. Seguendo tale ragionamento, tuttavia, non comprendo allora quale sia il parametro rigoroso di confronto e l'approccio metodologico di paragone tra l'operaio di oggi e il contadino antico, e come si possa ritenere, al di là della provocazione, migliore lo status di un bracciante agricolo di qualsiasi epoca di quello di uno stagista di oggi. ma ripeto, senza alcuna ironia, potrebbero mancarmi delle nozioni storiche e potrei incorrere in errore. quanto sopra senza alcuna acrimonia e per il solo piacere di una amichevole discussione, sia ben chiaro, al solo fine di apprendere qualcosa. il che è, a mio modesto parere, il fine stesso del discutere serenamente tra persone di buon senso quali noi tutti qui siamo.

    p.s. la verità è che ho scritto tutto questo solo perché in qualsiasi altra epoca storica, da villico o da altolocato, non avrei mai potuto avere il privilegio di giocare a steel panther con te
     
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  9. Invernomuto

    Invernomuto -

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    Sulla soddisfazione individuale non entro più di tanto nel merito, entrano in gioco questioni soggettive che sono, per loro stessa natura, del tutto relative. Era più soddisfatto l'operaio del ventunesimo secolo, alle prese con delocalizzazione e un lavoro sempre più evanescente, o il contadino del secolo decimo terzo, alle prese con guerre e carestie? Non credo che nessuno possa rispondere. I confronti vanno fatti su dati oggettivi e misurabili.
    Alcune considerazioni però me le riservo:
    1) non è che - per forza - i contadini del secolo decimo terzo dovessero essere necessariamente una massa di idioti inconsapevoli. Se il dramma dell'uomo moderno (già dal 900 in poi), è la difficile ricerca del suo posto nella società e nell'universo, reso complicato dai mass media che creano delle aspettative totalmente irrealistiche (bisogna essere tutti ricchi, belli ed eternamente giovani, cosa, ovviamente, impossibile), non è che il contadino del 1200 fosse un totale beota, per tornare in topic, uno felice a prescindere, senza preoccupazioni, quasi lobotomizzato... Forse ti realizzavi con il solo "ora et labora", forse la società era meno "complicata" e "competitiva" rispetto a quella attuale ed era più semplice trovare il proprio posto nel mondo, però va pure detto che se nascevi in una famiglia di contadini potevi scordarti ogni aspettativa di miglioramento sociale e eri costantemente alle prese con la tua sopravvivenza...
    Un raccolto andato male, una grandinata o un'annata di siccità e la tua preoccupazione era trovare da mangiare per la tua famiglia per farle superare l'inverno. Questo significa avere un reddito di sussistenza. Non è proprio una prospettiva priva di stress: dubito che al nostro caro villico contemporaneo di Dante "gli andasse bene così" e fosse felice a prescindere. Non conosceva il termine "stress" ma stai pure tranquillo che fonti di stress ne aveva ed erano pure tante...
    Oggi uno "precario" a 30-40 anni ha tutto il diritto di essere incavolato, stressato e infelice confrontandosi con chi magari, alla sua età, è "arrivato" e va alle feste coi VIP (ma poi, secondo voi la realizzazione sta nel fare tanti soldi? Bah!), ma fra le due condizioni io non avrei dubbi fra quale scegliere...
    2) @Lirio ha giustamente sottolineato i livelli di ricchezza decisamente più bassi delle società preindustriali. Questo comporta, giustamente, una maggiore probabilità di finire contadino con l'esistenza appesa ad un filo rispetto ad essere un nobile con la dispensa piena di vivande. C'è di più: nelle società preindustriali la distribuzione della ricchezza era fortemente sperequata, *molto* peggio della società moderna. In altre parole, i principi/nobili/ricchi borghesi stavano benissimo, facevano una vita che forse oggi può immaginare giusto Berlusconi&Co. Ma erano estremamente pochi. Non c'erano molti gradi intermedi. La maggioranza "sopravviveva" e viveva alla giornata. C'erano pochi ricchi che erano tanto ricchi e una marea di poveri che erano tanto poveri.
    3) per me una società "giusta" deve cercare di garantire a tutti, nei limiti del possibile, la possibilità di affermarsi e di sfruttare i propri talenti e le proprie capacità. Noi lo abbiamo come principio fondatore del nostro Stato:
    Forse oggi questo principio è sempre più disatteso, ma ringrazio @Lirio per la sua testimonianza, conosco anch'io figli di contadini(*) o di operai che non hanno mai navigato nell'oro, che, tra mille sacrifici, sono riusciti a studiare e a *realizzarsi* nella vita.

    Mi chiedo: è più probabile che uno con il talento della scrittura riesca ad emergere in una società come la nostra, che fra Grande Fratello e iPhone qualche opportunità di studio te la concede, oppure in una società preindustriale? Quanti potenziali Dostoevskij, in passato, sono finiti a morire nei campi, loro malgrado, solo perché figli di contadini, messi al lavoro fin dalla tenera età e impossibilitati dal ricevere anche una minima istruzione? Quanti Mozart? Quanti Einstein?

    (*) ovviamente intendo contadini con l'accezione degli anni 50, quelli che scappavano dai campi verso le città per trovare un lavoro che gli garantisse di star bene, non i moderni imprenditori con aziende agricole e conti in banca milionari...
     
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    Ultima modifica: 30 Luglio 2014
  10. StarUGO

    StarUGO

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    Ripeto,"Il tuo ragionamento non fa una grinza e mi trova d'accordo." ( e d'accordo anche con @Lirio )
    Quello che volevo sottolineare,e forse l'ho fatto male,e' che le aspettative in epoca passata erano certamente meno,come giustamente dici tu, "Un raccolto andato male, una grandinata o un'annata di siccità e la tua preoccupazione era trovare da mangiare per la tua famiglia per farle superare l'inverno."
    Semplificando al massimo,se stavi bene e avevi da mangiare per te e la tua famiglia,credo,fossero soddisfatti.
    Oggi non basta piu,le aspettative (nostro malgrado,io raramente trovo qualcuno soddisfatto perche' le esigenze base della nostra esistenza sono state raggiunte),come del resto la qualita' della vita,sono cresciute enormemente.
    Questo ovviamente in generale,tralasciando casi,immagino abbastanza rari in epoche remote,di coscienze un po' piu' sensibili ed esigenti,percui salute,stomaco e sesso erano tutto.
     
  11. TFT

    TFT

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    Nessuno ha detto di tornare al medioevo, si è solo detto che vi era una concezione della vita diversa e sicuramente migliore di quella attuale.

    Che poi, reddito di pura sussistenza non è vero, sulla questione degli infortuni nell'800 bastava che non ti presentassi un giorno al lavoro per essere licenziato, pazienza che ti avesse investito un autocarro o ti fossi fatto male in fabbrica, e adesso il trend sta tornando quello. Quanta gente conosci a cui "non hanno rinnovato il contratto" perchè si è rotta qualcosa, è andata al funerale della nonna, è rimasta incinta ecc? Io un po'.
    Mobilità sociale? Nel mondo medioevale c'erano basse possibilità di scalata sociale ma c'erano, nel mondo moderno invece? Se tu non conosci il figlio-zio-nipote-parente di qualcuno dove vuoi andare? Non so come sia la situazione dove vivi tu ma da me c'è gente che si fa raccomandare anche per fare il cassiere.
     
  12. Lirio

    Lirio

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    Premetto che questa interessante discussione sta un pò uscendo dal suo titolo iniziale, e forse qualcuno dovrebbe aprirne un'altra, perchè stiamo deviando dai beati beoti alla qualità della vita, termine inventato, se non ricordo male, negli anni 80 del secolo scorso, se pur noto, come osservato da voi, da sempre.

    Non so cosa si intenda per concezione della vita diversa (in senso morale? religioso? sociale?) ma trovo che affermare che fosse sicuramente migliore nel medioevo rispetto a quella attuale sia quanto meno opinabile.

    Che il trend dei diritti del lavoro stia ritornando quello dell'ottocento, mi pare parimenti una affermazione forte.
    Indubbiamente si assiste a un cambiamento, ma si potrebbe anche osservare che in Italia, per esempio, vi sono milioni di persone che hanno tutele lavorative sostenibili in un sistema economico degli anni '70, e non più in quello attuale. Mi riferisco in particolare a interi comparti della pubblica amministrazione, che godono di privilegi (primo fra tutti la tutela del posto) che sono negati a tutti coloro che lavorano nel privato, come lavoratori dipendenti, per non parlare del lavoro non tutelato, quello delle milioni di partite IVA del nostro paese. Chi per esempio ha un lavoro autonomo legge sul giornale che gli ultimi governi hanno abbassato le tasse, poi scopre andando dal commercialista una postilla: sì, ma è aumentata la base imponibile, per cui alla fine devi pagare di più. La crisi vede due Italia, secondo me, una la paga molto di più, l'altra molto di meno. Non è un tema di equità sociale di poco conto, considerando che oltre il 50% del nostro PIL viene assorbito dalla macchina pubblica, che in estrema sintesi significa stipendi della pubblica amministrazione. Se si parla dei soprusi sul lavoro precario, siamo credo tutti d'accordo, ma le cause sono profonde, e hanno ragioni macroeconomiche. Ma andrei fuori tema, e mi fermo.

    Infine, la sociologia afferma l'opposto, in tema di mobilità sociale, mi pare, e cioè che sia certamente superiore oggi rispetto al lontano passato. Nel mondo precedente a quello attuale due sole erano le strade privilegiate per la scalata sociale: o la via della fede, o quella della spada. I militari e i religiosi, in molte società, potevano far carriera, al di là delle differenze di nascita, tendenzialmente. Si pensi ad esempio, senza andare troppo lontano nel tempo, anche solo agli Stati Uniti del secolo scorso, e al tema della discriminazione dei neri.

    Se si afferma invece che, in questi anni, il costume della raccomandazione, in Italia, è diventato elemento discriminante, posso essere parzialmente d'accordo, se lo si confronta però ad un recente passato, non con un passato remoto (medioevo o antichità). Pur tralasciando il fatto che non mi risulta che il costume fosse diverso nella generazione che ha preceduto la mia, in molti settori (politica, università, pubblico impiego, ecc.), ritengo opinabile anche l'affermazione che nel medioevo ci fossero basse possibilità di scalata sociale, ma ci fossero, mentre nel mondo moderno sarebbero inesistenti. Intanto, occorre definire cosa si intenda per mondo moderno. L'Italia è una cosa, il mondo un altro, e uno dei vantaggi del mondo moderno è, per esempio, quello di viaggiare, cosa più agevole, si deve convenire, di quanto non fosse nel medio evo. In effetti, è quanto succede (purtroppo) con la fuga di cervelli giovani dal nostro disastrato Paese. Secondariamente, per quanto la nostra situazione sia biasimabile e criticabile, ritengo che ragionare per provocazioni possa strappare anche un sorriso, ma sia sostanzialmente approccio comprensibile, ma poco condivisibile. Non credo infatti che si possa ragionevolmente affermare che ci fossero statisticamente più possibilità di scalata sociale nell'Italia medioevale di quanto non ce ne sia nell'Italia, pur vituperabile, dei giorni nostri.
     
  13. Amadeus

    Amadeus

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    Mi permetto di citare un celeberrimo passo di Walter Benjamin. Una citazione che inizia con una citazione.

    "Una delle caratteristiche più notevoli dell'animo umano - scrive Lotze - è, fra tanto egoismo nei particolari, la generale mancanza di invidia del presente verso il proprio futuro". La riflessione porta a concludere che l'idea di felicità che possiamo coltivare è tutta tinta del tempo a cui ci ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Una gioia che potrebbe suscitare la nostra invidia è solo nell'aria che abbiamo respirato, fra persone a cui avremmo potuto rivolgerci, con donne che avrebbero potuto farci dono di sé. Nell'idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente l'idea di redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C'è un'intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dono una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare facilmente, il materialista storico lo sa.

    Non esiste l'invidia del futuro. Nessuno di noi, se proprio si deve disperare per qualcosa, si dispera del fatto di non vivere in un'epoca in cui la vita media è di 200 anni ed esistono i ponti olografici à la Star Trek. D'altronde, l'assenza di invidia per il futuro non scaturisce da una intrinseca docilità dell'essere umano ma dalla banale constatazione che il futuro, come tale, ci è ignoto.

    Questa considerazione risponde, automaticamente, alla domanda: può un servo della gleba del XI secolo provare pena per la sua condizione paragonandosi ad un ipotetico operaio del XXI secolo? Ovviamente no.

    Ciò non significa, però, che paragoni tra lo status di servo della gleba e quello di operaio salariato non possano essere fatti o non siano stati fatti, più o meno a proposito. Sicuramente sono stati fatti nel periodo in cui i diversi sistemi sociali si sono trovati a convivere in diverse parti del globo. L'esempio più famoso che mi viene in mente è l'apologia che il celebre scrittore russo Nikolaj Karamzin fece della necessità di mantenere la servitù della gleba in Russia, basandosi sul fatto che i primi a soffrire di un cambiamento del genere sarebbero stati i contadini. Ovviamente Karamzin, per quanto volesse portare avanti bona fide il suo discorso, non stava facendo altro che proteggere gli interessi della sua classe sociale. Ciò non toglie che l'idea che i contadini russi se la potessero passar meglio, mediamente, dei bambini minatori inglesi non appariva completamente peregrina.

    A questo punto, sorge spontanea la domanda: se l'invidia del futuro è impossibile, potrebbe essere possibile l'invidia del passato? In effetti l'invidia di un passato "bucolico" o quantomeno più tranquillo e spensierato, riappare di frequente in tempi di crisi. Però, parliamoci chiaramente, anche se molti vorrebbero tornare alla natura, nessuno è disposto ad andarci a piedi! In quanti rinuncerebbero a tutto ciò che la modernità ci offre?

    Allora perché questo desiderio riappare? Gli esseri umani sono tendenzialmente "conservatori" (è una questione di sopravvivenza, prima ancora di politica) sono esseri abitudinari che sperimentano sì, ma con cautela. Ciò che è inaccettabile, per l'essere umano medio, non è non godere dei privilegi di un futuro ignoto, ma è ritrovarsi in una condizione che è peggio del presente a cui era abituato. I momenti di crisi sono, infatti, caratterizzati dal fatto di trovarsi di fronte ad un repentino ed inatteso peggioramento delle condizioni di vita. Questa impressione che il futuro riservi solo declino porta, come reazione, a rifugiarsi nella presunta tranquillità di un passato idealizzato. Insomma, è il classico: si stava meglio quando si stava peggio.

    Ma ben presto, ci si accorge che il passato è passato. Parliamoci chiaro, non è che l'organizzazione di una società dipenda solo dalle belle idee di un gruppo che si mette d'accordo scegliendo la soluzione ottimale. Se la situazione demografica, tecnologica, economica in un dato luogo e in un dato periodo fa sì che sette persone su dieci debbano letteralmente zappare la terra affinché tutte e dieci possano avere di che sopravvivere, sto fresco a tentare di costruire una organizzazione sociale che non preveda qualcosa di molto simile alla schiavitù o alla servitù della gleba. Non a caso la rivoluzione industriale è stata preceduta dalla rivoluzione agricola: lo sviluppo di metodi e tecnologie che permettono di aumentare la produzione di derrate alimentari, diminuendo il numero di addetti all'agricoltura, libera una frazione significativa di persone che adesso è libera di fare altro (per esempio essere impiegata nell'industria manifatturiera). Il vecchio adagio primum vivere, deinde philosophari vale sempre.

    Mi sono scordato qualcosa? Ah, sì, tutta la storia di Benjamin sull'indice temporale del passato che lo rimanda alla redenzione... che vor di'? Senza alcuna pretesa di poter spiegare il pensiero di Benjamin, e senza la pretesa che il suddetto pensiero sia la verità, mi verrebbe da dire che Benjamin sostiene che nell'esaminare il passato, lo facciamo, inevitabilmente, colorando gli avvenimenti con i toni impostici dal presente nella speranza che ci permettano di guardare dove ci porta il futuro. Insomma, l'angelo della storia ogni tanto prova a voltarsi.

    Consapevole che, in questa sede, non posso certo tener fede all'ingiunzione althusseriana del pas se raconter d'histoires, qual è, dunque, il Leitmotiv di redenzione, nel senso etimologico del ricomprare (nella fattispecie pagare il riscatto dello schiavo) che appare nella storia?
    A mio avviso, il progressivo scomparire del peso di quello che hanno fatto i tuoi antenati diretti nel determinare qual è il tuo posto nella società e le tue chances di ottenere quello che vuoi. Il dogma liberale non fa altro che ripetere: noi crediamo solo nell'uguaglianza di fronte alla legge, gli esseri umani sono costituiti da individualità diverse e, quindi, tutti uguali ai posti di partenza e, poi, tutti diversi per i risultati ottenuti. Il mito del self-made man nella sua semplice essenza.

    Anche se non credo nella meritocrazia, a me starebbe anche bene una società meritocratica... ma hanno un bel da fare i liberisti a lasciare intendere che il mondo è fatto di alpha che, essendo più bravi degli altri, riescono a fare gli imprenditori di successo mentre i beta si devono accontentare di lavorare operosamente nelle aziende degli alpha, invece di cercare di buttarla in caciara per semplice invidia.
    Non perché non ci siano persone veramente fuori dal comune che sono in grado di creare una grande azienda letteralmente dal nulla o perché non ci siano tutta una serie di falsi compagni che, più che fare la rivoluzione, vorrebbero ottenere qualche privilegio in più (credo fosse Championnet che disse ai napoletani che non sarebbero mai riusciti a fare la rivoluzione, dal momento che non disprezzavano i loro tiranni ma li invidiavano).
    No, non per questo. Ma per il semplice fatto che la maggior parte dei capitalisti non è gente che ha avuto successo laddove mille hanno fallito ma è gente che si è limitata ad ereditare capitali ed imprese.
    Insomma, la nostra società è basata sul primato di quello che hanno fatto i nostri bisnonni, più che su quello che facciamo noi. Mi si potrebbe dire che è giusto che il successo del nonno si tramandi al nipote. Sta bene, sia solo ben chiaro che questo è lo stesso motivo che ha giustificato la schiavitù e l'aristocrazia: ciò che ha compiuto l'antenato detta a priori lo status del discendente. E, sia ben chiaro che il vero, reale, tragico problema della nostra struttura sociale non è legato all'aspetto morale del fatto che siamo una società in cui c'è chi campa del suo lavoro e chi campa (molto molto meglio dei primi, peraltro) del lavoro altrui. Ma il fatto che questa struttura, oramai incapace di affrontare le crisi, ci assicura solo il perdurare di una inutile macelleria sociale.
     
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  14. Lirio

    Lirio

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    volevo darti winner sulla fiducia, ma questa volta ti ho letto, prima di farlo.
    un mio amico, in modo molto meno forbito di quanto tu hai mirabilmente raccontato, sul tema del liberismo una volta mi ha detto, dopo un paio di bicchieri di vino, non credo di troppo:
    "se vuoi aver successo nella vita, dovresti aver prima la possibilità di scegliere l'utero in cui sei nato."

    Condivido totalmente il tuo pensiero sui capitalisti, per esperienza diretta ormai ahimè troppo lunga. Non solo la maggior parte di loro ha ereditato capitali e imprese, ma anche ci siamo riempiti la bocca di un termine, capitalismo, che nulla ha a che vedere con il sistema in cui operiamo. Se intendiamo per capitale quello privato (questa è almeno l'accezione comune del termine) allora non è vero che le nostre imprese operano con tale cultura (e quelle del mondo occidentale nemmeno, seppure in misura meno accentuata). Infatti, i bilanci delle imprese sono fatti coi capitali delle banche. Ma poichè, come noto, i capitali delle banche, sono di tutti i risparmiatori, ne deriva che, in larga parte, noi siamo imprenditori soci di chi non sappiamo. Il che mi porta a concludere, sia consentita anche a me una piccola provocazione, che non operiamo in un sistema capitalistico, ma in quello che io chiamo sistema debitalistico.

    Ad onor del vero, va anche detto che se non si mette gli imprenditori di oggi in grado di fare quello che i loro padri fecero (io sono uno di quelli che ipotizza che la stupidità come l'intelligenza sono uniformemente distribuite nel tempo e nello spazio), allora la tua teoria dell'eredità (che io condivido) non è più applicabile, poiché a un certo punto gli imprenditori di oggi non lasceranno alcuna eredità, o lasceranno una eredità irrisoria, ai propri figli (giusto o meno che si ritenga tale processo). Ed è infatti esattamente quello che sta succedendo nel nostro paese.

    E' quindi problema di efficienza, oltre che di equità. Se la pressione fiscale colpisce, per ragioni sostanzialmente di scelta politica, il mercato della micro impresa (meno di 10 dipendenti), e se tale mercato costituisce il 99% di quel 95% che sono le piccole imprese (fino a 50 dipendenti) che fanno il tessuto economico del nostro paese (altro che piccola e media impresa, è la balla del secolo), allora ben si comprende come l'intero sistema economico italiano sia a rischio del fallimento. Perché ragione politica? Perché il comparto dei piccoli è indifeso, non aggregato, non associato e non organizzato in forme sindacali e datoriali, quindi colpibile senza sostanziale possibilità di reazione organizzata. Così facendo, le iniezioni di liquidità saranno inutili, poiché da una parte avremo banche che non sapranno dove investire la liquidità, dall'altra imprese che non avranno i numeri per ottenerla, e dietro a queste centinaia di migliaia di persone a rischio occupazione. Ma invertire questa tendenza significherebbe toccare privilegi economici acquisiti da interi comparti del nostro paese, chiedendo di ridistribuire il reddito in una situazione socialmente esplosiva. Quindi, temo che continueremo a leggere di riduzione della pressione fiscale e a vedere l'aumento della base imponibile (riducendo per esempio i costi fiscalmente deducibili), difendendo quindi privilegi, mantenendo lo status quo, fino a un punto in cui, onestamente, io non saprei fare previsioni. O meglio, non le farei per non concludere in termini eccessivamente negativi.

    Mi permetto solo sommessamente di osservare che, per ritornare a trasmettere eredità economiche, al di là delle questioni di equità su cui già ho convenuto, bisogna fare in modo che ritorni possibile anche in questo paese fare attività di impresa, cioè sia tecnicamente possibile fare utili. Altrimenti, temo proprio che i soprusi sui lavori precari citati dal nostro amico TFT diventino un fatto di costume odioso e sanzionabile ma drammaticamente sempre più frequente, in una guerra disperata tra poveri, in uno schema lose lose.
     
  15. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    E' la tecnologia che ha permesso la società globalizzata e in continua produzione di segni e notizie attraverso ogni angolo del pianeta. Senza questa, dubito che tutto ciò sarebbe stato possibile.



    Infatti il mio accenno era per rimarcare la differenza tra la pervasione di un libro e di una televisione o della realtà virtuale. La concezione e il modus vivendi dell'uomo medioevale non erano universalmente diffusi nemmeno nello stesso territorio europeo. E questo per la scarsità dei loro mezzi, poiché uno libro manoscritto o anche una stamperia non permettono la stessa velocità delle notizie oggi. Di fatto nelle campagne medioevali erano sempre pronte ad emergere e a trovare largo seguito eresie che poco avevano a che fare col Cristianesimo Romano.

    Era più che altro enfasi retorica, ma non nasconde un certo fondo di verità. Per molte persone le notizie che vengono riportare in televisione sono oro colato, verità con la v maiuscola, per questo i mass media sono diventati i veri mediatori tra il potere e il popolo, nella scomparsa di entrambe queste categorie. Comunque penso che questa cosa la condivida anche tu. Che poi noi capiamo che il fatto di mangiare e bere e dormire è realtà, mentre la televisione non lo è, questo è vero. Ma c'è gente che perde la vita dietro a serie televisive o cazzate su youtube. C'è gente, come noi, che passa ore a giocare ai videogiochi. Ma c'è anche gente che ci vive in questi videogiochi, per cui è l'unica realtà. C'è gente che si droga e vede gli unicorni e per loro sono veri.In questo senso dicevo. E questo è dovuto alla relativizzazione e svalutazione della realtà (che diventa un ente come tutti gli altri, che può nascere e morire, oppure essere usurpato dalla nostra coscienza).

    Non è tanto questione di questo, come ti dicevo la mia è la speranza che un cambiamento avvenga in qualsiasi modo. Che poi il cambiamento sia premessa e non risultato delle rivoluzioni, non penso si possa stabilire con certezza. Le cause vengono sempre dopo gli effetti. Prima vediamo gli effetti nella loro dispiegarsi immodificabile, poi per spiegare questi effetti creiamo una concatenazione di cause che porti dritto ad un colpevole. Per questo la mia non è una certezza causale che dati questi fattori la realtà debba andare così. Semplicemente è una speranza che parte dal destino che debba andare così, niente di che.

    E' meglio che mi spieghi su questo punto. Appunto, riguarda una visione generale della realtà. L'Occidente ha negato ogni spiegazione che non sia causale. L'Occidente disprezza il rito, la religione, i rituali, tutte cose che non si possono sopportare per la nostra mentalità; per l'Occidente ciò è immorale, è barbarie pagana. A questo l'Occidente sostituisce la felicità delle cause. Per questo noi vediamo i riti tribali e li consideriamo solo perdite di tempo, vediamo i sacrifici di animali e li consideriamo barbari, vediamo gente massacrarsi nelle prove di iniziazione e li consideriamo pazzi. Proprio perché il rito, la tradizione, sono il più grave insulto alla necessità causale. E la casualità alla fine non è molto diversa, sebbene sembri il contrario della causalità. Solo la credenza nella verità, nel rito, offre una valida alternativa, che è la credenza nel destino.

    Eh guarda, mi sa che anche io sono abbastanza criptico a volte. Comunque io ti facevo notare che anche un nichilista è portato a porsi meno problemi. Se non c'è un Dio, un senso, allora si può uccidere, massacrare senza un domani. Con ciò non dico che un nichilista è meno portato a porsi gli stessi problemi di un credente, ma che di fatto ognuno si pone questi problemi pur ateo o credente a seconda del suo comportamento.



    Non solo la scienza, la società contemporanea. Uno scienziato può anche credere in Dio, ma la cosa è totalmente indifferente perché seguirà il metodo della scienza contemporanea, cioè mettersi in discussione finché si vuole, ma non mettere mai in discussione una cosa; che tutto può essere messo in discussione. E' la fede nella non fede, l'impossibilità di credere nella Verità perché è, secondo la scienza, un'entificazione del nulla. Ma questo credere di non credere non sarebbe forse un dogma?


    No no, non mi sono spiegato bene; che noi sopravviviamo come autocoscienza soggettiva non lo credo possibile. Ma nella nostra sopravvivenza come materia noi continuiamo ad essere qualcosa, e quindi siamo eterni. La morte non è che la fine della coscienza, e la paura della morte solo quella di ricadere nel nulla. Ma questo nulla non esiste. E' il soggettivismo (parto dell'idealismo soprattutto) che ci ha portato a ridurre tutto allo Spirito e al soggetto. Ma mai l'oggetto è diventato più vivo che nel presente secolo (siamo letteralmente dominati dagli oggetti).


    Questo può essere ritenuto vero. Tuttavia bisogna chiarire che cosa si intende per "fatti", senza cadere nell'eccessivo coscienzialismo dello spiritualismo o di Bergson. Soprattutto nella presente epoca in cui fatti divengono sempre più difficili da capire nella spettacolarizzazione dei mass media. E poi, la stessa scienza ha stabilito che guardando un oggetto con il microscopio ne si altera la percezione. Che gli oggetti o i fatti si celino alla visione del soggetto?
     
  16. Amadeus

    Amadeus

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    Però t'è scappata la mano e hai cliccato lo stesso! :D

    Evidentemente è un platonico, ma non lo sa (non sto scherzando!).

    Be', per capitale io (e non solo io, beninteso) intendo una quantità di denaro che si autovalorizza tramite il plusvalore. Ho comunque capito che cosa intendi dire, ma a questo ti rispondo sotto.

    Sì, è vero che non esistono solo le figure "pure" dell'imprenditore e del salariato (cioè del "capitalista" e del "proletario") e non solo perché sono presenti altre classi sociali ma perché ogni individuo singolo può essere rappresentato, in un certo senso, da una combinazione dei due aspetti. Insomma, un lavoratore dipendente probabilmente avrà anche dei soldi in banca e riceverà un reddito aggiuntivo da questo investimento. Allo stesso modo, molti imprenditori, oltre ad intascarsi i profitti della loro azienda, ci lavorano anche, svolgendo mansioni per le quali dovrebbero pagare qualcun altro se non ci pensassero loro in prima persona. Il punto è che nella maggior parte dei casi le entrate dovute ad uno dei fattori sono enormemente superiore a quelle dovute all'altro. Insomma, se il padrone di una grossa impresa, invece di lavorarci, dovesse pagare qualcuno per fare il direttore al posto suo, non è che la sua situazione economica cambierebbe di molto. Al contrario, se un lavoratore salariato dovesse smettere di lavorare per provare a campare solo delle rendite dei suoi investimenti, si troverebbe a mal partito, nella maggior parte dei casi (certo, ci sono quelli che lavorano, diciamo, per hobby, visto che tra appartamenti affittati e investimenti in borsa, hanno delle entrate extra di migliaia di euro al mese, ma sono poca gente rispetto al totale).
    Per questo dico che ha ancora senso, nella stragrande maggioranza dei casi, dividere le persone in due grossi gruppi: chi campa del proprio lavoro e chi del lavoro altrui (e chi non campa per nulla, in quanto il nuovo problema, oltre a quello dei dis-occupati, è quello dei mai-occupati).

    Questo può valere (come dici tu) per la piccola impresa che, pur costituendo una larga fetta della nostra economia, è rimasta letteralmente stritolata nell'ultima crisi. I vari Agnelli, De Benedetti, Berlusconi etc. difficilmente finiranno col culo per terra. D'altronde sono letteralmente secoli che si dice che le crisi in una società capitalistica portano a far scomparire il ceto medio. Negli anni '80 ricordo che sembrava che queste fossero sparate da bolscevichi della domenica, però adesso...

    Il punto è che adesso siamo eterodiretti da chi sostiene che il nemico da evitare a tutti i costi è l'inflazione. Quindi le politiche del governo sono quelle che sono. Detto questo, ho il sospetto che, la piccola impresa, per sua natura, sia intrinsecamente fragile in un mondo dove i grossi gruppi tendono sempre di più ad invadere mercati che prima erano appannaggio di queste. Forse una soluzione a breve-medio termine potrebbe consistere nell'uscita dall'euro e nella ripresa di politiche simil-keynesiane, e dico forse perché non ho le competenze per fare una valutazione sensata.

    Secondo me siamo già irrimediabilmente avviati in uno schema lose-lose in quanto si discute se gettar via o meno il proverbiale bambino ma si è deciso di tenere l'acqua sporca comunque.

    Che sia la tecnologia ad aver permesso la società globalizzata non lo metto in dubbio. Ma sia la tecnologia, sia la società globalizzata (lato sensu) non sono un parto degli ultimi decenni.

    Ma, sempre per parlare del Cristianesimo, la stampa a caratteri mobili (unitamente alla peculiare situazione politica ed economica) ha avuto il suo bel contributo al successo della Riforma. Quello che voglio dire è che l'impatto della tecnologia sulla circolazione delle informazioni è sempre stato importante, però non basta guardare il livello tecnologico per prevedere la portata dei potenziali cambiamenti.

    Come dicevo altrove: primum vivere, deinde philisophari. Hobbes la pensava come monito ma, in realtà, non è possibile fare altrimenti. Se non si ha di che campare non si può perdere tutto il proprio tempo in cazzate. Chi perde la sua vita ossessivamente e continuamente dietro a videogiochi, internet, droga etc. lo fa perché ha la disponibilità economica di qualcuno che lo campa (la borsetta di mammà o altro). Non è possibile pensare ad una società che venga fagocitata da milioni di ebeti tagliati fuori dalla realtà, un tale mondo si estinguerebbe subito.
    Certo, ma io non parlavo del cambiamento in generale, bensì del cambiamento del modo di vedere della maggior parte della popolazione; è chiaro che se c'è una rivoluzione, tale rivoluzione nasce (ed, eventualmente, ha successo) perché ci sono dei cambiamenti già avvenuti. Per esempio, senza la rivoluzione agricola, hai voglia a fare la rivoluzione industriale e, senza i prodromi di questa rivoluzione, hai voglia a fare la rivoluzione borghese (politica).


    Non sono sicuro di aver capito bene che cosa intendi con il termine Occidente. Ma se intendi la maggior parte delle nazioni europee, nordamericane e oceaniche mi sembra che la religione (sia nelle credenze dei singoli individui, sia
    nelle azioni dei gruppi organizzati) continui ad avere un peso enorme (e, a mio avviso, spropositato).
    Sul discorso del rito, idem. Che cosa sono una parata militare, l'inaugurazione dell'anno accademico, il giuramento del nuovo Presidente se non aspetti della ritualità della società moderna?

    Come dicevo prima, la ritualità ce la abbiamo anche nelle società attuali. Che poi non coincidano con i riti di società oramai lontane nel tempo mi sembra poco rilevante. Sarebbe come dire che oramai non si scrive più perché non ci sono più in giro tavolette cerate.

    Se poi mi vuoi dire che quello che manca, nella modernità, è una, chiamiamola, concezione magica della realtà, posso essere d'accordo. Ma questo ha ben poco a che fare con il discorso casualità/causalità. Ci sono persone che hanno pareri opposti in merito al giorno d'oggi, ci sono persone che avevano pareri opposti in merito nell'antichità.

    Guarda che non è che, se non c'è dio, non c'è neppure un senso. Pensare che un ateo sia, sempre e comunque, così meschino da ritenere che l'assenza di dio giustifichi qualsiasi comportamento, è come pensare che un credente sia, sempre e comunque, così meschino da comportarsi in un certo modo solo per paura di finire all'inferno.
    Questo, se stiamo parlando di uomini, poi, se stiamo parlando di quaquaraquà che hanno bisogno che ci sia (o che non ci sia) un dio che premia e punisce per decidere se prendere o non prendere a calci la propria madre... be' possiamo anche smettere di parlarne, giacché che senso ha discutere di etica basandosi su tali individui?

    La scienza non sottopone tutto al vaglio della ragione e dell'esperienza per il desiderio (infantile?) di distruggere ogni convinzione o rimettere in discussione qualsiasi cosa. Lo fa proprio per arrivare a capire che cosa può rimettere in discussione e che cosa, invece, è oramai acclarato una volta per tutte.
    Nessuno scienziato potrebbe permettersi il lusso di riproporre cose oramai definitivamente morte e sepolte come le sfere cristalline, il flogisto, il calorico o l'etere luminifero. C'è un nucleo verificato di conoscenze che, oramai, non può essere messo più in dubbio da nulla. Questo anche nel caso alcune teorie vengano sostituite da teorie nuove perché la nuova teoria deve includere quella precedente come caso limite (e non è che deve per imposizione ma per coerenza logica interna). Per parafrasare ciò che faceva dire Brecht al Galileo del suo famoso dramma: lo scopo della scienza non sta nel raggiungere l'infinita saggezza ma nel mettere un limite all'infinita ignoranza. Probabilmente non sapremo mai "tutto" ma, "qualcosa" è meglio di "niente", soprattutto se questo qualcosa aumenta con il tempo. La scoperta scientifica è simile alla mappatura di un continente sconosciuto: più si va avanti e più la mappa prende forma e dettagli, magari la mappa sarà incompleta ma è meglio una mappa incompleta e perfettibile di nessuna mappa o di una mappa inventata.

    Io sono io perché gli atomi che di cui sono costituito sono organizzati secondo una certa struttura e la struttura è primaria nel definire l'io rispetto alla materia perché la materia cambia in continuazione (gli atomi che mi compongono ora non sono tutti gli stessi che mi componevano anni fa). Insomma, io non sono la mera somma dei miei atomi, non più che il David di Michelangelo sia equivalente a qualche tonnellata di marmo macinato.
    Quindi, che i miei atomi continuino ad esistere dopo la mia morte mi sembra un po' poco per dire che io sono eterno, soprattutto per il fatto che, ciò di cui si predica l'eternità (io) non ci sarebbe più (senza, poi, andare a porci il problema dell'eternità dei singoli atomi, cosa che non sappiamo).

    La paura della morte non è la paura del ricadere in un nulla astratto o generico, è la paura della fine della propria coscienza soggettiva con cui la quasi totalità degli esseri umani (a torto o a ragione) si identifica. Poi, che ad occidente si sia esorcizzata questa paura più che altro negando la fine della propria coscienza ed ad oriente cercando di sottolineare il ritorno ad un tutto (indistinto) dal quale si proviene, cambia poco i termini del dibattito. Voglio dire, io non sto negando la possibilità che vi siano diversi approcci di fronte alla paura della morte (sostanzialmente due: fare finta che non ci sia la morte, o farsene una ragione), sto affermando che la morte c'è. Eppur si muore, avrebbe detto Galileo.;)

    La scienza ha stabilito una cosa un po' diversa, ma non ha importanza. Per fatti intendo i fenomeni, non l'essenza delle cose né tantomeno una realtà ultima. Sul fatto che, eventualmente, i fenomeni possano essere secondari rispetto a cio che è, concordiamo. Ma per quello ti avevo chiesto quali ritenessi fossero gli enti fondamentali per la scienza moderna. Le particelle?
     
  17. cohimbra

    cohimbra Guest

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    Mi inserisco in punta di piedi per chiedervi un favore, o voi scesi da chissà dove: trovo tutte le vs elucubrazioni molto stimolanti, faccio una fatica del diavolo a starvi dietro ma diciamo che più o meno, con qualche passaggio saltato per disperazione, ce la faccio. Arrivo al punto, al favore da chiedervi: potreste evitare le citazioni latine (o greche? o in qualsiasi lingua morta siano?). Mi sembra sempre di perdermi il passaggio chiave, le tre/quattro parole che racchiudono magicamente in sè il senso di un intero discorso. Lo dico in buona fede, il mio livello culturale è poco più (forse poco meno) che medio, c'è il rischio che il thread si riduca ad un esercizio di intelletto e di esposizione per una cerchia ristrettissima di illuminati, e secondo me sarebbe un peccato. Me ne torno nell'ombra...poi oh, fate vobis, de gustibus gustiborus, lupus in fabula, vino vinae, quo vadis.
     
  18. GyJeX

    GyJeX

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    ho notato che la barretta di scorrimento laterale del browser s'è fatta piccola piccola :lol: bentornato WOT!
     
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  19. TFT

    TFT

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    Forse mi sono spiegato male pure io e non intendevo certo parlare della qualità della vita, su cui potremmo discutere per 200 pagine.

    Quello che intendevo dire, molto semplicemente, è che la mentalità liberal capitalista figlia dell'800 e che da noi ha preso piede in modo forte dal secondo dopoguerra, ha portato a valutare l'uomo in base ai suoi possedimenti e non in base alle sue qualità.
    Ne consegue che l'uomo medio cerca di avere l'aggeggio sempre più alla moda non perchè gli serva ma perchè è uno status simbol ma se lo guardi bene è il solito coglione.
     
  20. maie

    maie

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