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AAR SAVOIA

Discussione in 'Le vostre esperienze' iniziata da alberto90, 8 Agosto 2016.

  1. alberto90

    alberto90

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    LA SAGA DEI SAVOIA

    Stemma dei Savoia.png

    PROLOGO

    Castello di Charbonnieres, Savoia, primavera 1048

    Umberto guardava il sole sorgere dietro le vette ancora innevate delle Alpi, come ogni giorno da tempo ormai. Governava quelle terre amene e aspre da oltre dieci anni ormai e ne aveva fatto il cuore dei suoi possessi. Quelle montagne erano al tempo stesso barriera invalicabile per i nemici e fonte di ricchezza per i fortunati controllori dei pochi passaggi aperti tra i muraglioni di roccia e ghiaccio.
    Pochi avrebbero accettato di governare territori così difficilmente vivibili, privi di risorse e anche scarsamente popolati, ma Umberto aveva accettato di buongrado di prendersi quel compito quando l' imperatore Corrado II glielo aveva offerto per ringraziarlo del sostegno ricevuto durante la lotta con Oddone di Champagne per il possesso della corona borgognona.
    Umberto aveva capito immediatamente l' importanza che quelle vallate selvagge avevano, con le loro vie strette ma fondamentali per il transito di pellegrini, merci ed eserciti e i conseguenti pedaggi che avrebbero riempito le casse dei loro proprietari.
    I pochi valici transitabili tutto l' anno che permettevano di collegare le pianure del nord Italia con la valle del Rodano e la Francia si trovavano proprio al confine orientale di quei possedimenti e Umberto ne aveva fatto la sola fonte dei suoi guadagni, permettendogli di condurre una vita spartana ma tranquilla.
    I suoi figli erano già tutti sposati e la successione assicurata, sapeva di poter contare sulla sua prole ed era certo che avrebbe proseguito la sua politica di rafforzamento dello stato. Amedeo si era unito con Adelaide, figlia del vicino conte di Albon, mentre Oddone aveva contratto un matrimonio assai più prestigioso, unendosi con un' altra Adelaide, figlia ed unica erede del potente marchese di Susa e Torino Olderico Manfredi II. Queste nozze avevano portato in dote al suo secondogenito tutti i possedimenti della sposa, garantendo il totale controllo degli stessi valici che ora erano soltanto ancora porte d' ingresso e d' uscita dalla contea.
    Gli altri figli, Giovanni, Burcardo, Aimone e Adelaide, erano tutti destinati a prestigiosi ruoli di abati, priori o badesse.
    Il futuro si prospettava tranquillo, forse la sua famiglia sarebbe riuscita a farsi spazio nella pletora di ducati, contee, principati e città libere quale era l' Impero germanico. Forse, chissà, avrebbe potuto aspirare in un futuro non troppo lontano persino alla corona imperiale. Sapeva che i suoi figli avrebbero fatto tutto quanto in loro potere per assicurare ai Savoia un posto nei libri di storia.

     
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  2. alberto90

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    PARTE I
    L' EREDITA DEL BIANCAMANO

    Aiguebelle, Savoia, A.D. 1066

    - Hai preso tempo fino a che hai potuto, figlio mio, ma è tempo che tu prenda moglie -
    Adelaide di Susa non aveva più voglia di tergiversare. Da sei anni cercava di convincere il suo primogenito a sposarsi e proseguire la discendenza per vie dirette, senza lasciare la successione ai fratelli.
    Ma Pietro, che al momento di prendere possesso dell' eredità di suo padre Oddone aveva solo 12 anni, si era rifiutato categoricamente di impegnarsi così presto e aveva rimandato per sei anni quel fastidio.
    Oltretutto non era nemmeno lui il vero signore di Savoia e di Piemonte perché l' energica e virile madre, Adelaide di Susa, già marchesa di Torino nonchè figlia ed unica erede dell' illustre Olderico Manfredi II, si era imposta come reggente e poi come vera padrona del potere lasciando al primo figlio maschio un potere mascherato.
    - Ma madre, se anche mi sposassi ciò non garantirebbe necessariamente una discendenza diretta -. Il ragionamento di Pietro non era insensato.
    La madre lo guardò con severità.
    - Non importa, ciò che interessa è che tu abbia una moglie al tuo fianco. Se poi la donna che sceglierai non sarà in grado di darti un figlio potrai sempre nominare quale tuo erede uno dei tuoi fratelli, ma solo dopo aver consumato il matrimonio. Cosa direbbero di te i preti e il Papa se non avessi moglie? potrebbero accusarti di sodomia, lo sai benissimo. Non voglio che uno dei miei figli passi per sodomita anche se non lo è -
    Adelaide aveva ragione. Non sposarsi e non generare figli era considerato quasi come un' ammissione di sodomia e quel peccato era assai perseguito dalla Chiesa. Si rischiava il rogo per molto meno in quei tempi oscuri e Pietro lo sapeva.
    - Madre, io non saprei nemmeno dove andare a cercare una moglie che sia di buon lignaggio -
    - Non ti crucciare figlio mio, a questo penseremo assieme, io so dove poter trovare dame di alto livello sociale -
    - E se fosse sgradevole d' aspetto? -
    - Pietro, ciò che conta è il matrimonio. L' amore verrà se è destinato a venire. Io ho sposato tuo padre non perché fosse bello d' aspetto ma perché entrambi avevamo dei vantaggi e dei benefici in comune. Lui ha ricevuto in dote la mia eredità e ciò ha esteso notevolmente il suo potere, mentre io mi sono assicurata che le terre lasciatemi da mio padre non finissero nelle mani del primo villano di passaggio. Governando a nome tuo io difendo le terre che furono della mia famiglia e al contempo proteggo quelle che sono tue per diritto ereditario. Ed ora, figlio mio, preparati perché questa sera conoscerai le dame tra le quali troverai moglie -
    Pietro si rassegnò all' idea di sposarsi ma si mostrò deciso a scegliere tra quelle dame solo quella che maggiormente avrebbe colpito i suoi occhi per bellezza. Non gli interessavano tanto il potere o la dote che poteva recare e nemmeno il lustro della sua famiglia. La più bella sarebbe stata sua moglie, fosse anche stata la figlia di un barone o di borgomastro.

    Più tardi, quella sera, il banchetto in onore delle dieci nobildonne invitate a corte per l' occasione era sul punto di terminare e ancora Pietro non aveva preso la sua decisione.
    Erano tutte molto graziose, alcune persino affascinanti, ma nessuna di loro era riuscito a colpirlo in maniera fatale. Adelaide stava perdendo la pazienza ed era ormai pronta a intervenire d' autorità imponendo al figlio recalcitrante di scegliere quella col sangue più blu quale moglie ma all' improvviso vide il volto di Pietro illuminarsi e l' ombra di un sorriso balenargli sul viso. Aveva individuato la prescelta?
    Al termine di convivio, frugale come la tradizione savoiarda imponeva, le dame dovevano tutte presentarsi al signore di Savoia e Piemonte per porgere i loro omaggi. Le prime tre seguirono l' etichetta scrupolosamente lasciando Pietro totalmente indifferente.
    La quarta invece sgarrò. Giunta al cospetto del giovane la bellissima Agnese di Poitou si fece sopraffare dall' emozione e invece di limitarsi all' inchino cadde in ginocchio e baciò il piccolo anello, simbolo del potere feudale, indossato da Pietro.
    Il giovane, altrettanto emozionato, si sporse in avanti e aiutò la ragazza a rimettersi in piedi, la invitò a presentarsi e quando lei ebbe pronunciato il suo nome fu assolutamente certo di aver trovato chi cercava.
    Adelaide comprese in un batter d'occhio quanto era accaduto e tirò un sospiro di sollievo: non avrebbe dovuto imporre la sua volontà anche questa volta.
    Terminate le presentazioni di rito le dame furono accompagnate nei rispettivi alloggi per trascorrervi la notte ma Pietro ordinò che la bella Agnese restasse nella sala dei banchetti e si offrì lui stesso di accompagnarla alla stanza che le era stata riservata.
    Adelaide approvò con un minuscolo cenno del capo e si ritirò a sua volta, lasciando i due giovani da soli.

    Due mesi più tardi, verso la fine dell' estate, Pietro di Savoia e Agnese di Poitou, figlia del duca di Aquitania, furono uniti in matrimonio dal vescovo di Tarentasia.
    La notizia si propagò in tutto l' Impero e anche oltre ma non suscitò lo stesso clamore che aveva provocato quella, assai più interessante, delle nozze di Berta, sorella minore di Pietro, con Enrico IV di Franconia, imperatore di Germania e re di Romani.
    I due si erano sposati nel mese di luglio di quello stesso 1066 nel castello di Trebur e ciò faceva di Berta, che aveva solo quindici anni, l' imperatrice di Germania e regina d' Italia. Pietro era dunque cognato dell' imperatore e proprio Enrico IV fu il suo testimone di nozze.
    Il dono dell' imperatore a suo cognato fu la nomina a duca dell' impero aggiunta ad una discreta quantità di oro e di preziosi. La prima fu sicuramente più gradita da Pietro che, come suo padre del resto, non amava il lusso e lo sfarzo e viveva in maniera assai frugale e spartana.
    La prima notte di nozze fu molto meno traumatica di quanto entrambi gli sposi avessero temuto e, anzi, si rivelò persino piacevole in alcuni momenti tanto che Pietro si pentì quasi di aver rimandato così a lungo un momento simile. Agnese era la sposa perfetta per lui, ne era certo.

    Palazzo imperiale di Goslar, novembre 1066

    Tutti i feudatari dell' impero erano riuniti nella sala del trono, in attesa dell' arrivo dell' imperatore. Molti si domandavano il motivo di una convocazione ufficiale in un periodo dell' anno simile: la stagione bellica era ormai terminata ed era troppo presto per quella dei banchetti festivi.
    Pietro di Savoia, neoduca, sedeva per la prima volta in quel esimio consesso di nobiltà e non riusciva a celare il proprio imbarazzo. Non si sentiva affatto tranquillo in quell' ambiente dove, era noto, le trame e i complotti erano all' ordine del giorno.
    Già gli mancava la quiete e la pace dei suoi modesti castelli montani, gelidi in inverno e freschi d' estate, la compagnia della madre e della moglie, le caccie nei boschi e le escursioni sui monti.
    I suoi pensieri furono interrotti dallo squillo delle trombe: l' imperatore fece il suo ingresso nella sala mentre tutti i vassalli si alzavano in piedi e chinavano il capo in segno di rispetto.
    Quando Enrico IV fu seduto sul trono tutti si risedettero in attesa di conoscere i motivi di quella convocazione urgente.
    - Sono lieto di constatare che siete tutti presenti - cominciò con voce ferma e udibile distintamente in ogni angolo della sala - e altrettanto felice di porgervi il mio benvenuto. Probabilmente vi starete domandando il motivo di questa mia convocazione, che giunge in una stagione insolita; ebbene, poiché si tratta di una questione molto importante, non ho intenzione di sprecare fiato e di far perdere del tempo a voi. Siete qui, oggi, per confermare o ... rigettare le mie pretese sulla contea di Gand che è attualmente possesso del duca di Fiandra, suddito del re di Francia.
    Rivendico quelle terre in quanto antico feudo imperiale ed intendo riottenerne il possesso anche a costo della guerra. Ciò che vi chiedo dunque è di autorizzarmi a dichiarare guerra al re di Francia per il controllo di Gand -
    Il duca di Sassonia, unico tra tutti i sudditi imperiali ad avere abbastanza fegato per rivolgersi all' imperatore anche senza il suo consenso, si alzò in piedi.
    - Vostra altezza intende forse scatenare una guerra in questa stagione per ottenere una sola contea? -
    Enrico IV lo squadrò.
    - Esattamente caro duca, e il motivo è molto semplice. Mi stupisce che non l' abbiate inteso da solo. Nessuno potrebbe pensare di essere attaccato in auturnno avanzato, nessuno compreso il re di Francia. Se io attacco adesso, in questa stagione, troverò il suo esercito impreparato e quasi sicuramente ridotto di effettivi. Ciò renderà la guerra una pura formalità e le perdite conseguenti saranno minime, sia per me che per i francesi. Vi garantisco che entro la prossima estate Gand farà parte dell' impero -
    Il duca di Sassonia, Ordulf Billung, si sedette nuovamente pur conservando sul volto un' espressione scettica. Era noto il suo scarso affetto nei confronti dell' imperatore, che per altro ricambiava il duca con la stessa moneta. Se gli lasciava il titolo era solo perché non aveva intenzione di indebolire il suo esercito in una guerra civile inutile.
    Ad ogni modo, quando si trattò di votare, tutti i vassalli approvarono la richiesta imperiale e la guerra, sebbene in molti non fossero disposti a scendere personalmente in campo. Si sarebbero limitati a concedere all' imperatore la parte di truppe feudali che gli dovevano essere fornite.
    Pietro mise a disposizione solo una piccola parte del suo già modesto esercito e si dichiarò pronto a guidare personalmente il contingente sabaudo, più per senso del dovere nei confronti dell' imperatore che per vero interesse nella questione di Gand.
    Enrico IV però, credendo di aver trovato nel giovane duca il più devoto dei vasalli, decise di nominarlo comandante dell' esercito imperiale e fu a lui che affidò la parte dell' esercito destinata ad invadere la contea di Gand.
    Pietro non era un militare ne un condottiero. Sapeva come usare la spada ed era un buon cavaliere, ma il ruolo di comandante era l' ultimo che avrebbe voluto. Tuttavia accettò, sicuro di trarne più vantaggi che svantaggi e sicuro che, in ogni caso, la successione era assicurata dai fratelli maschi più giovani.
    Non tornò neppure in Savoia dopo l' incontro con l' imperatore: inviò a sua madre una lettera con cui la informava di ogni cosa e con la quale le chiedeva di governare lo stato in sua assenza, sebbene lo facesse anche in sua presenza.
    L' undici di novembre l' imperatore dichiarò guerra alla Francia facendo marciare i suoi uomini verso ovest: Pietro era al suo fianco.

     
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    Gand, aprile 1067

    Il cavaliere smontò dal cavallo stremato e si precipitò verso l' ingresso della tenda occupata da Pietro, nel campo degli assedianti. Le due guardie all' ingresso lo fecero entrare senza porre domande.
    - Signore, gravi notizie - ansimò il giovane.
    Pietro era intento a leggere i resoconti che giorno per giorno gli venivano consegnati in merito al progredire dell' assedio della città, alzò lo sguardo e un' espressione preoccupata gli comparve sul volto.
    - Mia madre sta forse male? è in pericolo di vita? - chiese.
    - No signore, non riguarda vostra madre. Riguarda voi - rispose il cavaliere posando sul tavolaccio di legno un rotolo di pergamena chiuso col sigillo ducale. Proveniva certamente da sua madre.
    Pietro lo prese, ruppe il sigillo, srotolò la pergamena e, intanto che leggeva, il suo volto non riuscì a nascondere l' irritazione. Non erano buone notizie.

    "
    Caro figlio, sono venuta al corrente di un complotto che minaccia l' intera famiglia. Il conte di Ginevra sta cercando in ogni modo di usurparti il titolo ducale e secondo le notizie che mi giungono il complotto sembra ben avviato e potrebbe divenire manifesto in breve tempo. Cerca di concludere quanto prima il tuo compito e raggiungi la tua terra, serve la tua presenza per impedire a quel bifolco di privare te, e me, di tutto quello che tuo padre e i suoi predecessori hanno costruito in questi anni "

    Seguivano poi notizie sulla buona salute di tutti e sulla gravidanza di Giovanna di Ginevra, moglie di Amedeo e fratello minore di Pietro. Giovanna era la sorella di Gerardo di Ginevra, il bifolco conte intenzionato a divenire duca di Savoia.
    La parentela non era un' ostacolo per lui, evidentemente.
    Pietro era livido di rabbia: come osava quel miserabile minacciare il suo titolo? ancora tremante di rabbia prese un foglio di pergamena e vergò in fretta la risposta per la madre, cercando di mostrarsi tranquillo e autorizzandola, qualora Gerardo si fosse fatto avanti prima del suo ritorno, ad arrestarlo. L' importante è che non gli fosse torto nemmeno un capello, almeno fino a quando non avrebbe potuto interrogarlo personalmente.
    Le confidò poi che la guerra non stava andando secondo i piani prestabiliti e che Gand non sarebbe caduta prima di qualche mese. C'era persino il sospetto che il re di Francia avesse ignorato la minaccia imperiale sulla città per attaccare Enrico alle spalle o tentare l' invasione della Lotaringia e isolare le truppe impegnate nell' assedio di Gand da quelle inviate a sud, in Borgogna, guidate dello stesso imperatore.
    Infine aggiunse una postilla nella quale chiedeva alla madre di tenere sotto stretta sorveglianza Giovanna e Amedeo perché temeva potessero essere coinvolti nel complotto, magari per avvantaggiare il loro figlio.
    Chiuse la pergamena, la sigillò e la consegnò al cavaliere con l' ordine di arrivare il prima possibile al castello di Charbonniere.
    - Farò il possibile signore - rispose il cavaliere prima di uscire dalla tenda - ma la strada più diretta per la Savoia passa vicino al confine con la Francia, dovrò fare un giro più largo per evitare le pattuglie francesi -
    Pietro annui e lo congedò.
    Poco dopo montò sul suo cavallo e fece un giro alle linee d' assedio per sfogare la rabbia.

    Aiguebelle, Savoia, febbraio 1068

    Pietro rientrò nel suo castello ai primi di febbraio del 1068, con l' aria distrutta. Pochi giorni prima il re di Francia e l' imperatore si erano incontrati nei pressi di Digione per concludere la pace ed Enrico, che era stato sconfitto in battaglia perdendo metà dei suoi uomini, aveva dovuto rinunciare alla contea di Gand, nonostante la città e il suo territorio fossero stati conquistati militarmente dalle truppe guidate dal duca di Savoia.
    Prima di lasciarlo tornare a casa Enrico si era recato nel campo sabaudo vicino a Gand per ringraziare Pietro e per comunicargli la brutta notizia della sconfitta, rinnovandogli comunque la fiducia e mantenendolo nel suo ruolo di comandante dell' esercito imperiale.
    La marcia da Gand alla piccola capitale sabauda, oltre 450 miglia più a sud, era durato una decina di giorni e certo non era stata una passeggiate di salute: avevano attraversato le regioni colpite dalla guerra e quindi rese povere e avare di risorse, le malattie avevano richiesto il loro pedaggio portandosi via un centinaio di validi soldati.
    Inoltre il clima assai rigido non aveva reso le cose più facili. Ad ogni modo il contingente sabaudo ritornò a casa senza gravi conseguenze e il duca corse subito da sua madre per avere informazioni più precise riguardo al complotto che, almeno così pareva, era ancora in stato vegetativo.
    Nelle rare missive che gli erano giunte in quei mesi, Adelaide non aveva più parlato di complotti e trame oscure, limitandosi ad annunciare al figlio la nascita del suo primo nipote che i genitori avevano chiamato come il padre, Amedeo. Il bambino, nato nel mese di novembre dell' anno precendente, era sano e robusto e lasciava indentere una vita piuttosto lunga.
    La madre era stata interrogata in merito al tentativo di fratello di usurpare il titolo ducale al suo legittimo proprietario, ma Giovanna aveva negato ogni coinvolgimento suo e del marito assicurando la suocera in merito. Adelaide si era fidata e la coppia si era trasferita ad Aosta, dove Amedeo aveva ereditato dal padre un piccolo castello.

    La notizia del ritorno di Pietro costrinse Gerardo di Ginevra a sospendere il suo complotto perché ora i rischi erano decisamente maggiori e la riuscita del piano molto meno sicura. Quando un messo di Pietro lo raggiunse a Ginevra per incontrarlo, il conte negò di essere partecipe di un complotto e anzi assicurò al duca in merito alle sue buone intenzioni nei suoi confronti.
    - In fondo - gli fece sapere - voi siete il fratello di mio cognato, mia sorella risiede presso di voi, a che pro metterei a rischio la sua incolumità e quella di mio nipote? -
    Pietro accolse quella risposta con velato scetticismo e continuò a far tenere sotto controllo il conte e tutti i suoi famigliari, ma se non altro ora era sicuro che il colpo di mano non era più imminente e nemmeno certo.
    Poteva dedicarsi con più tranquillità agli affari di stato.

    Aiguebelle, Savoia, marzo 1068

    - Come ha potuto farmi questo - Pietro era furioso, i suoi occhi erano laghi di fuoco e la sua voce un tuono.
    - Stai calmo figlio mio, non lasciarti spingere dall' ira a genti inconsulti - cercò di rabbonirlo sua madre.
    - Ha scritto a mio fratello ordinandogli, si ordinandogli, di portare Giovanna a Ginevra e di lasciare che il piccolo Amedeo cresca presso di lui. Ha osato dare ordini a mio fratello, come se fosse lui il padrone. Questa volta non mi limiterò a mandargli un avvertimento, deve pagare per questo insulto -
    Adelaide era preoccupata per l' evidente stato di agitazione in cui versava il suo primogenito ma allo stesso era arrabbiata con quel villano quadro che si intrometteva nella vita privata di un Savoia senza alcun motivo.
    - Ragiona un momento Pietro, quell' uomo sta cercando di provocarti per farti scoprire e approfittare di quel momento per agire. Non ha mai rinunciato al suo complotto e questo atto insensato fa parte del piano, ne sono certa. Lui è sicuro che Amedeo sarà dalla sua se gli offrirà qualcosa in cambio. Prima di muoverti devi assicurarti che Amedeo non sia coinvolto -
    Pietro la guardò storto.
    - Mi state forse dicendo che sospettate di uno dei vostri figli? che Amedeo sarebbe pronto a tradirmi in cambio di qualche castello? -
    - No, io sono certa che Amedeo non ti tradirà mai, nemmeno per tutti i titoli nobiliari di questo mondo, ma se tu gli mostrerai di essere al corrente della lettera e se gli garantirai tu stesso quei castelli, lui resterà dalla tua parte -
    Pietro le diede ragione e mandò un messo al fratello con un messaggio nel quale, oltre ad informarlo di ogni cosa, gli garantiva il possesso dei castelli già promessigli dal conte di Ginevra. In cambio, terminava, chiedeva la sua lealtà.

    Amedeo non amava il fratello maggiore, ma non era un ammiratore neppure del cognato, che reputava troppo ambizioso. In fondo, si diceva, la Savoia era un possedimento della sua famiglia da oltre mezzo secolo, mentre Ginevra apparteneva alla famiglia di sua moglie solo da una generazione. Che mire poteva mai avere sul ducato?
    Quando gli giunse il messaggio di Pietro, Amedeo fu da un lato indispettito dal fatto che il fratello non fosse certo della sua lealtà e dall' altro lieto di poter comunque prendere possesso di quei castelli che tanto gli piacevano. Rispose a Pietro con una lettera piena di buone parole e di cortesia, facendo però notare il suo dispiacere per quel dubbio in merito alla fedeltà e concludendo con l' offerta di un piccolo contingente di uomini in caso di pericolo.
    Una volta che Pietro fu certo della lealtà del fratello ebbe campo libero per muovere la sua pedina. Radunate in fretta e in segreto tutte le truppe disponibili le fece muovere verso nord facendole poi accampare in riva all' Arve, nei pressi di Bonneville. Poi inviò al conte di Ginevra una lettera carica di astio e di minacce, infarcendo la missiva con improperi e aggettivi poco piacevoli, annunciando l' invasione della contea se, entro il 10 marzo dell' anno corrente, questi non fosse giunto a Bonneville per implorare il perdono ducale.
    E quando Gerardo di Ginevra, in risposta, fece gettare nel lago Lemano il cavaliere inviatogli dal duca, Pietro ebbe il casus belli che voleva e il 10 marzo 1068 raggiunse le sue truppe e dichiarò guerra al conte di Ginevra.
     
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    Faverges, Savoia, 26 aprile 1068

    Per un soffio la battaglia non era terminata con una disfatta. Se non fosse giunto il duca in persona alla testa della cavalleria attaccando alle spalle i ginevrini, l' esercito savoiardo avrebbe perduto lo scontro.
    Nessuno aveva idea di come facessero a trovarsi i ginevrini in pieno territorio sabaudo ne da dove fossero giunti: la via diretta che collegava Ginevra con il cuore della Savoia era controllata dalle truppe ducali e nessuna delle pattuglie aveva notato movimenti sospetti nelle settimane precedenti. Sebbene la guerra fosse già stata formalmente dichiarata in marzo, le truppe sabaude erano ancora accampate a Bonneville, in attesa di essere raggiunte dagli ultimi contingenti invitati dalle città di Torino, Ivrea e Aosta, il cui arrivo era previsto per la fine di marzo.
    Il 12 aprile l' esercito si era finalmente mosso verso Ginevra ma, trovando la via sgombra e temendo agguati, Pietro aveva preferito fermarsi non lontano da Annemasse, limitandosi a spedire piccoli reparti di cavalieri armati alla leggera a pattugliare le altre vie d' accesso al ducato. Una però, ritenuta troppo impervia e pericolosa era stata trascurata. Il duca, che non era stupido ma poco avvezzo all' arte della guerra, credeva che la stretta mulattiera che giungendo dalla valle del Rodano passava nell' angusta gola del torrente Fier sboccando nella vasta conca di Rumilly non fosse praticabile da un esercito, seppure di piccole dimensioni, specialmente all' inizio della primavera, per via delle soventi piene derivate dello scioglimento delle nevi in quota.
    Gerardo, che invece della guerra aveva fatto la sua ragione di vita, sapeva benissimo che quella stradetta poteva essere utilizzata, di giorno e con molta attenzione. Quindi, quando si era reso conto che Pietro si preparava ad attaccarlo in forze, aveva radunato il suo esercito in fretta e furia e, scendendo il corso del Rodano era giunto inosservato sino al Pont de Seyssel, che segnava il confine tra il ducato di Savoia e la contea di Lione, feudo del duca di Provenza.
    Si era poi infilato nella gola, lunga circa tre miglia, uscendone praticamente alle spalle dei sabaudi, in quel momento ancora accampati ad Annemasse, distante una trentina di miglia in direzione nord-est.
    Aveva la strada libera per muovere su Annecy e, costeggiando il lago, arrivare come una furia nella valle dell' Isere, tagliando le vie di comunicazione tra Aiguebelle e l' esercito sabaudo accampato.
    Ed era in procinto di attuare questo piano quando il suo esercito fu individuato da una delle pattuglie inviate dal duca. Prontamente gli uomini si erano precipitato al campo sabaudo informando Pietro di quanto stava accadendo.
    Il duca, perplesso e molto turbato, aveva dato ordine di levare le tende e di marciare verso sud, con lo scopo di bloccare l' avanzata nemica nella conca di Faverges.
    E proprio li, il giorno 25 aprile, i due eserciti si erano incontrati. Tuttavia, a causa delle pessime condizioni climatiche e delle strade dissestate, le truppe sabaude a cavallo con la guardia del duca erano rimaste indietro e la fanteria da sola era appena superiore per numero a quella nemica. Gerardo, rendendosi conto di ciò, aveva lanciato la sua fanteria contro il centro nemico mentre la cavalleria, agendo sulle ali, minacciava di aprirsi una via verso l' Isere. I sabaudi erano stati sul punto di cedere e ritirarsi quando, come una furia, la cavalleria ducale era spuntata da nord scendendo lungo la valle del torrente La Chaise, impegnando ferocemente i fianchi ginevrini. Rincuorati dall' arrivo del duca e spronati dalla sua presenza i sabaudi si erano ricompattati finendo per volgere in fuga i ginevrini. Al termine della battaglia erano rimasti sul campo meno di 200 sabaudi e oltre 500 ginevrini.


    upload_2016-8-10_2-19-31.png
    La Battaglia di Faverges
    La sera del 26 aprile, dopo aver trascorso l' intera giornata a seppellire i caduti di entrambe le parti, Pietro si recò a ringraziare il cielo per l' insperata vittoria ad un pilone votivo ai margini della selva di Tamiè che ricopriva la sella che separava la valle dell' Isere dalla conca di Faverges.
    Nei giorni immediatamente successivi l' esercito sabaudo si era mosso deciso verso Ginevra e questa volta si era accampato attorno alla città ponendola sotto assedio, seppure parziale, essendo sprovvisto di macchine d' assedio efficaci.
    Gerardo, furioso per la sconfitta giunta un attimo prima di ottenere la vittoria, aveva spedito i resti del suo esercito verso Losanna chiudendosi in Ginevra solo con la guardia personale, dirigendo lui stesso la difesa.

    Ginevra, giugno 1069

    Era passato oltre un anno dall' inizio dell' assedio, ma ancora la città resisteva e alzava le sue mura intatte su cui le guardie del conte continuavano a dileggiare gli assedianti, quasi più provati degli assediati.
    Sebbene potesse contare sull' invio costante di rifornimenti e rinforzi, l' esercito sabaudo non era numericamente in grado di assaltare le mura senza rischiare un' ecatombe e vanificare quanto di buono fatto fino ad allora. Ma l' attesa era snervante e l' impressione di essere al cospetto di una città imprendibile, per quanto piccola, faceva crescere il malumore e la rabbia negli assedianti, mentre all' interno delle mura, anche se con le riserve di cibo ormai agli sgoccioli, il morale restava alto perché si confidava nell' intervento del grosso dell' esercito ginevrino, che però era ancora disperso tra Losanna e il lago di Neuchâtel, privo di guida e di ordini.
    Pietro era il più giù di morale di tutti e nemmeno la notizia, giunta in maggio, della nascita della seconda figlia di suo fratello e di Giovanna, era riuscita a riscuoterlo dalla sua apatia. Serviva una vittoria, bisognava prendere Ginevra, ad ogni costo, prima di poter imporre la pace.
    Per giorni e giorni il duca aveva pregato ogni santo del paradiso chiedendo un aiuto e alla fine le sue preci furono esaudite. All' alba del 2 giugno Gerardo, che aveva visto perire la madre, il fratello minore e molte centinaia di abitanti in quei lunghi mesi di assedio, prese atto della sua sconfitta e, seppure a malincuore, uscì dalla città per conferire col duca di Savoia, prostrato quasi quanto lui.
    Pietro ebbe un sussultò di vita quando lo informarono che il conte di Ginevra era all' ingresso del campo e che intendeva arrendersi. Indossò la sua armatura e gli si fece incontro, celando al meglio il suo stato psicofisico dietro un' espressione di alterigia e potenza.
    L' incontro fu breve e prima di mezzogiorno Ginevra, i suoi abitanti ancora vivi, il suo esercito superstite e tutto il suo territorio erano possedimento sabaudo.

    Aiguebelle, luglio 1069

    - Fratello, ascoltami, concedi questa grazia a mia moglie, te ne prego -
    Amedeo era inginocchiato ai piedi del fratello, implorando pietà per il cognato, ancora prigioniero delle celle ducali. Pietro lo aveva fatto incatenare in una di quelle minuscole e umide stanze subito dopo il suo ritorno nella capitale al termine della campagna ginevrina portandolo con se, quale segno visibile della vittoria.
    Era sua intenzione privarlo di ogni titolo prima di farlo giustiziare ma l' improvviso arrivo a corte di suo fratello lo aveva costretto a modificare i piani. Amedeo intercedeva in favore del prigioniero non perché legato a lui da legami di amicizia, quanto piuttosto per amore della moglie, che al fratello era molto legata.
    Era lei a chiedere pietà in realtà, Amedeo non era altro che il latore del messaggio.
    - Il fratello di tua moglie ha cercato di usurpare il mio titolo - rispose Pietro con freddezza - non merita forse una giusta punizione? -
    - Se lo farai uccidere perderai il favore del popolo e finirai per farti altri nemici, ben più potenti. Se invece lo lasci vivere, anche prigioniero, mostrerai la tua clemenza e la tua magnanimità -
    Pietro non amava Amedeo, ma quella sua dimostrazione di buon senso lo colpì e finì per convincerlo.
    - E sia - disse dopo aver meditato per alcuni minuti - muterò la pena capitale in una prigionia perpetua, e non lo priverò del titolo che, alla sua morte, sarà ereditato da tuo figlio Amedeo. In questo modo la contea di Ginevra passerà nella mani di un Savoia -
    Amedeo tirò un sospiro di sollievo e si alzò.
    - Giovanna ti sarà molto grata per questo - disse prima di andarsene.
    - Non l' ho fatto per lei, ma per tuo figlio. è troppo giovane per governare -
    Amedeo annui in ogni caso e se ne andò, lasciando Pietro accigliato e cupo. Perché governare era così dannatamente difficile?
     
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  5. alberto90

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    Castello di Nyon, luglio 1069

    Pietro aveva trovato una soluzione al problema che da giorni gli impediva di dormire tranquillo. Aveva conquistato la contea di Ginevra e il conte era in catene nel piccolo castello di Montmelian, ma chi gli garantiva che anche da li non riuscisse a complottare contro di lui?
    A Ginevra, per rappresentare il conte prigioniero, Pietro aveva scelto Aymone che era il figlio del defunto fratello minore di Gerardo, all' epoca ancora bambino. Sebbene il conte fosse ancora Gerardo, il vero signore era però Aymone, guidato dalla zia e dallo zio acquisito Amedeo. In tal modo Pietro si era assicurato il sostanziale controllo della contea senza gravi problemi, ma temeva comunque che il bambino riuscisse a mettersi in contatto con lo zio prediletto e diventarne uno strumento di vendetta.
    A metà luglio quindi il duca si recò in visita presso il suo piccolo vassallo nel castello di Nyon dove i conti risiedevano durante la bella stagione e li, in presenza del fratello, della moglie e della madre convinse il giovane a stipulare con lui un formale patto di non aggressione. In questo modo Aymone riceveva formale investitura comitale e Pietro metteva al sicuro i suoi confini settentrionali da possibili attacchi dei partigiani di Gerardo, ancora in gran parte liberi di muoversi loro piacimento.

    Aiguebelle, marzo 1071

    Da tempo Pietro aveva messo gli occhi sul Vallese, che era una valle ampia, verdeggiante e anche abbastanza fertile nella sua area più settentrionale, vicino alle sponde del Lemano.
    Era un territorio attraversato da due grandi strade che permettevano a chi ne fosse in possesso il controllo totale sul valico del Gran San Bernardo ( e quindi con Aosta ) e quello parziale, ma comunque importante, sui valici di Grimsel ( da cui scendendo lungo l' Aare si giungeva facilmente a Berna ) e il Furka ( che seguendo il corso del Reuss portava verso Zurigo e la Germania ).
    Il Vallese era un principato ecclesiastico, formalmente feudo dell' Impero ma in realtà sotto controllo e influenza papale. Non era difficile creare dei documenti coi quali rivendicare il possesso della valle, il problema era evitare l' intervento di Roma e di conseguenza la risposta imperiale.
    Pietro voleva quella valle a tutti i costi, ma non era tanto accecato dal desiderio da commettere stupidaggini tali da mettere a rischio il suo titolo. Nel corso dell' anno precedente aveva comunicato all' imperatore le sue intenzioni riguardo al Vallese ed Enrico IV si era detto d' accordo sull' annessione del principato ecclesiastico al ducato di Savoia, garantendo inoltre al duca il suo appoggio in caso di problemi con Roma.
    Ecco che a Pietro mancava solo un casus belli abbastanza chiaro per poter agire secondo i canoni del tempo; senza volerlo fu proprio il principe-vescovo a fornirgliene uno molto valido, negando il transito sul suo territorio di una delegazione sabauda diretta al palazzo imperiale di Goslar all' inizio della primavera del 1071.
    Il duca, indignato, raduno l' esercito e a fine marzo invase il Vallese deciso a farne un suo possedimento personale.

    Aosta, 8 aprile 1071

    Amedeo era in attesa dell' arrivo del fratello già da ore ed era molto preoccupato. Gli era stato comunicato che il duca sarebbe passato dalla Valle d' Aosta con una parte delle truppe per attaccare il Vallese da due direzioni.
    Amedeo aveva quindi approfittato di quel passaggio per chiedere al fratello di sostare presso di lui perché necessitava di parlargli privatamente di una faccenda importante.
    Nel primo pomeriggio finalmente Pietro fece il suo ingresso in Aosta alla testa di un reparto della sua guardia, mentre l' esercito si accampava fuori dalle vecchie mura. Il duca si recò subito dal fratello perché, oltre a non voler perdere tempo prezioso, era anche incuriosito dalla richiesta di colloquio che Amedeo gli aveva fatto pervenire.
    I due si abbracciarono in una piccola sala del palazzo pretorio, pur senza mostrare grandissimo affetto l' uno per altro.
    - Che cosa posso fare per te, fratello? - domando Pietro dopo i convenevoli di rito.
    - Desidererei chiederti, in nome del sangue comune, il possesso delle città di Torino, Ivrea e Settimo con il conseguente comitato -
    Pietro lo squadrò da capo a piedi con aria truce. Per un attimo Amedeo temette di essere stato troppo diretto e vide la sua vita a rischio, era già pronto a prostrarsi ai piedi del fratello per chiedere perdono e salvezza quando Pietro, attenuando quella sua espressione grave, allungò una mano e gliela posò sulla spalla destra.
    - D' accordo - disse - te lo concedo. Da questo momento in poi sarai il conte Amedeo I di Piemonte. I tuoi doveri già li sai, mi aspetto che tu li mantenga fedelmente -
    Amedeo non poteva credere alle sue orecchie. Era conte, aveva un titolo nobiliare, si sarebbe trasferito nella regione più bella del mondo, più lontano da quelle aspre montagne che d' inverno lo isolavano dal mondo.
    Sorridendo si inginocchio davanti al fratello, poi gli baciò l' anello e quando Pietro, un po' imbarazzato lo aiutò a sollevarsi, lo abbracciò con un tale calore che parve svanito il dissidio tra i due.
    Il mattino dopo Pietro e l' esercito ripartirono da Aosta iniziando a risalire la valle del torrente Buthier diretti al valico del Gran San Bernardo.

    Vallese, autunno 1071

    Colto di sorpresa dalla doppia invasione sabauda, il principe-vescovo aveva ordinato al suo esercito di ritirarsi sulle sponde del Lemano e li attendere il momento giusto per occupare la strada costiera che, passando tra la sponda meridionale del lago e i primi contrafforti alpini, collegava Annemasse con Monthey, la stessa strada percorsa dai sabaudi.
    Quando i due tronconi dell' esercito di Pietro si erano riuniti a Martigny ( il primo risalendo il corso del Rodano e il secondo scendendo dalla valle della Drance ), le truppe vallesi avevano occupato il villaggio di Saint-Gingolph tagliando in tal modo la via più rapida e sicura per un' eventuale ritirata dei sabaudi. I quali, ignorando la cosa, si erano schierati attorno a Sion, capitale del principato ecclesiastico, ponendola sotto assedio.
    Verso la metà di settembre la sorte della cittadina era ormai segnato e il principe-vescovo, rifugiatosi presso i monaci benedettini di Saint-Maurice, era pronto a far scattare l' attacco dei suoi alla retroguardia sabauda, con l' intento di spezzare l' assedio e intrappolare gli invasori tra i monti per l' inverno.
    Quando però seppe che Sion era caduta il 16 settembre, dovette modificare i piani e attirò i sabaudi verso di se attaccando Thonon e facendo assediare Evian. Pietro diede ordine ai suoi di muovere in soccorso delle due cittadine solo due mesi più tardi, quando fu sicuro che l' esercito nemico era inferiore al suo.
    A metà novembre sabaudi e vallesi si scontrarono nel vasto fondovalle del Rodano, nei pressi di Aigle. Caricando con la cavalleria il centro nemico, il duca separò le due ali che poi attaccò alle spalle schiacciandole contro i suoi fanti che attaccavano frontalmente.
    Nel giro di poche ore le truppe del principe-vescovo furono sbaragliate con pochissime perdite da parte dei sabaudi. Nonostante la sconfitta però il principe-vescovo si rifiutò di arrendersi e Pietro dovette conquistare uno ad uno tutti i centri principali della valle a partire da Aigle, poi Saint-Maurice e infine Martigny, impresa che richiese quasi tre mesi.

    Palazzo vescovile di Sion, 17 febbraio 1072

    Il principe-vescovo indossava tutti i simboli del suo potere, religioso e temporale, mentre attraversava la sala delle udienze del suo palazzo per incontrarsi col duca di Savoia.
    Pietro era in piedi, in fondo alla sala, circondato dalla sua scorta, in attesa di ricevere dalle mani dello sconfitto le chiavi della città quale segno di resa. Attendeva quel momento da mesi, sin da quando era stato certo della vittoria dopo la battaglia di Aigle, ed ora i suoi sforzi e la sua pazienza stavano per essere premiate.
    Lo sconfitto, pur tale, era comunque un' autorità religiosa importante e Pietro, devotissimo, si chinò per baciare l' anello del prelato che, sorpreso, si limitò a benedire il capo del duca. Poi, senza parlare, gli mise nelle mani le chiavi di Sion e con tale atto dichiarava la propria sconfitta.
    Il duca, che sapeva di non poter incarcerare lo sconfitto ne tantomeno privarlo del suo titolo ecclesiastico, gli confermò il possesso del Vallese quale vassallo della Savoia e inoltre gli offrì il posto di cappellano di corte.
    Il principe-vescovo, che aveva temuto di fare la stessa fine del conte di Ginevra, fu enormemente sorpreso da quella magnanima offerta e accettò di buon grado.
    Durante il viaggio di ritorno verso casa, il duca ebbe tempo e modo di riflettere su come, in poco tempo, avesse imparato molto riguardo all' arte della guerra e potè notare, con una nota di soddisfazione, come avesse vinto entrambe le guerre che aveva intrapreso estendendo notevolmente i confini del ducato che suo padre gli aveva lasciato undici anni prima morendo.
    Poteva senz'altro fare di più, doveva fare di più. Ora che il Piemonte era in mano a suo fratello, si aprivano per il ducato di Savoia nuove regioni da conquistare, nuovi titoli da usurpare .....
     
  6. alberto90

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    Aiguebelle, fine novembre 1072

    Pietro era sorpreso di avere nel suo castello ospiti di quel livello, e in un simile periodo dell' anno. Alcuni giorni prima aveva ricevuto la notizia che prima di Natale sarebbero giunti in Savoia il duca di Provenza, il conte di Forez, la duchessa di Toscana-Spoleto-Modena e il conte di Bologna, i quali chiedevano all' illustre duca di Savoia di riceverli in udienza.
    Pietro naturalmente aveva inviato la sua risposta affermativa ed ora eccoli li, i suoi ospiti, prima tra tutti l' affascinante duchessa Matilde di Canossa, già padrona incontrastata di mezza Italia.
    Era vestita in modo così elegante da far sembrare gli altri ospiti quasi dei villani, compreso il pur ricco e potente duca di Provenza.
    Mentre li salutava uno ad uno Pietro si domandava con crescente curiosità il motivo di quella inaspettata visita. Quella sera, durante il banchetto di benvenuto, ebbe finalmente modo di soddisfare la sua curiosità.
    - Quando è giunto qui a corte il latore della vostra richiesta di ospitalità - disse mentre la servitù si affannava a servire nuove portate - mi sono chiesto il motivo di questa vostra visita che, ad onor del vero, continuo a ritenere assai inaspettata. Che cosa vi spinge fino a queste gelide e inospitali valli? -
    Fu la duchessa Matilde a rispondere, a nome di tutti.
    - Siamo qui, caro duca, per rendervi partecipe di un piano che ci è stato proposto dal conte di Monferrato molti mesi fa - disse con voce sicura.
    - Che genere di piano? -
    - Abbiamo costituito una lega di stati che si pone quale obbiettivo ultimo l' indipendenza dall' imperatore -
    Pietro la guardò, con un' espressione neutra che però celava un misto di fastidio e timore.
    - Un obbiettivo alquanto ambizioso senza dubbio - esclamò dopo qualche attimo - dunque se ho ben compreso, voi saresti qui informarvi che tramate per ottenere l' indipendenza dall' imperatore Enrico -
    - In effetti no - rispose il duca di Provenza - il nostro scopo non è solo informarvi del piano, ma ottenere la vostra adesione alla nostra lega -
    Per un attimo Pietro fu indeciso se scoppiare a ridere o infuriarsi. Decise di evitare entrambe le cose e si limitò a sbocconcellare un pezzo di pane, con fare indifferente.
    - Più numerosi saremo quando porteremo all' imperatore la formale richiesta di indipedenza maggiori saranno le probabilità di ottenerla senza scatenare una guerra civile che sarebbe nefasta per tutti - aggiunse Matilde di Canossa, come per chiarire il concetto già di per se molto chiaro.
    - Cari e illustri ospiti - disse Pietro alla fine - voi senz'altro siete a conoscenza del mio legame di parentela con l' imperatore e dunque capirete il mio rifiuto ad unirmi alla vostra lega. Ma vi do atto di grande coraggio e intraprendenza, perché io potrei trattenervi qui per settimane e mandare qualcuno presso l' imperatore per informarlo del vostro complotto e lasciare a lui lo spiacevole compito di decidere la vostra sorte. E invece no, non farò nessuna di queste cose: non ho sinceramente voglia di fare la spia, non è il mio mestiere. Avete detto che questa lega è un' idea del conte di Monferrato, che non vedo presente, dove si trova in questo momento? -
    - Lo abbiamo inviato come ospite agli Este di Milano - rispose il duca di Provenza - per cercare di coinvolgere anche lui -
    - Capisco. Cosa intendete fare se l' imperatore si rifiuterà di accogliere le vostre richieste? - Pietro li squadrò negli occhi uno per uno, con espressione seria.
    - Temo che saremo costretti a prendere le armi contro di lui e ... contro di voi - disse Matilde di Canossa, che era assai famosa per le sue straordinarie qualità di condottiera e spadaccina.
    - Conoscendo le vostre imprese belliche, sono spinto a desiderare la riuscita del vostro piano - esclamò Pietro alzandosi.
    Era un segnale chiaro: il banchetto e l' udienza erano terminati. Tutti si alzarono e uno ad uno tornarono nelle loro stanze per la notte, mentre Pietro sfidò il gelo della sera per una passeggiata sui bastioni del castello.
    L' indomani mattina i suoi ospiti ripartirono alle prime luci e sparirono verso nord, probabilmente diretti in Germania. L' imperatore non avrebbe tardato a ricevere un brutto regalo di Natale ....

    Tre settimane più tardi un cavaliere fece irruzione nella corte del castello di Charbonniere. Pietro, che stava terminando di stilare una lettera per l' imperatore, alzò gli occhi e si trovò davanti il giovane inviato. Era intirizzito, sporco di fango e i suoi vestiti erano laceri e umidi. Non doveva essere stato un viaggio facile il suo.
    - Signore, porto un messaggio dell' imperatore - disse con un fil di voce il poveretto, prima di crollare su una sedia vicino al fuoco.
    Pietro prese la pergamena, la aprì e, sin dalle prime righe, si rese conto di aver fatto bene a iniziare a buttare giù il messaggio. Enrico IV gli faceva sapere che una settimana prima erano giunti alla sua corte tutti i membri della lega per l' indipendenza chiedendo, quasi ordinandogli anzi, di concedere loro la libertà dall' impero, lasciando intendere la possibilità di una guerra civile in caso di rifiuto.
    L' imperatore aggiungeva che, viste le dimensioni della lega e l' esito tutt'altro che certo dello scontro che sarebbe seguito ad un rifiuto, aveva concesso l' indipendenza al ducato di Provenza, alle contee di Forez, Saluzzo, Monferrato, Bologna, al ducato di Toscana, al principato ecclesiastico di Ravenna e alle repubbliche di Ancona e Urbino.
    Terminava invitandolo a Goslar per la Pasqua dell' anno venturo.
    Pietro ripose la pergamena e spedì il cavaliere nelle cucine per sfamarsi e dissetarsi prima di ripartire, con la risposta che aspettava solo di essere terminata.
    E così la lega aveva vinto e la situazione si era fatta decisamente interessante ....

    Torino, 15 ottobre 1075

    Pietro era ormai allo stremo. Non aveva che ventotto anni eppure la sua solida fibra si era arresa in breve tempo agli assalti della polmonite. Nei tre anni precedenti il duca di Savoia si era distinto nel ruolo di comandante guidando le truppe imperiali fornitegli da Enrico IV contro gli uomini del duca di Boemia, nel corso della guerra scatenata dall' imperatore per il possesso della contea di Znoimo, già feudo del conte di Brno.
    Tra l' agosto del 1073 e fino a due mesi prima, il duca aveva inflitto una serie di sconfitte ai boemi permettendo all' imperatore di ottenere, con la pace firmata a Praga, la tanto desiderata contea.
    Ma già il giorno seguente alla firma del trattato di pace Pietro, che era presente in qualità di generale, non si era sentito bene e, peggiorando le sue condizioni nei giorni successivi l' imperatore lo aveva fatto scortare verso casa.
    Era arrivato a Torino, presso il fratello Amedeo, solo da due giorni, in condizioni ormai critiche.
    Era sempre stato un uomo sano, forte, abitutato al gelo degli inverni alpini, il suo fisico si era irrobustito nel corso delle guerre affrontate in quei 15 anni di semigoverno; e ora giaceva febbricitante e moribondo.
    Adelaide era stata avvertita in tempo delle sue condizioni e si era precipitata a Torino per assistere il suo primogenito, Amedeo aveva messo a dispozione del fratello le stanze più calde e comode e fatto chiamare il migliore degli speziali della contea per curarlo.
    Ma non era servito a nulla, era ormai chiaro che il duca di Savoia era prossimo al trapasso e pertanto fu chiamato il cappellano di corte e vescovo di Torino per somministrargli i sacramenti e ricevere dal moribondo le ultime volontà.
    Pietro, con la poca voce rimasta, nominò quale suo erede il fratello Amedeo non avendo avuto dalla bella moglie un figlio maschio, Adelaide fu incaricata di aiutare il figlio a gestire il potere mentre Giovanna di Ginevra fu nominata reggente per il piccolo Amedeo, il nipote del duca, destinato a succedere al padre e allo zio.
    Poi, con gli ultimi attimi di lucidità, mentre la febbre gli bruciava il corpo, Pietro ripensò a quanto fatto fino a quel momento, agli obbiettivi raggiunti e a quelli ancora da raggiungere e fu soddisfatto. Suo nonno, l' ormai leggendario Umberto I Biancamano, era partito come conte di Savoia e Moriana e alla sua morte aveva lasciato ai figli il compito di riunire sotto il governo sabaudo tutte le terre che l' imperatore aveva affidato alla cura della famiglia, comprese Ginevra e il Vallese. Lo zio Amedeo, detto Coda, non era riuscito a prendere ne l' una ne l' altro, perché era vissuto troppo poco. Suo padre Oddone aveva rinunciato a rivendicarne il possesso preferendo dedicarsi alla gestione del Piemonte e alla sua morte Ginevra e il Vallese erano ormai persi definitivamente. O almeno così pareva.
    Pietro invece, impiegando quindici anni, era riuscito dove gli altri avevano fallito, portando i confini del ducato ben al di là di quanto suo nonno avesse mai potuto sperare.
    E mentre chiudeva gli occhi al mondo ecco venirgli incontro il Biancamano, sorridente e con la mano tesa, pronto ad accoglierlo con lui nel luogo dove i giusti riposano per l' eternità.

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