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EU III COMPLETE AAR PISA

Discussione in 'Le vostre esperienze' iniziata da alberto90, 20 Giugno 2014.

  1. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Ma sul serio l'Austria ha ceduto a quelle condizioni?
     
  2. alberto90

    alberto90

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    eh si ... aveva occupato tutta l' Ungheria, ma aveva perso quasi tutti i paesi bassi e sopratutto aveva la warscore altissima. E la Francia, con tutte le colonie che si è fatta, poteva arruolare almeno altri 50.000 uomini ..... più che sufficienti per arrivare a Vienna.
     
  3. alberto90

    alberto90

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    Il ritorno di Roma Capitale, 1565 - 1567
    Valendosi del prestigio ottenuto dopo la rettifica del trattato di pace tra Francia e Austria, Grosso rese ancora più centralistico il suo potere lasciando ai membri del governo i soli compiti elettivi e abrogativi. In parole povere il principe governava da sovrano assoluto.
    Nel 1565 il buon governo di Grosso ottenne un ennesimo successo quando in maggio fu diffusa la notizia che la produzione di rifornimenti navali per la sempre più imponente marineria repubblicana era stata eccellente e che vi era un discreto surplus, sufficiente per incrementare il commercio di tali rifornimenti con conseguenti grandi guadagni economici e un risparmio non indifferente per la costruzione di altri navi.

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    Nel 1566, entrato nell' undicesimo anno di governo, Grosso cominciò ad avvertire una certa stanchezza cui si aggiunsero parecchi malanni che in breve tempo cominciarono a fiaccare la pur robusta costituzione del principe.
    Non ci voleva un medico per sapere che i suoi giorni erano sempre di meno e che la morte gli danzava attorno sempre più vicina e così, come ultimo atto di grandezza, Grosso fece approvare un decreto con il quale trasferiva la capitale dello stato da Pisa ( che non contava nemmeno 50.000 abitanti ) a Roma, che di abitanti ne aveva più del doppio e il cui prestigio era senz' altro maggiore.
    Bisognava solamente attendere che la città e la provincia divenissero a tutti gli effetti proprietà e possesso dello stato, evento che si verificava per legge dopo 50 anni di occupazione stabile. Roma era entrata di fatto nei possedimenti pisani nel 1517 e dunque, nella primavera del 1567, cinquant' anni esatti più tardi, Grosso potè spostare a Roma la sede del governo dichiarando la Città Eterna capitale. Il nominativo di Repubblica di Pisa venne definitivamente abbandonato in favore di Repubblica Serenissima e Nobiliare d' Italia.
    Il corteo alla testa del quale, malato ma fiero, Grosso fece il suo solenne ingresso nella nuova capitale, fu accolto trionfalmente dai più grandi dignitari civili e religiosi oltrechè naturalmente da due ali di folla esultante, come non se ne vedevano nella città che era stata centro del mondo antico dai tempi degli imperatori.
    Il principe stabilì nel sontuoso palazzo del Laterano la sua residenza, nel palazzo del Quirinale ( ancora in gran parte in costruzione ) la sede del governo e concesse che il colle Vaticano restasse di proprietà esclusiva del nunzio apostolico in qualità di vescovo della città.
    Era il 3 aprile 1567 e il principe decretò che quel giorno venisse celebrato ogni anno come festa nazionale.

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    Grosso fece appena in tempo a stabilirsi in città e scegliere tre nomi di successori da proporre al voto del governo, prima di cadere in coma il 20 aprile e spirare nel sonno senza riprendere più conoscenza una settimana dopo, il 27 aprile 1567 a soli 44 anni. A suo figlio lasciò in eredità i titoli nobiliari e i vari feudi che l' imperatore gli aveva ceduto. La moglie, Elisabetta d' Asburgo, tornò a Vienna dove morì nel 1572.

     
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  4. alberto90

    alberto90

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    Principe d' Italia
    FERDINANDO PETRUCCI, 1567 - 1573

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    La riscossa dei senesi, 1567 - 1570
    Nato in una delle più antiche e aristocratiche famiglie senesi nel 1512, Ferdinando Petrucci fu eletto Principe d' Italia il giorno dopo la morte del suo predecessore, il 28 aprile 1567.
    Odiato a morte da pisani e fiorentini per le sue origini, detestato da quasi tutti per via del suo carattere quantomeno scontroso e dai modi assai decisi e bruschi, Petrucci era riuscito a farsi eleggere grazie a un bel mucchio di ducatoni elargiti sapientemente ai membri del Consiglio di Stato. Se non avesse ricorso a quella che nel Vaticano era conosciuta come simonia, e cioè alla compravendita di voti, le sue possibilità di essere eletto sarebbero state veramente poche, quasi nulle.
    Comunque, una volta insediatosi, non fece pentire del loro ignobile gesto i suoi elettori.
    Intanto modificò subito molte delle leggi repubblicane trasformandole in favore di una forte centralizzazione del potere, decretò che il Consiglio di Stato non sarebbe stato perpetuo ma nominato di volta in volta dai vari principi che ne avessero desiderato uno nuovo; stabilì che solo il principe era tenuto ad avere una scorta armata ovunque andasse e un picchetto di guardia all' ingresso delle sue residenze; fece passare la legge che autorizzava il principe a destituire vescovi o prelati sgraditi e nel caso di resistenza da parte di questi ultimi fu autorizzato a bandirli dal territorio della repubblica; condannò severamente la pratica della magia e della stregoneria aumentando le pene da infliggere a coloro che fossero accusati di tali reati e, in ultimo, decretò, primo fra tutti i governati d' Europa, l' uguaglianza davanti alla legge di done e uomini, nobili e mendicanti, cattolici e protestanti. In uno dei codicilli di quest' ultima legge Petrucci inserì anche l' impegno da parte dei principi nel rispettare le diversità non solo religiose e politiche ma anche sessuali. La pederastia e l' omosessualità non erano molto diffuse in realtà, ma tutti gli omosessuali residenti nel territorio repubblicano da quel momento non dovettero più temere per la propria vita.
    Era una clamorosa svolta morale destinata a più ampie conseguenze nei decenni successivi. Il Papa non fu affatto entusiasta di questa tolleranza fin troppo estesa e non si fece scrupoli nell' inviare al principe una delegazione con la quale gli ordinava di far sparire omosessuali e non cattolici dai suoi stati.

    La risposta del principe fu qualcosa di inaudito e impensabile.
    - Il Papa non ha potere politico sull' Italia - disse - io sono il nuovo padrone dell' Italia e sono io a decidere cosa è meglio per il mio stato. Riferite al pontefice quanto ora ascolterete: la tolleranza sarà il fondamento su cui l' Italia prospererà e crescerà e nessuno, Papa in testa, avrà il diritto di negare al popolo d' Italia di godere di tale tolleranza -
    I cardinali, scornati, fecero ritorno a Magdeburgo e riferirono al pontefice la risposta del principe. Il Santo Padre fu molto colpito dalla fermezza del principe e finì con l' abbandonare ogni pretesa politica sull' Italia.

    Nel 1569, forti delle garanzie fornite dal principe, i nobili albanesi cercarono di estendere l' influenza della loro cultura nel paese balcanico, minacciato dallo strapotere culturale italiano.
    Una delegazione si recò a Roma per chiedere al principe di assicurare l' indipendenza culturale dell' Albania, garantendogli in cambio assoluta fedeltà politica.
    La delegazione non fu nemmeno fatta entrare nel palazzo, bloccata dagli uomini del picchetto di guardia timorosi di qualche attentato. Per giorni e giorni i delegati albanesi cercarono di incontrare il principe che in quel momento era ai bagni di Montecatini per prendere le acque, come si diceva allora, e la loro insistenza li portò nelle galere del palazzo.
    Il principe, tornato a Roma il 10 agosto, fu informato della situazione sempre più tesa in Albania e gli fu riferito dell' arresto dei delegati albanesi. La sua reazione si narra fu tremenda. Dopo aver fatto liberare i nobili albanesi, scusandosi per il pessimo trattamento ricevuto e garantito loro ogni richiesta ( naturalmente per evitare lo scoppio di rivolte pericolose in Albania e non solo ), fece torturare i responsabili dell' ingiusto arresto e la condanna per questi ultimi fu esemplare: destituiti da ogni ruolo di potere furono banditi dal territorio repubblicano ed esiliati quanto più lontano possibile.

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    La guerra di Sicilia, 1570 - 1571
    Risolte nel migliore dei modi le questioni politiche interne e domate sul nascere le sporadiche rivolte minacciate in Albania, Puglia, Romagna e Calabria, il principe diede inizio ai preparativi per la conquista della Sicilia, divenuta repubblica indipendente da qualche anno.
    Il possesso della Sicilia assicurava rotte sicure per le navi italiane dirette in Spagna o in Siria ( altro recente alleato guadagnato a spese dei Mamelucchi ) e sopratutto, grazie ai suoi quasi 200.000 abitanti, garantiva un maggior numero di uomini arruolabili nell' esercito nazionale.
    La repubblica siciliana era però alleata con il ducato di Savoia il cui esercito forte di 9.000 uomini, costituiva un pericolo non indifferente per Genova e la Liguria, protette solo da 10.000 uomini.
    Naturalmente la superiorità numerica dell' Italia era indiscutibile così come la vittoria finale, ma arrivarci sarebbe stato decisamente più difficile e quasi certamente molto sanguinoso.
    Alla fine, dopo averci pensato su per parecchi mesi, il principe decise di fare il passo decisivo confidando nel motto popolare " audaces fortuna iuvat " e nella capacità dei suoi uomini.
    Il 18 settembre 1570, con lo sbarco di 10.000 italiani presso Milazzo, la guerra di Sicilia aveva inizio ufficialmente.

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    Gli storici alleati dell' Italia ( Austria, Ragusa e Siria ) scesero in campo a fianco del principe, mentre come era prevedibile il duca di Savoia si unì allo statolder siciliano con la speranza segreta di strappare all' orgogliosa repubblica italiana la Liguria.
    Come il principe aveva temuto non furono i siciliani ad opporre maggiore resistenza all' attacco, anzi, la sconfitta avvenuta il 25 settembre a nord di Messina privò i siciliani di un esercito vero, ma i sabaudi.
    Questi, fin troppo sicuri della loro forza, invasero la Liguria riuscendo persino a battere gli italiani presso Busalla e costringerli a ritirarsi dentro Genova che fu naturalmente assediata.
    Mentre a sud gli italiani espugnavano una dopo l' altra tutte le principali piazzeforti dell' isola senza quasi trovare resistenza, a nord i sabaudi rischiavano di prendere Genova d' assalto e spazzare via tutti i suoi difensori, infliggendo un colpo molto grave al prestigio nazionale. Occorreva porre rimedio alla brutta situazione e il principe agì, ancora una volta, con fermezza. Si mise al comando di altri 10.000 uomini alla testa dei quali, dopo aver attraversato i territori amici di Modena e Parma, entrarono in Liguria da est puntando naturalmente su Genova. La flotta intanto aveva posto il blocco al porto di Nizza ( l' unico accesso al mare dello stato sabaudo ) mentre le navi mercantili facevano la spola tra i porti della penisola e Genova rifornendo la città di ogni cosa, rinforzi compresi.

    Alla fine, il 3 febbraio 1571, sconfitti davanti alla città dai sopraggiunti rinforzi e sopratutto spaventati dall' attacco portato da un contingente di 5.000 italiani oltre il confine, i sabaudi si ritirarono verso nord per proteggere la loro capitale Torino. Trovarono anche il tempo e il modo di battere di nuovo gli italiani presso Alessandria il 12 febbraio, impedendogli quindi di minacciare la linea del Po.
    Ma a sud ormai la situazione era totalmente in favore degli italiani che il 15 febbraio presero Palermo dopo un assedio durato 3 mesi e catturarono lo statolder mentre cercava di imbarcarsi su una nave inglese.
    Il 20 febbraio ebbero inizio le trattative di pace che si conclusero il 5 marzo con la firma del trattato di Cefalù: la Sicilia diveniva repubblica vassalla e alleata dell' Italia mentre il duca di Savoia ottenne una più che onorevole pace bianca per via delle sue vittorie sugli italiani.

    Nonostante la perdita in guerra di quasi 5.000 uomini ( un decimo dell' intero esercito nazionale ), il principe potè tornare a Roma accolto festosamente come vincitore e nel 1572 gli fu persino eretta una statua equestre sul Palatino.
    Ma l' odio che covava nei suoi confronti da parte di fiorentini e pisani ( più da parte del primi comunque ) finì con armare la mano di un sicario, inviato quasi sicuramente dall' ultimo dei Medici ancora in esilio, presso il re di Spagna.
    L' uomo, con la scusa di presentare al principe gli omaggi del suo signore in esilio, riuscì a penetrare nel blindatissimo palazzo del Laterano durante un banchetto e a pugnalare alle spalle il principe prima di suicidarsi.
    Il principe morì la sera stessa, 19 dicembre 1573, all' età di 61 anni. Fu sepolto, primo e unico, nella basilica del Laterano in un fastoso monumento funebre eretto in onore di " colui che fece dell' Italia la signora del Mediterraneo ", come fu scritto in lettere d' oro sulla tomba. Ed era vero. Nei 6 anni di governo il principe aveva fatto si che le navi mercantili italiane fossero le più numerose a solcare la acque del Mediterraneo e le sole a dominare i commerci marittimi tra occidente ( mercati di Modena e Genova ) e oriente ( mercati siriani ).
    Fu comunque compianto assai poco e forse avrebbe meritato di governare almeno fino alla scadenza naturale del mandato per mostrare ai suoi cittadini la parte migliore del suo carattere.

     
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  5. andry2806

    andry2806

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    un grande capo!
    P.S: che significa pederastia?
     
  6. alberto90

    alberto90

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    E' un altro modo per dire omosessualità
     
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  7. Federico 2 di Prussia

    Federico 2 di Prussia

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    Ma stai giocando con in?:eek:
     
  8. alberto90

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    ovviamente
     
  9. alberto90

    alberto90

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    Principe d' Italia
    FRANCESCO MONTEFELTRO, 1573 - 1581

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    L' erede di un' antica famiglia, 1573 - 1576
    Lo shock provocato dalla morte del principe Petrucci fu tale che il Consiglio di Stato, venendo meno ai decreti stabiliti da Petrucci, scelse come suo successore non un candidato al suo interno, ma una personalità esterna, in grado di prendere in mano la guida dello stato in un momento piuttosto burrascoso.
    La scelta cadde su Francesco da Montefeltro, discendente diretto dell' ultimo duca d' Urbino, un uomo di 32 anni, affascinante e sensuale, dai modi garbati, gentili e umili, abile diplomatico ed eccellente soldato, aveva servito nell' esercito pisano fino al giorno in cui la repubblica era tale. Ritiratosi nelle sue proprietà per protestare contro quello che riteneva essere un vero e proprio colpo di mano pochi giorni dopo l' atto di nascita della repubblica italiana, fu chiamato a Roma per prendere il potere nelle sue mani.
    - non ho le capacità e le conoscenze tali da poter guidare uno stato - disse agli inviati del Consiglio di Stato.
    - noi riteniamo invece che le vostre capacità e le vostre conoscenze siano più che sufficienti per portare a termine il compito che intendiamo affidarvi -
    - io non condivido le modalità con cui è nato, questo stato - ribadì deciso.
    - se assumerete il potere nessuno potrà impedirvi di adattare le leggi vigenti ai vostri desideri - gli fecero notare i messi.
    - quelli che la pensano come me mi considererebbero un traditore, se assumessi il potere -
    - se agirete anche nel loro interesse no -
    Alla fine, dopo giorni passati nel dubbio a porsi domande e a valutare il bene e il male dell' offerta ricevuta, decise di accettare ma lo fece a malincuore e controvoglia.
    - governerò - disse - ma lo farò solo se posso fare qualcosa di buono per il mio popolo -
    Fu così che il 30 dicembre 1573 Francesco da Montefeltro, entrato in una Roma cupa e sospettosa, fu eletto principe d' Italia nonchè duca d' Urbino, nomina che l' imperatore convaliderà l' anno successivo.

    Il nuovo principe aveva subito un sacco di lavoro da sbrigare. Intanto doveva fare in modo che il mandante dell' assassino del principe Petrucci, cioè l' ultimo Medici, venisse rimpatriato, condannato e arrestato. L' impresa non era semplice visto che il re di Spagna si opponeva all' idea di rimpatriare colui che serviva a corte come consigliere militare, ma non era nemmeno possibile lasciarlo libero di agire nuovamente indisturbato. Occorreva condannarlo in contumacia e poi fare in modo che non potesse più nuocere alla sicurezza della repubblica. Fu chiesto al principe se autorizzava l' invio a Madrid di un sicario col compito di assassinare il pericoloso Medici e farlo passare per un incidente, ma il principe non voleva cominciare il suo governo con un omicidio, per quanto giustificato potesse essere, e così rifiutò.
    La condanna in contumacia fu comunque emessa e una copia ne fu inviata al re di Spagna con la richiesta, scritta dal principe in persona, di incarcerare il Medici in Spagna, se non era possibile estradarlo.
    Nessuno seppe se l' arresto era avvenuto o no, fattostà che del Medici non se ne seppe più nulla.
    Sistemata con la diplomazia la prima magagna, il principe dovette affrontare una serie di questioni spinose interne causate dalle tasse ritenute troppo elevate, dalle condizioni miserevoli in cui moltissimi contadini erano costretti a vivere proprio per pagarle, la miseria dilagante in vaste aree del paese conseguenza di un inverno freddissimo e dei raccolti distrutti dalle grandinate estive e il dissenso diffuso tra i protestanti residenti nella repubblica che si sentivano emarginati.
    Con grandi difficoltà e dopo aver minacciato più volte di abbandonare la carica per protesta, il principe riuscì a migliorare notevolmente la situazione economica e religiosa, ma potè fare poco o nulla per i raccolti che furono scarsi anche nelle due estati successive.
    Comunque, entro il 1576 la miseria poteva dirsi circoscritta a poche aree in Calabria e Puglia e fu facile inviare in quelle zone rifornimenti per i contadini alla fame.

    Nuove guerre, disordini e pestilenze: lo stato in crisi, 1577 - 1580
    Alla fine della primavera del 1577 la repubblica italiana era nuovamente abbastanza forte e stabile da permettersi il lusso di intervenire a fianco dell' Austria impegnata nell' ennesima guerra contro gli ottomani. Questa volta però il conflitto era molto più esteso ( essendo gli ottomani alleati con Algeri, Kazan e altre potenze musulmane ) e l' Italia poteva tentare di strappare delle terre non solo agli Ottomani ( l' idea di impossessarsi della Serbia era allettante ) ma anche al sultano di Algeri.
    Pur non essendo un guerrafondaio, il principe sapeva che la conqista di nuove terre gli avrebbe assicurato appoggio e sostegno da parte di tutti e quindi, entrato in guerra convinto, diede ordine alle truppe rimaste in Albania e Macedonia di avanzare sul Kosovo prima degli austriaci e fece imbarcare altri 10.000 uomini per invadere il sultanato di Algeri.

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    L' invasione del Kosovo iniziò bene e per un momento sembrò che l' intera Serbia dovesse essere occupata, ma dopo qualche settimana gli ottomani riuscirono a battere gli austriaci vicino ai confini con la Serbia ( che gli austriaci stavano invadendo ), respingerli e puntare poi a sud, contro gli italiani ormai quasi padroni della capitale del Kosovo.
    La battaglia fu terribile, gli italiani erano in inferiorità numerica e anche meno preparati, e dopo 5 ore di massacro dei 10.000 invasori solo 4.000 riuscirono a fuggire verso sud.

    La notizia della disfatta fu accolta con costernazione a Roma e il principe, per evitare la perdita di quei 4.000 uomini, li fece acquartierare al sicuro in territorio montenegrino, ordinando loro di non attaccare più gli ottomani.
    Miglior sorte ebbero i 10.000 inviati in Algeria, dove sbarcarono senza trovare ostacoli riuscendo anche a porre sotto assedio la città di Annaba.
    Gli algerini, troppo impegnati a respingere l' attacco degli spagnoli e bloccare i tentativi polacchi di sbarcare in Marocco, non si accorsero nemmeno del pericolo ad oriente, almeno inizialmente e così gli italiani poterono fare qualche progresso.
    Ma dopo qualche mese fu evidente che gli spagnoli e i polacchi non erano in grado di sfondare le difese avversarie e questo permise agli algerini di inviare truppe contro gli italiani. Per evitare una seconda disfatta il principe, saputi i piani avversari, ordinò alle truppe di rimbarcarsi e di tornare in patria.
    Proprio mentre le azioni di imbarco erano in atto gli algerini fecero sapere che erano disposti a concludere una pace bianca con l' Italia e il principe resosi conto della difficoltà che l' esercito stava incontrando, decise di accettare e alla fine firmò la pace separata in novembre. Oltre 6.000 uomini erano rimasti uccisi in quei mesi di guerra inconcludente ed era un dato piuttosto serio, tenuto conto che in totale la repubblica disponeva di circa 40.000 uomini.
    Comunque furono in pochi ad accusare il principe di qualcosa e nessuno di quei pochi oso farlo ad alta voce. La guerra, come spesso accade, uccide senza portare a nulla, non era il caso di farne un dramma nazionale.
    Comunque, dopo la deludente prestazione della guerra contro gli infedeli ( per altro conclusasi con l' Austria trionfante sugli ottomani e padrona dei Dardanelli ) la repubblica italiana attraversò un triennio molto difficile, che mise a dura prova la resistenza del principe e dei suoi cittadini.
    Nel marzo del 1578 i protestanti diedero inizio a violenti disordini per ottenere maggiori diritti e il principe, magnanimo come sempre, decise di accordarglieli per evitare spargimenti di sangue inutili e dannosi alla sua immagine, ma una parte dei contestatori si rifiutò di accettare le condizioni poste dal principe in cambio dei diritti e 3.000 protestanti diedero inizio alla rivolta armata in Calabria.

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    Il principe allora, in uno dei suoi rari momenti di ira, mandò laggiù 10.000 uomini con l' ordine di sterminare i ribelli, cosa che fu fatta in giugno, con la battaglia di Paola.
    Ma non era finita: la notizia del massacro risalì la penisola come un lampo e molte altre piccole rivolte scoppiarono a Napoli, Roma, Perugia, Bologna e Siena, tutte sedate con il sangue o la mediazione.
    Alla fine
    del 1579, la situazione si stabilizzò ma durante i primi mesi del 1580 avvenne qualcosa di ben peggiore: giunta dal' oriente con i commerci, la peste cominciò a seminare morte e distruzione in Puglia, per poi risalire tutta la penisola e mietere migliaia di vittime.

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    Il principe diede fondo alle casse statali per portare soccorso alla popolazione afflitta dal morbo e dovette anche intaccare i suoi cospicui fondi personali per pagare i medici impegnati nella lotta alla pestilenza. Dopo alcuni mesi di violenta diffusione, alla fine della primavera improvvisamente tutto ebbe fine e chi era stato contagiato, quasi sempre, guarì.
    Molti attribuirono questo miracolo all' intervento divino, invocato incessantemente da tutti con processioni in ogni città e sopratutto a Napoli, dove i fedeli di san Gennaro, per ringraziarlo dell' intercessione, eressero in suo onore una colonna votiva vicino al porto.
    Nei sei mesi in cui la peste aveva afflitto la repubblica si contarono almeno 30.000 morti e altrettanti contagi.

    La testa di ponte in America: la ripresa, 1580-1581
    Alla fine di quel terribile 1580, giunse la prima buona notizia da 3 anni a quella parte: la spedizione di coloni inviata all' inizio dell' anno nella Baia di Mobile ( scoperta da un mercante genovese nel 1578 e ancora libera da interferenze inglesi o spagnole ) sbarcò nei pressi delle foci del Missisipi e i coloni cominciarono a costruire un villaggio nel punto più interno della vasta baia.

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    L' intento dichiarato del principe era ovviamente creare un vasto dominio italiano in quelle regioni ( anche se gli inglesi e gli spagnoli sembravano troppo forti da poter essere scalzati facilmente e i nativi non in grado di resistere ai tentativi di penetrazione anglo-spagnola ).
    Negli anni successivi infatti i territori dei nativi a nord furono occupati dagli inglesi che provvidero anche a colonizzare le regioni di Chotaw e Caddo, isolando praticamente la testa di ponte italiana a Mobile.
    Al momento però i sogni di gloria sembravano portata di mano e nuove spedizioni arrivarono in loco senza problemi costruendo altri villaggi e dando inizio al commercio del cotone con l' isola di Bermuda ( usata come punto d' appoggio nel lungo viaggio verso Mobile ) e di li verso il Mediterraneo.

    Il 19 dicembre 1581 il principe, terminato felicemente il suo mandato, lasciò la carica e si ritirò nuovamente a Urbino, capoluogo delle Marche, governando la città e la regione col titolo di duca in nome del suo successore. Morì il 2 aprile 1590 a soli 49 anni. La sua tomba si trova nel duomo della città.


     
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  10. alberto90

    alberto90

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    Il mondo nel 1575
     
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  11. mattia I visconti

    mattia I visconti

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    Recupera le terre irredente del Nord! E poi mira all'ovest! :approved:
     
  12. alberto90

    alberto90

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    Principe d' Italia
    FILIPPO PALLAVICINI, 1581 - 1587

    upload_2014-8-19_20-39-35.png [​IMG] upload_2014-8-19_20-20-2.png

    upload_2014-8-19_20-21-11.png

    Un genovese al potere, 1581 - 1582
    Il Consiglio di Stato aveva un problema. Ed era piuttosto serio.
    Lasciando la carica, il principe Montefeltro non aveva lasciato detti i nomi dei possibili successori, scaricando la responsabilità della scelta sugli uomini del Consiglio, i quali non avevano la più pallida idea di chi candidare.
    In loro soccorso intervenne l' arcivescovo di Pisa che propose la candidatura di tre uomini validi, dai natali nobilissimi e dalle spiccate qualità. I primi due, Giovanni Cybo e Giovanni Sforza, vantavano sicuramente le origini più nobili e titolo più celebre, ma erano entrambi troppo giovani e inesperti per essere guide valide. Il terzo, il genovese Filippo Pallavicini, era meno nobile e sicuramente anche meno famoso oltre ad essere malato, ma le sue capacità amministrative e diplomatiche garantivano una guida stabile, anche se forse non troppo lunga.
    Fu così che il 28 dicembre 1581 Filippo Pallavicini fu eletto principe e invitato a Roma quanto prima per insediarsi.

    Nato a Genova nel 1545 dal conte Lorenzo Pallavicini e da sua moglie, Elisabetta Adorno-Botta, il nuovo principe era stato cresciuto dai gesuiti e tra il 1570 e il 1574 era stato governatore di Savona. Malato sin dall' infanzia di gotta, Pallavicini era sempre riuscito a portare a compimento tutto ciò che gli era stato affidato, e sempre con ottimi risultati.
    Giunto a Roma il 1 febbraio 1582 egli si insediò il giorno stesso, riconfermò i consiglieri nominati dal predecessore e prese subito in mano i progetti lasciati in sospeso da lui.

    L' incorporazione della Sicilia, 19 marzo 1582
    La questione più spinosa rimasta insoluta al termine del mandato di Montefeltro era senz'altro lo status della Sicilia, vassalla da 11 anni e decisamente restia a rinunciare alla poca autonomia rimasta nelle mani del suo statolder.
    Eppure Pallavicini, insediatosi da poco più di un mese, riuscì a far venire lo statolder a Roma e discutere faccia a faccia le condizioni di resa. Dopo una settimana di incontri alla fine l' accordo fu trovato: la Sicilia rinunciava alla residua autonomia di cui aveva goduto per tutto il periodo del vassallaggio, lo statolder lasciava la sua carica nelle mani del principe che, in cambio, lo nominava governatore di Palermo. Inoltre entrava a far parte del Consiglio di Stato con conseguente possibilità di proporre i candidati alla successione e anche di essere eletto alla massima carica della repubblica.
    Il 19 marzo 1582 la Sicilia entrava a far parte dei domini repubblicani senza colpo ferire.

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    La prima guerra di Sardegna, novembre - dicembre 1583
    Nell' anno e mezzo trascorso dopo l' incorporazione, la Sicilia era già avviata a diventare una delle regioni più ricche e popolose dello stato grazie alla politica di sviluppo portata avanti dal principe.
    Mentre la repubblica tornava piano piano all' antico splendore, i nazionalisti sardi che da molti anni avevano intrapreso un' aspra lotta contro i dominatori spagnoli, erano riusciti a liberare l' isola battendo presso Arbatax gli spagnoli e firmando la pace con il re. La Sardegna era nel mirino della repubblica senese prima e di quella italiana poi perchè ritenuta, a ragione, fondamentale avamposto nel mediterraneo centro-occidentale e nodo di vitale importanza strategica in funzione antispagnola e francese. Fino a che i sardi erano sottomessi al dominio iberico l' isola era imprendibile e inespugnabile, a meno di dichiarare guerra alla Spagna e rischiare di perdere.
    Ma ora, liberi i sardi di governarsi da soli e sopratutto privi di un appoggio esterno, l' isola tanto agognata era molto più facile da conquistare con perdite minime. Ma mentre gli italiani perdevano tempo a discutere sul modo più rapido per impossessarsi dell' isola, i sardi riuscirono a fomentare violente proteste antifrancesi a Parma e nella regione limitrofa, giunsero persino ad assediare Milano costringendo il re di Francia a inviare in Italia un forte contingente militare per domare la ribellione.
    Il principe Pallavicini, che da genovese era molto interessato a contenere la rivolta prima che questa si diffondesse anche nella sua regione, intuì che lasciare che i ribelli cacciassero i francesi da Parma e poi conquistarla per la repubblica dichiarando guerra alla Sardegna, avrebbe privato la Francia di una provincia molto importante ai confini della repubblica e contemporaneamente rafforzato l' Italia in funzione antifrancese.
    E così, quando Parma e la sua provincia dichiararono l' indipendenza dalla Francia legandosi alla Sardegna, il principe Pallavicini si accordò con il re di Francia per sgominare i ribelli e restaurare la pace nella pianura padana.
    In cambio dell' aiuto, l' Italia avrebbe avuto il diritto di prendere Parma alla Sardegna mentre la Francia avrebbe conservato Milano e la Lombardia.
    La guerra tra la repubblica e l' isola fu quindi dichiarata il 12 novembre 1583 e fu subito ed evidentemente in favore dell' Italia. Le truppe di stanza in Liguria furono leste nell' invadere il parmense, sconfiggere i sardi nella battaglia di Fornovo e assediare Parma già il 30 novembre, mentre i francesi, liberata Milano dall' assedio, scendevano verso sud, varcavano il Po e si univano agli italiani a Parma il 5 dicembre.
    Il destino della città, già segnato, era ormai inevitabile e gli abitanti non avevano troppo voglia di patire fame e sete per il vantaggio di altri dominatori, venuti da un' isola selvaggia e praticamente senza appoggi. Non avevano intenzione di vedere la loro città devastata per colpa di un branco di parvenu col mestruo rivoluzionario e furono assai veloci nell' iniziare le trattative per la resa della città.
    Il 31 dicembre, dopo due settimane di trattative, Parma e provincia furono cedute dai sardi all' Italia e una settimana dopo anche la Francia firmava la pace con i cocciuti e sfortunati isolani, che avevano sognato di costruire un loro dominio sulla penisola.

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    La fine del principe: gli ultimi anni, 1584 - 1587
    Nella primavera del 1584 la salute precaria del principe peggiorò rapidamente e l' uomo, sicuro di non arrivare alla fine naturale del mandato, nominò come possibili successori lo Sforza, il Cybo e il suo conterraneo Vittorio Adorno, suo cugino di parte materna.
    Pochi mesi dopo scrisse e sigillò il proprio testamento e nell' estate del 1585 pensò seriamente di essere in punto di morte, tanto che gli fu somministrato l' estrema unzione.
    Ripresosi momentaneamente in forze il principe lasciò Roma all' inizio dell' anno successivo, deciso di concludere la sua vita nella città natale, dove giunse nuovamente stremato per Pasqua. Da quel momento in poi la sua salute declinò inesorabilmente e il governo fu affidato al Consiglio di Stato, che si prese il compito di mantenere unito lo stato in un momento particolarmente teso tra le varie confessioni religiose presenti, sul punto di esplodere in una guerra di religione molto pericolosa.
    L' ultima " impresa " portata a termine felicemente dal principe fu l' arrivo di coloni nella lontana terra di Mosquito, nella regione che, attualmente, appartiene al Messico centrale.
    I coloni, sbarcati felicemente il 12 settembre 1587, fondarono subito un villaggio e inviarono un gruppo di loro in patria per annunciare la notizia e chiedere l' invio di altre missioni. Purtroppo il messaggero arrivò solo sei mesi dopo la morte del principe Pallavicini, avvenuta il 2 settembre 1587. Aveva 42 anni ed era stato signore dell' Italia per meno di 6 anni.
    Il suo corpo fu sepolto nella cattedrale genovese di San Lorenzo, accanto a quelli dei gloriosi dogi della repubblica marinara ormai estinta.
     
  13. alberto90

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    Principe d' Italia
    GIOVANNI SFORZA, 1587 - 1595

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    Un milanese a Roma, 1587 - 1590
    Giovanni Sforza, ultimo discendente dei duchi di Milano, fu eletto dietro suggerimento dell' arcivescovo di Pisa ( e con l' aiuto di una bella somma sborsata a chi di dovere ) il 5 settembre 1587.
    Aveva solo 31 anni ma si era già fatto un buon nome nell' esercito combattendo al servizio della repubblica al tempo della guerra contro la Sicilia ed era famoso per le sue straordinarie capacità di amministratore.
    Nato a Milano nel 1556 dal pretendente al trono ducale Filippo Maria Sforza e dalla moglie, Bianca di Savoia, Giovanni era stato cresciuto dal padre in un ambiente ostile ad austriaci e francesi, rigorosamente cattolico e decisamente nazionalista. All' età di sedici anni, emigrato con la famiglia a Roma per sfuggire agli uomini del re di Francia venuti per arrestare lui e il padre, era entrato al servizio della repubblica arruolandosi nell' esercito e mostrando subito discrete qualità, tanto da diventare caporale a 20 anni e tenente a 24.
    Assunta la guida della cavalleria repubblicana e divenuto quindi generale in seconda a soli 26 anni, Giovanni guidò la carica che permise agli italiani di prendere Parma al tempo della guerra contro i sardi ( 1583 ).

    Entrato nel Consiglio di Stato nel 1580, era stato proposto come successore del principe Montefeltro ma, sconfitto dal genovese Pallavicini, aveva continuato a servire nell' esercito.
    Ora, divenuto generale della prima armata, era riuscito a farsi eleggere e nel discorso che fece al termine della cerimonia di insediamento non si preoccupò di nascondere i suoi ambiziosi piani di espansione.
    Al momento però l' idea di un vasto impero coloniale sognata dal nuovo principe era ben lungi dal potersi realizzare: la repubblica aveva solo tre piccole colonie, di cui una ancora in fase embrionale, e tutte e tre erano circondate dall' oceano o dai territori coloniali delle grandi potenze europee ( Francia, Spagna e Inghilterra ).
    Tuttavia, la crescita rapida della nuova colonia di Mosquito e lo sviluppo economico di quella di Mobile erano un promettente inizio e forse, col tempo, la situazione sarebbe mutata in favore della repubblica.


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    La colonia di Mosquitos, 1588
    L' afflusso costante di bianchi nelle regioni popolate prevalentemente da pacifici nativi e il conseguente arrivo di malattie sconosciute a questi ultimi, causò in breve una vasta moria tra gli indifesi indigeni, colpiti da febbri violente e diarree spossanti che seminavano morte anche tra i bianchi. Nel giro di un' anno metà della popolazione locale della baia di Mobile e di Mosquito era morta e le vittime tra i bianchi non erano meno numerose. Il principe cercò di migliorare la situazione ordinando ai coloni di mettersi in quarantena al fine di salvare per quanto possibile sia loro che i nativi. Servì a poco, ma piano piano la pestilenza si placò e la situazione si stabilizzò.

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    Superato a fatica il problema igienico delle colonie, il principe si trovò tra le mani una delicata e spinosa faccenda di politica interna.
    Una parte del Consiglio dei Nobili ( creato nel 1581 riunendo tutti gli esponenti delle famiglie nobili presenti nella repubblica e usato come bacino di pesca per i candidati al Consiglio di Stato ), in netta opposizione con la politica del principe, presero accordi con potenze straniere al fine di trovare appoggi esteri e tentare di scalzare dal suo posto il governate eletto. Gli unici stranieri che si mostrarono d' accordo con i nobili ribelli furono gli inglesi, già da tempo preoccupati per la potenza raggiunta dagli italiani e dalla minaccia che potevano portare alle colonie britanniche partendo dalla loro base di Mobile.

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    Il principe scoprì il " complotto " che si stava formando alle sue spalle e si vendicò. Fece arrestare i nobili coinvolti ( due napoletani, uno siciliano, due corsi e tre fiorentini ) e per costringerli a confessare non risparmiò loro torture e violenze. Poi, venuto a conoscenza dei piani inglesi, mandò a Londra il suo segretario personale con una lettera di fiera protesta in cui si accusavano gli inglesi di ingerenze indebite nella politica interna italiana. La tensione si fece altissima, ma la guerra fu evitata sopratutto perchè lo statolder inglese ( ignaro dei contatti tra i suoi uomini e i ribelli nobili italiani ) fece imprigionare i responsabili e si scusò con il principe.
    Ma da quel momento, tra le due nazioni, vi fu un perenne stato di allerta.
    Motivi di tensione nacquero anche con il ducato di Modena, vassallo della Francia, dove i mercanti italiani godevano del primato sui commerci dei prodotti locali. Una fazione di mercanti locali però, sostenuta dalla Francia, riuscì a cacciare i mercanti italiani dal centro di commercio locale prendendo il loro posto nell' estate del 1590. Era un colpo piuttosto serio per le entrate statali e il principe, che già detestava i francesi per i motivi citati sopra, non si fece scrupolo inviando a Parigi una nota di fiera indignazione e protesta, pretendendo l' immediata restituzione del centro di commercio di Modena e l' arresto dei marcanti responsabili del fattaccio. Il re di Francia non si prese nemmeno la briga di agire e così il principe subì il primo vero smacco politico del suo governo.

    La seconda guerra di Sardegna e l' umiliazione di Venezia, marzo 1592 - settembre 1593
    Nel biennio successivo alla perdita del centro di commercio di Modena, l' economia italiana subì una leggera fase calante e ilprincipe fu costretto a tagliare parecchie delle spese " secondarie ". Fece ridurre i finanziamenti per la flotta, bloccò ogni forma di sostentamento economico ai conventi e chiese, fermò il cantiere della basilica per un anno e per rimpinguare un pò le casse dello stato vendette parecchi dei suoi tesori personali.
    Entro il 1591 comunque la situazione era nuovamente sotto controllo e favorevole e il principe cominciò a preparare i piani per la conquista della Sardegna.
    L' isola, avvertendo su di se la minaccia crescente del potente vicino peninsulare, si alleò con l' unica repubblica ancora in grado di rivaleggiare con l' Italia, Venezia.
    Il principe, ricevuta la notizia dell' alleanza, modificò i suoi piani in modo da poter combattere contro entrambi i nemici contemporaneamente ed evitare che uno inviasse soccorsi all' altro.
    Nel marzo del 1592 tutto era pronto e il principe, dando ordine di espatrio agli ambasciatori veneziano e sardo presso la sua corte, dichiarò la guerra.

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    La Sardegna fu attaccata praticamente subito, Cagliari assediata già il 5 aprile e Sassari conquistata il 12. Mentre sull' isola le cose si mettevano bene per gli italiani, due armate repubblicane attraversarono i territori neutrali di Milano e Mantova e invasero gli stati veneziani ponendo sotto assedio Brescia e Treviso. Gli austriaci invasero il Friuli e la Carnia mentre i ragusani attaccarono la Dalmazia.
    I veneziani, storditi dall' impeto degli attaccanti, tentarono un colpo di mano nei Balcani invadendo la Macedonia, ma furono pesantemente sconfitti dalle truppe austro-italiane e ricacciati verso Atene, posta sotto assedio austriaco. Gli italiani invece puntarono su Giannina e la circondarono a fine maggio.
    Ormai la situazione per Venezia era poco meno che disperata, con tutti i suoi domini orientali in mano agli imperiali e quelli occidentali minacciati dagli italiani, la sua flotta bloccata nei porti greci e le sue truppe demoralizzate e quasi ovunque semidistrutte.
    Tuttavia, per tutto il resto dell' anno, non vi furono nuove conquiste e le città assediate stavano resistendo tenacemente ad ogni assalto nemico. La speranza era quella di lasciare che gli italiani annettessero la Sardegna per poi chiedere la pace bianca o offrire un pagamento in oro.
    Il 19 marzo 1593 Cagliari apriva le porte agli assedianti e il giorno dopo l' isola diventava possesso italiano, mentre il 23 aprile Brescia veniva conquistata dal principe in persona, alla testa della cavalleria. Treviso e Verona si arresero in maggio e la Dalmazia fu conquistata dai ragusani in giugno. Il 3 luglio Venezia e Impero firmavano la pace separata che privava la repubblica di tutti i domini balcanici che andavano a formare la nuova repubblica bizantina.
    Il 4 settembre la pace veniva firmata anche tra Italia e Venezia, che fu costretta a cedere ai vincitori Brescia e Verona e Dalmazia, consegnata ai ragusani per ricompensa dell' aiuto portato.
    La repubblica marinara usciva dal conflitto umiliata, distrutta e fortemente indebolita, mentre l' Italia continuava a rafforzarsi e ad estendere i suoi domini a nord del Po. L' unione dell' intera penisola sotto una sola bandiera era sempre più vicina.

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    Gli ultimi anni, 1594 - 1595
    Ottenuto il più grande trionfo sulle repubbliche rivali da un secolo a quella parte, il principe si dedicò con slancio all' accrescimento della potenza economica dello stato, vendendo in tutta Europa il cotone a prezzi vantaggiosi e aggiudicandosi quindi il monopolio dei mercati del continente e incassando un vero fiume d' oro tra tasse, dazi doganali e ricavi commerciali. Molto di quell' oro fu usato per migliorare la situazione dei contadini e l' agricoltura fu fortemente sostenuta al fine di diventare il traino dell' economia statale assieme al commercio e all' industria navale ( in fase di espansione ).
    Giunto alla fine del suo mandato il principe decise di ricandidarsi, ma molti dei nobili del Maggior Consiglio, per quanto rispettosi della sua dignità e anche grati per il benessere che la sua politica aveva portato, non erano intenzionati a riconfermargli la loro fiducia e brigarono affinchè alle elezioni di quel 1595 il principe fosse sconfitto.




     
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  14. andry2806

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    punta anche all'Africa! Sempre un bellissimo aar!
     
  15. alberto90

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    L' Africa del nord è povera e desertica. Non ho interesse nell' infilarmi in quel deserto di sabbia bollente. E nemmeno mi servono quelle terre.
     
  16. andry2806

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    l'Africa occidentale? Il corno d'Africa? Come sono messi?
     
  17. Carlos V

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    @alberto90
    Invece sarà proprio l'Africa la tua fonte di ricchezza :pompous:, dal momento che, per quello che ho capito dal tuo AAR, le Americhe sono state già occupate dalle grandi potenze.
    Per cui, resta pure con quelle piccole enclavi in territorio americano, ma dirigi i tuoi sforzi in Africa, in particolare nella zona del fiume Niger (un'area abbastanza grande compresa tra il Senegal e la Nigeria e segnata appunto dal corso del grande fiume). Quelle non sono terre povere, anzi, lì potrai estrarre oro dalle miniere e potrai commerciare schiavi, avorio e grano. Avorio e schiavi valgono parecchio sul mercato: il primo perché è un bene di lusso, il secondo perché la colonizzazone ha creato un forte bisogno di manodopera a basso costo (le piantagioni americane). Il grano serve all'Italia perché ne produce poco (o non ne produce affatto, perciò sei dipendente dalle importazioni russe e polacche :)). L'oro aumenterà i tuoi introiti, ma prestando un occhio all'inflazione.
    Se riesci a prendere anche lo snodo commerciale di Timbuctu, a nord oltre il fiume Niger e al limite del deserto del Sahara, puoi completare l'opera ed impadronirti del commercio nella regione, impedendo al contempo agli Arabi di espandersi in quella zona (se non l'hanno già fatto).
     
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  18. alberto90

    alberto90

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    Lo hanno già fatto i francesi ..... purtroppo. XDDDDD
     
  19. mattia I visconti

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    L'altra alternativa è diventare SRI e con i suoi bonus conquistare le province altrui in America e Africa.
    Cerca una provincia inutile in nord africa, e usala come base per il capo di Buona Speranza. Sempre che non sia di un altro. Poi espanditi in Madagascar e Maldive!
     
  20. alberto90

    alberto90

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    L' idea di diventare SRI mi stimola molto di più ..... in fondo faccio parte dell' impero anche se non sono elettore. Non si dovrebbe fare ma .... sto pensando di usare il trucco per diventarlo. Così posso provare a farmi eleggere. Una volta diventato SRI ( ma devo diventare monarchia prima ) avrò in mano tutto per spazzare via inglesi e francesi dalle colonie.
     

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