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EU III COMPLETE AAR PISA

Discussione in 'Le vostre esperienze' iniziata da alberto90, 20 Giugno 2014.

  1. alberto90

    alberto90

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    UGO GUIDI
    Colui che viaggiò fino a Vienna e Parigi, 1544 - 1548

    upload_2014-7-10_11-18-56.png
    Poco prima di ritirarsi dalla carica, Mauro Tabucchi candidò come suo successore Ugo Guidi, che durante il suo mandato era stato gonfaloniere della repubblica e governatore della Corsica. Il partito corso si dichiarò subito d' accordo seguito ben presto dai pisani, dai fiorentini e dai romani. Senesi, bolognesi, montefeltrini, abruzzesi e napoletani ( i rappresentati di Napoli e Abruzzo erano 10 ) si opposero accanitamente, dichiarando che uno statolder non aveva il diritto di nominare un successore e nemmeno di candidarne uno.
    La tensione era palpabile e presto divenne insostenibile, si rischiava un conflitto interno al consiglio e probabilmente anche una guerra civile all' interno della repubblica.
    Il 5 febbraio le votazioni iniziarono comunque e, come era prevedibile, gli oppositori fecero il diavolo a quattro per impedire l' elezione del candidato proposto dai corsi e riuscirono a tenere in scacco l' intero consiglio per tre giorni prima che intervenisse l' arcivescovo di Firenze ( nominato l' anno prima Primate d' Italia dal Pontefice ) imponendo l' elezione di Guidi, dietro la minaccia di una scomunica a coloro che si fossero opposti.
    Eletto quindi l' 8 febbraio 1544, Ugo Guidi, 42enne di nobili origini e dal carattere deciso, fece sapere ai suoi elettori che voleva sapere cosa pensasse il popolo di lui e indisse una sorta di elezione aperta a tutto il popolo per confermare o no l' esito della votazione del gran consiglio.
    Era la prima volta nella storia della repubblica ( anche quella marinara esistita all' epoca di Dante ) che il popolo poteva esprimere il proprio parere in merito all' elezione del proprio " sovrano ".
    Ci vollero 5 mesi per ottenere i risultati e, come era prevedibile, il popolo confermò l' elezione di Guidi. Il quale prese ufficialmente possesso della repubblica il 10 luglio.
    Il suo mandato sarebbe passato alla storia come il più monotono da mezzo secolo a quella parte, oppure il più pacifico, dipende dai punti di vista.
    Comunque, trovandosi a Taranto al momento della presa di potere, Guidi doveva tornare a Pisa prima di poter cominciare ufficialmente il suo mandato e pertanto decise di visitare tutte le provincie della repubblica per ringraziare il popolo che aveva confermato la sua elezione.
    Partì con un seguito di un migliaio di uomini il 18 settembre diretto a Reggio Calabria dove arrivò il 24. Si fermò nella città per una settimana, visitando campagne, castelli, villaggi e monasteri della provincia. Ripartì il 30 settembre e il 15 ottobre, dopo aver risalito la costa tirrenica, fece il suo ingresso solenne in Napoli accolto dall' arcivescovo e dai grandi dignitari della città. Si fermò nella regione per 5 giorni.
    La risalita della penisola proseguì tra due ali quasi ininterrotte di folla festante: dal 30 al 31 ottobre fece tappa all' Aquila in Abruzzo,
    dal 12 novembre al 10 dicembre si fermò a Roma dove ispezionò il cantiere della grande basilica che era appena avviato sostando nel palazzo del Laterano, giunto ad Urbino il 20 dicembre vi trascorse il Natale ripartendo per Bologna il 27 dicembre e giungendovi il primo gennaio 1445.
    Sostò ospite dell' arcivescovo della città fino al 5 gennaio. Attraversò i bassi valichi innevati e arrivò a Firenze il 13 sostandovi fino al 15.
    Dal 23 al 25 gennaio sostò a Siena e di li mosse per Pisa dove arrivò infine il 1 febbraio, ricongiungendo la sua scorta di mille uomini con il resto della milizia fiorentina giunta da Taranto appositamente. Il suo viaggio era durato tre mesi e mezzo.

    Giunto a Pisa lo statolder ricevette una bella sorpresa: era atteso con urgenza dall' imperatore a Vienna per rinnovare l' alleanza tra l' Austria e la repubblica.
    Guidi fece sapere che sarebbe partito subito dopo la Pasqua e che sarebbe stato accompagnato da 10.000 uomini della milizia fiorentina, che dovevano mostrare la forza della repubblica in giro per l' Europa.
    Il 17 aprile, mercoledì dopo Pasqua, lo statolder e il contingente armato si misero in marcia. Era stato concordato in precedenza che, per evitare l' attraversamento dell' ostile territorio della repubblica veneziana, Guidi e il suo esercito si sarebbero imbarcati nel porto di Ravenna ( nelle mani austriache ) dopo essere passati per Modena e Ferrara. La flotta sarebbe stata scortata da navi imperiali fino al porto di Trieste e di li l' esercito pisano avrebbe raggiunto Vienna.
    Dopo una sosta di due giorni a Modena il 2-3 maggio, lo statolder e la sua numerosa guardia giunsero a Ravenna il 18 maggio e sostarono nella città fino al 29. Ci vollero due giorni per imbarcare tutti e 10.000 gli uomini e il 30 maggio la flotta prese il largo.
    Il giorno dopo, 31 maggio, le navi gettarono l' ancora nel porto di Trieste e il primo giugno l' esercito si mise in marcia verso nord.
    Il 10 era a Klangefurt, il 25 sostava a Graz e il 3 luglio veniva accolto dall' imperatore in persona subito fuori dalle mura di Vienna.

    [​IMG]
    " L' imperatore accoglie lo statolder alle porte di Vienna ", opera di sconosciuto pittore del XVII secolo.
    Nella settimana trascorsa nella capitale imperiale tra feste, ricevimenti, esercitazioni militari congiunte, Guidi e l' imperatore trovarono anche il tempo di rinnovare il patto di mutuo soccorso firmato due decenni prima.
    Approfittando della sua presenza a Vienna, l' ambasciatore del re di Francia invitò lo statolder a recarsi a Parigi alla corte del suo sovrano per una visita di cortesia.
    Lo statolder accettò volentieri l' invito, sperando in cuor suo di poter strappare al re di Francia qualche cessione territoriale nelle colonie.
    Ripartito da Vienna l' 11 luglio, Guidi, attraversò l' arcivescovado di Salisburgo, il Tirolo, i cantoni orientali della Svizzera, la Brisgovia per poi entrare in territorio francese varcando il Reno. Infine, il 20 gennaio 1546 il corteo fece il suo ingresso solenne in Parigi.
    Il patto di alleanza fu rinnovato al termine di una solenne cerimonia in Notre Dame il 10 febbraio, ma lo statolder rimase in città per un altro mese, approfittandone per visitare palazzi, chiese, monasteri. Partecipò a diverse cacce assieme alla corte reale e ad un torneo, durante il quale si coprì di gloria battendo il re in persona.
    Il 10 marzo infine ripartì per tornare in patria e, per evitare il passaggio delle Alpi, il re gli concesse di imbarcarsi sulla flotta nel porto di Marsiglia, dove giunse solo il 9 giugno dopo una lenta e pericolosa marcia attraverso le regioni centrali del regno popolate da aggressivi riformati e protestanti.
    Tuttavia l' imbarco iniziò solo il 19 giugno, perchè la lotta pisana era stata bloccata nel porto corso di Ajaccio da una violenta tempesta durata 3 giorni.
    Una settimana dopo comunque Guidi e l' esercito tornarono stabilmente a Pisa, dopo una viaggio durato 14 mesi.

    I due anni successivi non videro altri viaggi, ne guerre e nemmeno grandi editti. Guidi, che pure non era uno sprovveduto ( non era un genio ne in amministrazione, ne in diplomazia e nemmeno come stratega militare ma era in grado di cavarsela discretamente in tutte e tre le scienze ), non era abituato alla vita politica e lasciò sbrigare tutte le questioni riguardanti lo stato ai suoi consiglieri.
    Il 3 febbraio 1548 lo statolder lasciò la carica, si ritirò a vita privata e sparì dalla storia. Non si conosce ne la data di morte e nemmeno il luogo della sepoltura.
     
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  2. SkySpace

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    Bell'AAR! :)
    però qualcosa non mi piace: non c'è una parola più italiana di statolder? Suona ben male :(
     
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    Doge ma non è opportuna
     
  4. ivaldi79

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    diventa un regno
     
  5. andry2806

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    macché...viva la Repubblica!
     
  6. alberto90

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    Doge va bene per repubblica mercantile. La repubblica amministrativa ( come quella olandese del 700 ) è guidata dallo statolder. Si potrebbe chiamarlo capo dello stato .... ma è una cosa troppo moderna.
     
  7. SkySpace

    SkySpace

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    non si hanno altri esempi di repubblica amministrativa?
     
  8. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Sì però non penso che in Italia un cambio di regime avrebbe riguardato anche un cambio di nomi, per cui penso che Doge possa ancora andare bene.
     
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  9. alberto90

    alberto90

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    Si ma doge non piace a me .... è troppo medievale. Statolder è più solenne. E comunque presto ci saranno altre sorprese.
     
  10. alberto90

    alberto90

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    LEONE LOMBARDI
    La conquista dell' Albania, 1548 - 1551

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    Eletto senza gravi problemi il 5 febbraio 1548, Leone Lombardi era un nobile di seconda fascia proveniente da Napoli, dove era nato nel 1495.
    La sua famiglia si era arricchita alla corte dei re di Napoli e Leone si era guadagnato il titolo di " marchese di Amalfi " dopo l' aiuto prestato al sovrano proprio durante la guerra contro Pisa. Il titolo gli era rimasto anche dopo la sconfitta del suo re e l' annessione di Napoli alla repubblica pisana.
    Ed ora era lui a governare lo stato che aveva sconfitto il suo re.
    Naturalmente era stato votato ed eletto sopratutto grazie ai voti provenienti dai membri napoletani del " Maggior Consiglio ", uniti a quelli dei romani, dei senesi e dei fiorentini.
    Che fosse un abilissimo diplomatico era cosa nota a tutti ( sopratutto a quelli che avevano partecipato alle trattative di pace con Napoli, portate avanti proprio da Lombardi ) e con la sua elezione si contava di ampliare la rete di alleanze con potenze straniere.
    Eppure per oltre due anni non accadde nulla tranne il passaggio in toto della provincia fiorentina alla religione riformata. Lombardi, che pure era un cattolico fervente non prese alcuna decisione per arrestare il dilagante aumento di protestanti e riformati, perchè capiva che agendo contro di loro avrebbe indebolito la struttura dello stato. Guardava con nostalgia e angoscia l' aumento delle conversioni, ma non agì e anzi, si prodigò affinchè i protestanti non subissero persecuzioni. E questo gli fu senz' altro riconosciuto.

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    All' inizio dell' estate del 1550, Lombardi ritenne fosse giunta l' ora di fare qualcosa per tentare di arginare la strapotenza di Venezia, che aveva preso possesso di quasi tutta la penisola greca ( compresa Atene ) e incorporato l' intero regno di Croazia. Era un pericolo troppo grande lasciare alla rivale repubblica l' intera costa orientale dell' Adriatico ( perchè tutti sapevano che l' obbiettivo del doge era esattamente quello ) e ormai non restavano che poche piccole nazioni libere dal dominio del Leone marciano.
    Tra queste, a parte la repubblica alleata di Ragusa, l' unico stato privo di protezioni estere era il regno d' Albania, libero solo da pochissimi anni dal giogo ottomano.
    Oltre al resto si trovava in un' ottima posizione per controllare i traffici pisani nell' Adriatico ( ed eventualmente sabotare quelli veneziani ) e sopratutto poteva essere usato come trampolino di lancio per nuove acquisizioni a spese degli ottomani in grave decadenza.
    Il 7 giugno fu dichiarata la guerra contro il piccolo sultano albanese e accanto a Pisa si schierarono tutti i suoi alleati, Francia compresa.
    Le truppe repubblicane sbarcarono senza trovare ostacoli, sconfissero il minuscolo esercito albanese e cominciarono l' assedio della capitale, Durazzo.
    A metà luglio giunse un forte contingente francese ( 10.000 uomini ) e persino i ragusani inviarono 1.000 uomini. Se l' esercito era piccolo la capitale era invece assai ben difesa e le mura ( potenziate dai turchi ) sembravano tremendamente solide.
    Furono tre i tentativi vani di assalto scatenati tra agosto e ottobre, tutti e tre costarono parecchie centinaia di morti nelle file degli attaccanti ma alla lunga servirono per logorare le difese.
    Poco dopo la metà di novembre, con l' inverno alle porte e le riserve di cibo ormai quasi esaurite sia per i difensori sia per gli aggressori, l' assedio sembrava ad un punto morto.
    Il 17 novembre però, un tratto delle mura cedette e crollò, i pisani ne approfittarono caricando la breccia e penetrando all' interno della munitissima cinta, facendo strage dei pochi difensori ancora in forze.
    Il 21 novembre, verso mezzogiorno, Lombardi e il sultano d' Albania si incontrarono, discussero animatamente e alla fine il primo ottenne dal secondo la resa completa. L' Albania perdeva nuovamente la sua indipendenza in favore di Pisa.

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    Poco più di un mese dopo, la notte di natale del 1550, accadde un avvenimento prodigioso che moltissimi interpretarono come un bruttissimo segno.
    Una cometa attraversò il cielo suscitando terrore nella maggior parte di coloro che la videro e qualcuno pensò che annunciasse tempi foschi, altri dissero che era una punizione per il trattamento riservato ai civili durazzesi durante l' assalto alla città.
    Lombardi, forse l' unico napoletano non scaramantico, fece finta di nulla e proseguì con il banchetto organizzato per il Natale nel suo palazzo.
    Il vescovo di Pisa e cappellano personale dello statolder fu drastico.
    - signore - disse qualche giorno dopo - la cometa è un cattivo presagio per voi e forse anche per la repubblica. Dovete fare penitenza e chiedere perdono a Dio per ciò che avete fatto a Durazzo -
    - monsignore - rispose Lombardi con durezza - io non ho fatto nulla a Durazzo. Sono stati i soldati ad attaccare la breccia -
    - si, ma voi avete autorizzato il massacro che ne è seguito. I morti di Durazzo ricadranno su di voi, se non implorerete perdono e pietà -
    - non ho nulla di cui pentirmi - esclamò Lombardi voltandogli le spalle ed andandosene.

    Un mese e mezzo più tardi, verso la metà di febbraio, lo statolder si ammalò e anche se all' inizio continuò a lavorare per ore e ore per la repubblica, in breve tempo le sue condizioni divennero molto serie. A metà aprile erano ormai disperate e Lombardi stesso si rese conto di avere i giorni contati. Convocò presso il suo letto di morte i membri più autorevoli del " Maggior Consiglio " e i suoi ministri e disse loro di eleggere come suo successore Alessio Gori, che pur essendo giovane aveva mostrato grandi capacità e sembrava assolutamente in grado di guidare la repubblica per molto tempo.
    La sua richiesta fu accolta con malcelata contrarietà da quegli uomini che si sentivano privati del loro potere elettivo. Tuttavia acconsentirono perchè non volevano creare problemi ad un' uomo morente.
    Il 20 aprile, dopo tre giorni di atroce agonia, Leone Lombardi spirò a soli 55 anni, senza aver potuto ricevere i sacramenti dalle mani del vescovo di Pisa, ancora contrariato per il comportamento arrogante mantenuto dallo statolder durante la loro ultima discussione.
    Il popolo pisano, ricevuta la notizia della sua morte non ne fu affatto stupito: la cometa aveva parlato chiaro, lo statolder non ci aveva creduto, ed ora era morto.
    Fu sepolto comunque in terra benedetta, grazie all' intervento del Pontefice, vicino al mare di Amalfi che aveva tanto amato da ragazzo.



     
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  11. alberto90

    alberto90

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    ALESSIO GORI
    Il soldato che detestò la guerra, 1551-1555

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    Nonostante la raccomandazione in suo favore espressa dal morente Leone Lombardi non fosse particolarmente gradita, Alessio Gori sapeva di avere degli amici all' interno del " Maggior Consiglio ", e tramite questi brigò per ottenere altri appoggi ed essere eletto.
    Valendosi della sua fama di soldato coraggioso e generale esperto ( senza contare il fatto di essere nipote di Pietro Gori ), Alessio Gori riuscì a trovare sostegno anche nei consiglieri fiorentini, romani e pisani ottenendo quindi la maggioranza assoluta e la conseguente elezione, avvenuta il 28 aprile 1551.
    Era un militare esperto e dalle grandi qualità belliche, eppure non nascondeva il suo odio per la guerra e chiarì subito che non avrebbe attaccato nessuno, ma che sarebbe intervenuto a fianco degli alleati se questi fossero entrati in guerra. La fedeltà era la cosa più importante, soprattutto nel caso dell' imperatore.
    Il primo anno di governo fu tranquillo e Gori potè dedicarsi al commercio estero e ai lavori per la chiesa in costruzione a Roma in onore della potenza della repubblica ( i lavori erano iniziati nel 1548 ma procedevano molto a rilento ). I guadagni enormi ricavati dal monopolio pisano a Modena, a Parigi, a Genova e a Gorizia furono investiti in opere pubbliche e sopratutto nella creazione di una rete fognaria efficiente a Pisa, Firenze e Roma, mentre la flotta mercantile era ormai una delle più grandi dell' intero bacino mediterraneo.
    La concorrenza con Venezia era sempre feroce, Genova era ormai avviata ad un rapido declino e l' Inghilterra repubblicana otteneva successi militari solo nelle colonie, ma il suo traffico mercantile non toccava neppure marginalmente le acque pisane.
    Nella primavera del 1552 le tensioni accumulate negli anni tra la cattolicissima Francia e la ormai protestante repubblica britannica deflagrò in un conflitto molto violento che contrappose una vasta coalizione cattolica ( Francia, Portogallo, Pisa, Ungheria e Scozia ) contro la solitaria Inghilterra.

    upload_2014-7-16_16-34-29.png
    La repubblica pisana entrò nella guerra senza avere ambizioni di conquista ma per non perdere l' alleanza della Francia e sopratutto non rimetterci in prestigio. Tuttavia Gori fece salpare 20 navi da guerra spedendole verso lo Stretto di Gibilterra con l' ordine di bloccare lo stretto ad eventuali tentativi britannici di penetrare nel Mediterraneo.
    Ma di navi inglesi nella regione non se ne videro per mesi e all' inizio dell' autunno la flotta fu spedita verso il porto francese di Bayonne e di li tentare di intercettare qualche naviglio inglese e affondarne le navi.
    Ma gli inglesi stavano tenendo testa validamente alla potente coalizione francese e le 20 navi pisane non erano un pericolo mortale per i legni britannici che anzi, tentarono di bloccare a Bayonne i pisani con una flotta di 35 navi. Prima di dare battaglia però gli inglesi offrirono la pace bianca ai pisani per avere un nemico in meno e i pisani accettarono, anche perchè non vi erano speranze di ottenere qualche vantaggio.
    Verso la fine del 1552 giunse la notizia che parecchi napoletani si erano imbarcati per l' isola di Bermuda con l' intenzione di fare fortuna laggiù.
    Gori decise di lasciarli partire anche perchè Napoli era una città sovrappopolata e sporca e 600 persone in meno erano comunque un piccolo peso in meno.

    upload_2014-7-16_16-49-28.png
    Nel 1553 Gori visitò Firenze, Roma e Napoli, dando ordine di restaurare edifici pubblici ovunque ve ne fosse bisogno elargendo generose donazioni a monasteri, ordini religiosi e congregazioni.
    Il 15 giugno 1553 l' architetto incaricato di edificare la basilica sepolcrale dei dogi e degli statolder, morì e i suoi progetti finirono nelle mani del suo discepolo prediletto, che modificò sensibilmente i disegni del maestro rallentando ulteriormente i lavori.
    All' inizio del 1554 Gori, da esperto militare qual'era, si rese conto che era necessario riformare l' esercito e la marina da guerra per renderli competitivi e vincenti.
    Trovò parecchia opposizione da parte dei tradizionalisti, ma la maggioranza che lo aveva eletto si rivelò fondamentale per consentirgli di far passare la riforma e così, il 10 febbraio 1554 Gori decretò i termini della riforma.

    upload_2014-7-16_22-43-28.png
    All' inizio del 1555 la tensione nei Balcani tornò a salire alle stelle e i rapporti tra Austria e Ottomani si fecero pericolosamente critici. La guerra era ormai nuovamente alle porte e questa volta Gori sapeva che scendendo in campo accanto all' imperatore avrebbe potuto ottenere qualche vantaggio territoriale non indifferente. Magari proprio a scapito di Venezia.
    Così, quando il 17 gennaio l' Austria attaccò gli Ottomani, trascinandosi dietro la Spagna, la Polonia e il Brandeburgo, Gori si schierò con l' imperatore e diede subito ordine alle truppe rimaste in Albania di invadere la Macedonia prima degli imperiali.
    La flotta si schierò a bloccare i passaggi a nord e sud di Creta in modo da bloccare le navi dei Mamelucchi alleati degli ottomani, e impedire loro sbarchi in Italia.

    upload_2014-7-16_22-55-44.png
    Sebbene l' assedio di Tessalonica procedesse bene e senza intoppi, all' interno del parlamento nacquero contrasti tra i pacifisti e i guerrafondai. Tra coloro che non vedevano in quella guerra niente di buono e tra quelli che invece sostenevano il bisogno di espandersi ancora e rafforzarsi a spese dei musulmani.

    upload_2014-7-16_23-0-40.png
    Gori non potè intervenire nel dibattito, impegnato com' era a guidare l' assedio di Patrasso, alla testa della seconda armata. Proprio durante l' assedio, il 20 aprile 1555, fu colpito da una fucilata partita dalle mura e morì praticamente sul colpo, ancora prima di poter decretare l' eventuale successore alle imminenti elezioni.
    Il suo corpo, spedito di tutta fretta a Pisa, fu sepolto nella cattedrale mentre l' esercito, rimasto senza guida, proseguiva gli assedi in attesa dell' arrivo al fronte del nuovo statolder.
     
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  12. alberto90

    alberto90

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    VALERIO GROSSO
    La rapida fine di un sistema, 1555 - 1559

    upload_2014-7-23_2-17-21.png
    Nonostante il conflitto in corso e l' urgenza di dare allo stato il nuovo capo, le elezioni andarono a rilento proprio a causa della spaccatura importante creatasi nel governo e nel Maggior Consiglio tra pacifisti e interventisti.
    I primi premevano per eleggere un uomo diplomatico che portasse la repubblica fuori da una guerra che, ed era vero, avrebbe finito per avvantaggiare solo il già potente imperatore d' Austria; i secondi invece insistevano per una guida forte e militaristica in grado di concludere in maniera positiva il conflitto, anche a costo di rinunciare a grosse conquiste.
    Per una settimana si discusse animatamente e per poco non si giunse alle armi, le due parti erano così divise che la guerra civile sembrava ormai imminente e il sospetto che la morte di Gori fosse stata in parte voluta dall' imperatore per precipitare la repubblica pisana nel caos e approfittare di ciò per accaparrarsi anche le conquiste già ottenute dagli alleati in Macedonia si fece insistente.
    Alla fine, con la mediazione degli arcivescovi di Firenze e Pisa e del legato apostolico, le due parti si accordarono per un mandato di transizione ed elessero Valerio Grosso, discendente di Evangelista Grosso, l' uomo che cacciò il Papa da Roma.
    Era un giovane di 32 anni, bello, vigoroso e dai modi decisi, dichiaratamente favorevole all' alleanza con l' Austria e decisamente sostenitore della guerra contro gli ottomani.
    Il 10 maggio prese il mare da Livorno per raggiungere l' esercito impegnato ancora nell' assedio a Salonicco, privo di un comandante da quasi un mese e perciò fortemente instabile moralmente. Sbarcato a Durazzo dopo una settimana di viaggio raggiunse l' armata sotto le mura della città a fine mese e ne prese il comando, annunciando la sua elezione.
    Bastò la sua presenza per rianimare gli uomini e spingerli e imprese veramente valorose nei successivi quattro mesi di assedio, aprendo vaste brecce nelle poderose mura di Salonicco e respingendo vittoriosamente ben tre sortite nemiche.
    Alla fine, la sera del 12 ottobre 1555 i difensori si arresero e consegnarono la città ai pisani che nei due mesi successivi occuparono gli altri centri vitali della Macedonia, senza che ne austriaci ne ottomani si facessero vivi.
    Il 10 marzo 1556 il sultano ottomano, spaventato dalla marcia dei pisani verso le coste dell' Asia Minore, inviò a Grosso il suo ambasciatore per negoziare la pace tra le parti. Il 13 marzo fu firmato il trattato di Monte Athos con il quale Pisa otteneva la Macedonia mentre Pisa restituiva i prigionieri ottomani.

    upload_2014-7-23_2-34-30.png
    L' Austria perdeva così l' appoggio sul fronte meridionale e gli ottomani, rinforzati da un grosso esercito mamelucco, inflissero all' imperatore alcune sconfitte importanti ma non decisive. Durante l' estate la guerra terminò con un nulla di fatto per l' Austria, che non potè chiedere al nemico nessuno dei pochi territori occupati. La Serbia rimase ai turchi e l' Austria, per la prima volta, non estese i suoi domini.
    Era una notizia veramente importante e quasi incredibile : tra tutti i belligeranti lo statolder era quello con le minori possibilità di vincere eppure era stato l' unico ad ottenere conquiste.
    Grosso rientrò in patria coperto di gloria e la sua marcia da Napoli a Pisa fu un vero trionfo, ovunque folle esultanti facevano ala al suo corteo e in ogni città che attraversava le campane suonavano a festa per celebrare la vittoria insperata.
    In San Pietro fu intonato il Te Deum e il Papa stesso inviò, riconoscente, la sua solenne benedizione.

    Negli anni tra il 1556 e il 1559, indispettito per la difficoltà con cui era stato eletto e notando la crescente corruzione all' interno del governo, diede il via ad una serie di modifiche sempre più decise del sistema elettivo, riducendo sensibilmente il potere decisionale dei membri del Maggior Consiglio e del governo, fece passare una legge che autorizzava gli statolder a nominare i propri successori qualora il Maggior Consiglio non avesse un candidato condiviso dal 75 per cento dei suoi membri ( il che non era quasi mai accaduto sin dal 1496 ), e fece in modo che i tribunali fossero presieduti da uomini di fiducia nominati espressamente dallo statolder. Il quale aveva il diritto di veto su ogni decisione presa dal governo e dal Maggior Consiglio. La repubblica stava piano piano mutando in dittatura.
    Nel 1558, con un atto che fece adirare moltissimi dei suoi esponenti, Grosso esautorò il Maggior Consiglio dal potere elettivo revocando quindi ogni privilegio a mercanti e borghesi presenti in esso.
    - Da oggi in poi - annunciò solenne - i capi della repubblica pisana saranno eletti da un gruppo di uomini scelti personalmente dallo statolder un mese prima della scadenza del mandato. Questo gruppo sarà chiamato " Consiglio di Stato " è i suoi membri saranno scelti tra i nomi delle famiglie più illustri della repubblica, nobili o borghesi e dovranno scegliere uno tra di loro, colui che avrà maggior prestigio o sostegno popolare -
    Era il 2 novembre 1558.
    Un mese dopo, il 5 dicembre, l' imperatore nominò Grosso marchese di Montefeltro, duca di Toscana e principe di Napoli, accordando il diritto di successione ai discendenti. Il figlio di Grosso, ( nato nel 1557 ) fu quindi dichiarato erede ai titoli nobiliari del padre e altrettanto sarebbe accaduto ai figli dei figli.
    Lo stesso imperatore, sceso in Italia, " incoronò " Grosso infeudandolo anche delle città di Viterbo, Perugia, Assisi e Cortona. Il 16 aprile 1559, dieci giorni prima della fine del mandato, lo statolder nobilitato annunciò l' intenzione di ricandidarsi e segretamente ottenne l' appoggio del clero e della nobiltà, di cui era appena diventato membro.
    Nessuno o quasi poteva saperlo, ma la repubblica mercantile e borghese di Pisa, orgogliosa rivale di Venezia e Genova, privilegiata amica dell' impero e fedele alleata dell' imperatore, era giunta alla fine.

     
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  13. ronnybonny

    ronnybonny Moderator Membro dello Staff

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    sei diventato una repubblica nobiliare o una qualche forma di monarchia?
     
  14. andry2806

    andry2806

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    nemmeno una guerrettina civile per salvarla?
     
  15. alberto90

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    No ... io detesto le guerre civili. E poi l'ho sepolta apposta ....
     
  16. andry2806

    andry2806

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    sepolta?
     
  17. alberto90

    alberto90

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    CAPITOLO 2 - Una dittatura mascherata da repubblica
    1559 - 1614

    Principe VALERIO GROSSO
    Genova, morte di una rivale, 1559 - 1560

    Il 27 aprile 1559 Velario Grosso fu rieletto capo della repubblica di Siena. Il giorno dopo egli annunciò la nascita della repubblica nobiliare pisana e si proclamò principe della repubblica.
    Sostanzialmente era una dittatura a tempo determinato, mascherata da repubblica. Il principe infatti aveva avocato a se quasi tutti i poteri decisionali e legislativi, limitandosi a lasciare ai membri del consiglio di stato il potere esecutivo e la possibilità di proporre leggi o riforme.

    L' opposizione, limitata al partito mercantile-borghese, non fu in grado di impedire la brusca centralizzazione del potere e la deriva autocratica in cui stava precipitando la repubblica. Molti degli ex membri del Maggior Consiglio, divenuti dichiaratamente ostili al nuovo principe, lasciarono il territorio pisano infliggendosi un volontario esilio.
    Alcuni si rifugiarono in Sicilia, altri a Genova e altri ancora a Venezia, e di li cercarono fin da subito di aizzare contro Pisa i governi che li ospitavano.
    Il timore di Grosso, giustificato, era quello di veder sorgere una coalizione di repubbliche pronta ad attaccare Pisa da nord, sud, est e ovest. Per impedirlo non restava che annientare una ad una tutte le repubbliche potenziali nemiche e renderle amiche.
    Ma Genova, che Grosso desiderava distrutta già da tempo, faceva parte dell' impero e aggredirla avrebbe spinto l' Austria a fianco della rivale e la fine certa di Pisa. Bisognava costringere Genova ad aggredire per prima e il principe aveva un piano.

    Fece in modo che il capo del partito mercantile rifugiatosi a Genova fosse condannato per furto di beni nazionali, ne fu richiesta l' estradizione alla repubblica di Genova dietro la minaccia di un intervento armato. La richiesta fu naturalmente rifiutata e anzi, Genova fece sapere che avrebbe accolto e protetto tutti coloro che avevano intenzione di lasciare il territorio pisano.
    Il principe inviò all' imperatore un messaggero con la richiesta di autorizzazione per attaccare Genova motivando la richiesta; nell' attesa della risposta fece preparare la flotta e inviò 20.000 uomini ai confini con la repubblica genovese, tanto per mostrare i muscoli.
    Il tutto nell' inverno 1559-60.
    Il 2 febbraio l' imperatore rispose che Pisa avrebbe ricevuto l' appoggio dell' Austria solo se da Genova fossero giunte a Pisa minacce o atti ostili.
    Il principe, che aveva previsto quella risposta, aveva già inviato in incognito alcuni uomini fedeli in territorio genovese, i quali saccheggiarono il quartiere pisano a Genova spacciandosi per sudditi del doge.
    L' Austria ci cascò e autorizzò l' attacco.
    L' 8 marzo l' esercito pisano schierato ai confini invase il territorio genovese mentre la flotta da guerra pose sotto assedio il porto rivale con 25 navi da guerra.
    L' esercito genovese, 8.000 uomini, si battè valorosamente a Chiavari perdendo tre quarti degli uomini e infliggendo un migliaio di perdite ai pisani. Ricacciati indietro i genovesi si chiusero all' interno delle mura cittadine e attesero l' assedio, inevitabile, che sarebbe iniziato a breve.
    A metà aprile erano ormai in 15.000 ad accerchiare Genova ed era previsto l' arrivo di altri 5.000 francesi e 5.000 pisani entro un mese, i genovesi sapevano di poter resistere al massimo per sei mesi e arrivati al quarto mese di assedio cercarono di convincere l' imperatore, di cui erano sudditi fedeli tanto quanto i pisani, a bloccare l' attacco dei pisani e salvarli dalla distruzione.
    Ma l' imperatore non ricevette nemmeno i delegati genovesi e li fece imprigionare. Non aveva ancora capito di essere stato ingannato, per fortuna del principe.
    Comunque, fortuna o no, Genova non cedeva e nonostante fosse ormai quasi allo stremo delle forze continuava a sfidare la pazienza degli assedianti confidando in qualche aiuto dell' ultimo minuto, magari dai veneziani.
    A fine agosto il re di Francia fece sapere al principe che si sarebbe limitato a inviare davanti al porto di Genova alcune navi per non dover far valicare le Alpi ai suoi uomini col rischio di tenerli bloccati inutilmente nella pianura padana a causa della cattiva stagione. Il principe gliene fu grato lo stesso e anzi, disse, era meglio così perchè il merito della conquista sarebbe ricaduto solo sulle sue spalle.
    Il 5 settembre diede ordine di lanciare l' attacco generale alle mura, dando libertà ai suoi uomini, in caso di successo, di saccheggio indiscriminato col solo riguardo per chiese e monasteri.
    Due giorni dopo, con Genova ormai nelle sue mani e molti dei suoi cittadini prigionieri, il principe convocò il doge al suo cospetto e dopo averlo severamente rimbrottato per l' increscioso episodio di marzo ( con una faccia tosta non da poco, va detto ), lo costrinse a firmare la resa della repubblica marinara. L' 11 settembre 1560 Genova e il suo stato entravano ufficialmente nei possedimenti pisani.
    Il commento più diffuso nella popolazione colta fu: la Meloria è vendicata.

    upload_2014-7-24_11-10-3.png
    Genova era una città di oltre 200.000 abitanti, prodigiosamente ricca di opere d' arte e monumenti e piena zeppa di ogni sorta di meraviglie. La sua caduta fu una notizia tragica per i regimi repubblicani democratici che vedevano nella fine di una secolare marineria ( ricordare le galee genovesi impegnate nelle crociate ) un brutto segno per il loro avvenire.
    Il trionfo del principe, tornato a Pisa, fu incommensurabile e la sua fama dilagò ovunque in Europa. Si prospettavano anni gloriosi per il suo stato, e anche per lui.
     
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  18. alberto90

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    Le nozze di lusso del principe, 15 aprile 1562
    Nel 1561 il principe aveva ricevuto un ambasciata inviata dall' imperatore che, oltre a rinnovare i rapporti amichevoli tra le due nazioni, offriva gli offriva la mano della sua seconda figlia, l' arciduchessa Elisabetta Anna d' Asburgo.
    Era un offerta troppo allettante per essere rifiutata e considerando che la sua prima moglie era morta dando alla luce il loro secondo figlio nel 1559, Grosso fu ben lieto di accettare e diede inizio ai preparativi per le nozze.
    Il 10 aprile 1562 l' arciduchessa giunse con un lungo corteo di valletti e dame di compagnia a Roma, dove si sarebbero celebrate le nozze alla presenza dell' imperatore e dei suoi alleati. Il Papa, non potendo celebrare di persone le nozze, delegò il suo nunzio apostolico in Italia, il cardinale Colonna.
    Il 15 aprile, domenica di Pasqua, l' arciduchessa e il principe furono uniti in matrimonio nella basilica del Laterano con una solenne cerimonia che sancì il punto più alto raggiunto dalla parabola politica di Grosso.


    [​IMG]
    " Le nozze del principe Valerio Grosso con l' arciduchessa d' Austria " dipinto da anonimo nel 1594
    Il re di Francia, non potendo intervenire di persona, aveva inviato il Delfino in sua rappresentanza e lo stesso aveva fatto il re di Spagna. Assenti di lusso invece erano il doge di Venezia ( per ovvie ragioni ), il duca di Savoia e quello di Mantova, spaventati dalla potenza del ingombrante vicino.
    All' uscita della basilica la coppia fu accolta da una folla esultante che riempiva l' intera piazza e vaste aree della città, e lo stesso trionfale giubilo li accompagnò nel viaggio da Roma a Pisa, dove il principe e la sposa presero residenza nel vecchio palazzo dei Consoli, adattato e sfarzosamente rinnovato nel corso dei 10 anni precedenti.
     
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  19. alberto90

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    L' ora delle scelte irrevocabili, giugno-luglio 1562
    Proprio durante l' estate di quel 1562, nei giorni in cui il principe era a Vienna alla corte del suocero, si accese improvvisamente la miccia del più grande conflitto europeo dai tempi della guerra dei cent'anni.
    Il duca di Cleves, che aveva dato in sposa le sue due figlie rispettivamente al primogenito dell' imperatore ( e quindi all' erede della corona di Carlo Magno ) e al delfino di Francia, erede al trono di Parigi, venne a morire.
    Subito di scatenò la lotta per la successione al trono ducale tra l' imperatore e il re di Francia, entrambi decisi a impossessarsi del ducato in nome dei rispettivi figli e lo scontro tra le due potenze fu subito molto intenso.
    L' imperatore sosteneva di essere l' unico ad avere diritto al ducato conteso, in quanto terra imperiale; ma il re di Francia replicava che la moglie di suo figlio era la primogenita del defunto duca e che dunque il ducato spettava a lei, e quindi al delfino.
    Naturalmente il principe si trovò impegnato in prima linea riguardo alla spinosa questione ed essendo alleato con entrambi i sovrani era costretto giocoforza a scegliere con chi schierarsi. L' imperatore, nonchè suo suocero, non avrebbe preso affatto bene l' eventuale scelta in favore della Francia ( e Dio solo poteva sapere i rischi cui si sarebbe trovata esposta la repubblica in caso di abbandono dell' alleanza imperiale ), il re di Francia non aveva parentele dirette col principe e dunque quasi certamente sarebbe stato meno offeso dalla scelta in favore dell' impero, ma Grosso era indeciso e molto agitato.
    Per qualche tempo pensò di chiedere all' imperatore di tenerlo fuori dal conflitto e di consentirgli di mantenere le alleanze con entrambi i rivali, assicurando una benevola neutralità verso entrambi, ma si rese conto che sarebbe stato impossibile restare amico di due sovrani in guerra tra loro. Comunque, per una decina di giorni nessuno dei due alleati gli chiese di scegliere e quel lasso di tempo permise al principe di prendere la sua decisione.

    Inviò un messaggio accorato all' ancora alleato francese, rammaricandosi per la situazione che si era venuta a creare e offrendo una eventuale mediazione per evitare il conflitto o, nel caso contrario, per porvi termine in breve tempo senza permettere a nessuna delle parti di ottenere troppo a discapito dell' altra. Rinnovò a Luigi XV i suoi attestati di amicizia e di stima ma, al contempo, gli fece notare che il suo ruolo di genero dell' imperatore gli impediva di schierarsi assieme alla Francia contro il padre di sua moglie.
    Fece dire al re di Francia che, nel caso di una invasione pisana del regno, il principe assicurava che non vi sarebbero stati saccheggi alle città conquistate ne massacri di civili inermi ed espresse la sua intenzione di chiedere all' imperatore di garantire la stessa cosa.
    Concluse la sua missiva con la promessa, una volta terminata la guerra, di mantenere sempre buoni rapporti col regno di Francia, anche in caso di neutralità reciproca.
    Quando Luigi XV ricevette la lettera non potè fare altro che rispondere.

    - Caro cugino e amico,
    siamo costernati quanto voi per la dolorosa scelta che la diplomazia vi impone di compiere e siamo consapevoli che il vostro schierarvi a fianco dell' imperatore non dipende da cattivi rapporti tra i nostri stati ne tanto meno tra di noi.
    Vi assicuriamo che, nonostante lo stato di guerra che presto ci vedrà schierati su due fronti diversi, noi saremo sempre lieti di considerarvi nostro cugino e amico della Francia, di accogliervi nelle nostre città come uno dei nostri generali e invitarvi alle nostre feste come siamo soliti fare con i più stretti amici del regno.
    Siamo felicemente sorpresi della magnanimità che avete promesso di mostrare ai nostri sudditi in caso di invasione e possiamo dire la stessa cosa riguardo ai vostri, se saremmo costretti dalle circostanze, ad entrare con la forza nei vostri stati. Naturalmente noi saremmo ben felici di affidarvi la mediazione tra la Francia e l' impero e siamo certi che vostro suocero non vi negherà il privilegio di porvi come giudice tra noi e lui. Sappiamo bene quanto vi rispetti e vi ami e quanto voi amiate sua figlia, vostra moglie.
    Siete stato un alleato fedele e per questo vi ringraziamo e anche se ora saremo avversari, siamo certi che userete rispetto e giustizia nei confronti dei nostri soldati, come noi la useremo verso i vostri.
    Che il buon Dio protegga noi, i nostri popoli e i nostri stati.

    Ricevuta la garanzia che i rapporti con la Francia non avrebbero subito gravi conseguenze, il principe disse al suocero che la repubblica di Pisa si sarebbe schierata al suo fianco, contro il regno di Francia e i suoi alleati.
    - avete fatto la scelta giusta, caro genero - disse l' imperatore abbracciandolo - anche se so che vi ha procurato grande sofferenza abbandonare il re di Francia -
    - mi ha garantito che i nostri rapporti resteranno comunque buoni - rispose il principe.
    - ne sono sicuro e anzi, proprio per questo ho deciso che sarete voi a mediare e a trattare la pace con la Francia, quando la guerra rischierà di farsi troppo pesante per l' impero -
    - vi ringrazio maestà - esclamò leggermente sorpreso il principe vedendosi anticipato - per me sarà un onore trattare la pace a nome vostro -
    - farete un buon lavoro, ne sono certo -
    I due si lasciarono e il principe si precipitò nel suo stato per dare comunicazione delle decisioni prese e preparare l' esercito.



    upload_2014-7-26_0-35-30.png
     
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  20. alberto90

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    La guerra di successione per Cleves, luglio 1562 - dicembre 1564
    Il 23 luglio 1562 la guerra che già covava da qualche settimana tra la coalizione franco-boemo-ungherese ( più la Scozia ) e l' impero ( assieme a Spagna, Pisa, Acaia e Cleves ), scoppiò in tutta la sua brutalità.
    Grosso aveva pregato il suocero di non usare metodi troppo drastici con i soldati nemici e di evitare saccheggi e violenze contro le città conquistate e i loro abitanti, ma l' imperatore si era mostrato piuttosto rigido riguardo a ciò e aveva replicato che in guerra non si possono usare i guanti di velluto contro i nemici, ma solo il ferro e il fuoco.

    upload_2014-7-26_0-44-25.png
    Basandosi solo sui numeri la coalizione imperiale godeva di una forte superiorità numerica ( l' Austria da sola aveva circa 100.000 uomini in armi ) ma la Francia aveva il vantaggio di avere come alleati la Boemia ( 28.000 uomini ) e l' Ungheria ( 32.000 ), per un totale di 60.000 uomini in grado di attaccare Vienna da nord e da est, mentre l' Austria era costretta a dividere le sue pur numerose forze su due fronti ( rispettivamente contro Francia e Boemia-Ungheria ).
    Sia la Francia che i suoi alleati erano usciti da poco da altri conflitti e l' esaurimento di guerra era già molto alto, mentre l' impero era in pace da qualche anno ( tranne l' Austria, sempre in lotta contro i morenti ottomani ), e con molte più possibilità di condurre un conflitto a lungo termine.
    La repubblica di Pisa aveva il vantaggio di avere una base solida ai confini con la Francia ( il territorio genovese ) e l' intero confine appenninico protetto dall' Austria. Era quindi in condizione di lanciare le sue truppe contro la Provenza e il Delfinato senza esporre la capitale e il resto dello stato a rischi eccessivi.
    Grosso decise di mettere a disposizione dell' imperatore 20.000 dei suoi 30.000 uomini e tutte le sue navi da guerra ( 25 ), e partendo proprio da Genova le due armate si misero in marcia verso Marsiglia e Briancon il 1 agosto.
    Le due flotte ( 15 navi una e 10 l' altra ) salparono il giorno stesso per porre sotto assedio dal mare Tolone e Marsiglia e intrappolare le eventuali navi nemiche al loro interno, dove avrebbero potuto essere facili prede delle artiglierie navali e terrestri.
    La Francia, divise equamente le sue ingenti ma provate forze ( circa 80.000 uomini ) in due armate: una rivolta contro la Spagna e Pisa ( ma Luigi XV aveva dato ordine di puntare tutto sulla Spagna ), l' altra contro i paesi bassi austriaci, difesi da soli 30.000 imperiali.
    Sin da subito fu chiaro che, nonostante la superiorità numerica, le forze imperiali non erano in grado di fare della Francia un sol boccone mentre era evidente che i francesi avevano buon gioco dei poveri spagnoli, battuti e duramente bastonati il 2 settembre presso Gerona, in Catalogna. Una settimana dopo Barcellona era sotto assedio mentre Gerona si era consegnata ai francesi il 4 settembre senza combattere.
    I pisani entrarono in Provenza il 16 agosto e senza trovare opposizione misero Marsiglia sotto assedio il 22. Tre giorni dopo la stessa cosa accadeva a Briancon.
    Sul fronte belga gli imperiali erano riusciti a battere i francesi di misura a Maubege, nell' Hainaut, il 30 agosto ma, privi di artiglieria non avevano potuto prendere la città e si erano ritirati. I francesi invece, forti di molti cannoni, seppellirono Ostenda sotto una pioggia di palle catturandola il 4 settembre, si ripeterono a Brugge il 26 e fecero scempio di Mons il 5 ottobre.

    [​IMG]
    " L' assedio di Mons, 2 settembre - 5 ottobre 1562 "

    [​IMG]
    " Luigi XV assiste al bombardamento di Brugge, 20 - 26 settembre 1562 "
    Su quasi tutti i fronti le truppe francesi erano all' offensiva e l' impero scricchiolava sotto i colpi inferti dagli abili marescialli gallici, mentre gli spagnoli erano ormai quasi senza esercito, dopo la tremenda disfatta subita a Calahorra il 12 ottobre ( 32.000 francesi avevano spazzato via 21.000 spagnoli nel giro di 3 ore ).

    [​IMG]
    " La disfatta spagnola di Calahorra, 12 ottobre 1562 "
    Solo i pisani riuscivano a tenere alto il prestigio imperiale, stringendo gli assedi a Marsiglia, Tolone ( questa più dal mare che da terra ) e Briancon, ed erano anche gli unici a non avere ancora affrontato in battaglia i francesi.

    Con l' arrivo di novembre e la fine della campagna bellica estiva, si potevano già fare alcuni conti: la Francia aveva occupato interamente le Fiandre e l' Hainaut e parte della regione delle Ardenne. A sud vantava il possesso del Rossiglione ( Perpignano erano caduta praticamente senza combattere il 3 agosto ), di parte della Catalogna e dell' Aragona ( comprese le città di Gerona, Lerida e Huesca ).
    L' Austria era riuscita a sfondare in Ungheria conquistando senza troppi patemi Budapest e la metà occidentale del regno, mentre Vienna era assediata dai Boemi che già occupavano il Marchfeld, il Waldwiertel e Linz.

    Il 1563 fu ancora più brutale e violento. I francesi, appena il tempo si fece più clemente, misero sotto assedio Bruxelles e il 3 aprile sconfissero pesantemente 18.000 austriaci davanti a Lovanio ( che catturarono con l' inganno il giorno dopo ) e inviarono altri 12.000 uomini verso Anversa. A sud Barcellona cadde il 12 aprile dopo un assedio durato 7 mesi e il 1 maggio fu presa anche Tarragona. Gli spagnoli precipitarono nel caos, tanto che abbandonarono al proprio destino la fortezza di Saragozza ( occupata dai francesi il 5 giugno ) e si ritirarono precipitosamente a Madrid.
    I pisani continuavano a tenere sotto assedio Marsiglia e Briancon ( Tolone non potè essere presa perchè non vi erano abbastanza uomini ) ma all' inizio dell' anno, l' 8 gennaio, il re di Francia in persona si recò presso il campo del principe per offrire una onorevole pace bianca separata.
    - Per il rispetto che vi porto non intendo dare battaglia contro di voi e pertanto vi offro di uscire dalla guerra forte come vi siete entrato - disse.
    Il principe non potè che essere lieto di accettare ( avendo saputo delle straordinarie vittorie francesi non aveva troppa voglia di battersi contro di loro ) e firmò con animo sereno il trattato di Lerins.
    - nella vostra nuova posizione di osservatore neutrale vi sarà più facile mediare e trattare la pace finale - osservò Luigi XV.
    - l' imperatore non credo sia molto intenzionato a trattare al momento - rispose il principe.
    - presto lo sarà, ve lo assicuro - ribattè il re montando a cavallo.

    upload_2014-7-26_1-48-41.png

    [​IMG]
    " Luigi XV e il principe Grosso firmano la pace di Lerins, 8 gennaio 1563 "
    La Spagna non tardò a seguire Pisa e, nonostante le cocenti umiliazioni subite sul campo e le numerose città conquistate dal nemico ( tra cui anche Madrid, occupata dal 2 novembre 1562 al 4 marzo 1563 ), evitò perdite territoriali ottenendo una pace bianca non esattamente onorevole.
    Libero ora da minacce ( ? ) sul fronte sud, Luigi XV scatenò la sua furia contro la Franca Contea e il settore settentrionale. Besancon fu letteralmente messa a ferro e fuoco da un bombardamento d' artiglieria infernale durato 5 giorni ( 4 - 9 giugno 1563 ) e conquistata d' assalto il 10; Bruxelles ne seguì la sorte venendo presa il 2 luglio e Anversa si arrese il 12. L' esercito imperiale era riuscito nel frattempo a liberare i propri territori occupati dai boemi e alla fine, battutili presso Brno il 3 aprile, aveva iniziato l' invasione vera e propria. L' Ungheria fu completamente occupata entro l' estate, ma i fieri contadini della Puszta rifiutarono di arrendersi e si ritirarono verso le montagne al confine con la la Polonia, dandosi alla guerriglia.
    Ma sul fronte occidentale gli austriaci erano ormai gravemente compromessi e l' intero Belgio era nelle mani francesi, assieme al Lussemburgo e alla Franca Contea. La Brisgovia, con Friburgo, era seriamente minacciata così come l' Olanda e Amsterdam.
    Con la mediazione del principe Grosso l' imperatore e il re di Francia stipularono il 4 agosto una sorta di armistizio, una tregua, della durata di 6 mesi. L' imperatore sperava di poter spostare abbastanza truppe da oriente ( dove Boemia e Ungheria, per quanto non sottomesse erano sotto controllo imperiale ) per bloccare l' avanzata francese sul Reno e verso l' Olanda.
    Il 5 febbraio 1564, alla scadenza della tregua, i francesi ripresero le ostilità. Gli imperiali erano riusciti a spostare 20.000 uomini dalla Boemia ( uscita di scena con trattato di Lobau il 2 novembre 1563 ), e con quelli riuscirono a sconfiggere i francesi presso Breda il 3 marzo, bloccandone quindi la generale avanzata verso nord.
    Non poterono però impedire la caduta di Friburgo in Brisgovia avvenuta il 24 aprile, e la minaccia serissima che i 19.000 francesi portavano al Tirolo, fu sufficiente per inviare dall' Ungheria altri 20.000 uomini. Tuttavia anche i francesi stavano esaurendo le forze e non erano assolutamente in grado di penetrare in profondità tra le montagne tirolesi e dunque la minaccia fu sventata ugualmente.
    Ai primi di maggio l' imperatore ordinò al principe di dare inizio alle trattative di pace e Grosso si recò, con pieni poteri, al campo reale francese eretto appena a nord di Bergen-op-Zoom. Vi risiedette per i successivi 6 mesi, lavorando senza sosta per trovare un accordo col re di Francia per porre fine a quel massacro.

    upload_2014-7-26_2-17-27.png
    La situazione al 4 ottobre 1564
    Finalmente, il 4 ottobre 1564 ( gli austriaci erano riusciti a liberare Anversa con un colpo di mano incredibile ), fu trovato l' accordo di base, anche se la pace vera e propria fu firmata solennemente a Nimega il 2 dicembre.
    Le condizioni poste dalla Francia erano piuttosto dure, nonostante tutto:

    1 L'Austria cedeva l' Artois, la regione di Valenciennes e la Franca Contea alla Francia
    2 l' Austria restituiva l' indipendenza ai ducati di Assia, Milano e Modena
    3 l' Austria pagava una somma pari a 200.000 scudi alla Francia, 50.000 scudi all' Ungheria e altri 50.000 alla Boemia.

    Il principe, che pure avrebbe dovuto salvaguardare il suocero, aveva fatto in modo che i territori austriaci in Italia tornassero liberi, anche se costretti all' alleanza con la Francia e quindi ugualmente intoccabili, in modo da poterli conquistare lui, prima o poi.
    L' imperatore non fu affatto felice di cedere a quelle condizioni ma aveva detto al suo mediatore plenipotenziario che non avrebbe posto rifiuti alle clausole e quindi, di malincuore, si rassegnò.

    upload_2014-7-26_2-18-56.png
    La situazione creatasi dopo la pace di Nimega, 2 dicembre 1564

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    " La ratifica della pace di Nimega " olio su tela di anonimo, 1602
    La pace di Nimega sancì la fine dell' imbattibilità austro-imperiale in Europa dopo quasi mezzo secolo di dominio assoluto, il rafforzamento della Francia, il riconoscimento di Pisa quale potenza europea e il declino morale della Spagna e dell' Ungheria.
    Come aveva promesso, Luigi XV continuò a mantenere ottimi rapporti con il principe Grosso pur non essendo più suo alleato e anche l' imperatore, nonostante il brutto scherzo che Grosso gli aveva giocato al tavolo delle trattative, non gli tolse la propria fiducia e la stima dovuta ad un alleato fedele e ad un genero buono e rispettoso.
    Mai come in quel momento Grosso fu conosciuto e apprezzato dalle corti europee e mai come allora la repubblica di Pisa era considerata degna di rivaleggiare con le grandi potenze del continente.


     
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    Ultima modifica: 30 Luglio 2014

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