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EU III COMPLETE AAR PISA

Discussione in 'Le vostre esperienze' iniziata da alberto90, 20 Giugno 2014.

  1. alberto90

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    LA REPUBBLICA ALLE FOCI DELL' ARNO

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    ANTEFATTO
    Nell' anno del Signore 1406 l' ultimo signore di Pisa, costretto da cause di forza maggiore, aveva venduto la città di Pisa e tutti i domini rimasti in suo possesso agli odiati fiorentini.
    Per decenni i pisani hanno tentato di liberarsi del giogo della città rivale senza riuscire mai nell' impresa. Ma ora, alla fine di questo anno Domini 1493, con la minaccia di un invasione francese della penisola e approfittando del malgoverno mediceo, una nuova rivolta è in procinto di iniziare, favorita dal romano pontefice e anche dal re di Francia, che teme i commercianti fiorentini quasi come la vicinanza degli inglesi.
    Alla testa dei rivoltosi si è posto il figlio di un ricco mercante di stoffe originario di Lucca e assieme a lui sono scesi in campo tutti i mercanti della città e dei contadi confinanti sostenuti dal popolo e dal clero.
    A Firenze, la notizia dei nuovi subbugli è accolta con rassegnazione. Le truppe cittadine non sono in grado di riportare l' ordine e inoltre gira la voce che il re di Francia in persona stia per scendere in Italia alla testa di un esercito enorme per rivendicare i titoli nobiliari e le terre italiane che, a suo dire, spettano alla corona francese. Il fatto poi che il re sia amichevole nei confronti dei ribelli pisani lascia intendere che, in caso di intervento fiorentino contro Pisa, le truppe francesi prossime alle Alpi marceranno verso la Toscana per sostenere i ribelli.

    Pochi giorni prima del Natale il consiglio della repubblica fiorentina vota all' unanimità una mozione presentata da un mercante aretino volta a concedere la piena libertà ai pisani che già godevano di ampi privilegi.
    Prima ancora che la rivolta abbia modo di esplodere i pisani ottengono il successo e vedono rinascere la loro repubblica marinara.
    La rivalità storica che per tre secoli ha visto contrapposte Genova, Pisa, Venezia e in misura minore Amalfi, può riaccendersi.
    Lo scopo principale dei mercanti pisani ora è uno solo: gestire e monopolizzare tutti gli scali del Mediterraneo.

     
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  2. alberto90

    alberto90

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    CAPITOLO 1 - Mercanti e borghesi al potere
    1494-1559


    SIMONE ORLANDI
    Lo sfortunato conquistatore di Siena 1494 - 1496

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    Il primo gennaio 1494 il Consiglio Mercantile Pisano elesse all' unanimità come Doge Simone Orlandi, l' aspirante capo della rivolta contro Firenze.
    Orlandi aveva solo 35 anni ma possedeva già tutte le caratteristiche necessarie per governare nel migliore dei modi la neonata repubblica mercantile.
    Valendosi del vasto consenso goduto nelle varie classi sociali della repubblica, Orlandi cominciò subito a preparare i piani per far rinascere quanto prima la potenza mercantile di Pisa e poter quindi finanziare la ricostruzione di un esercito degno di questo nome ed estendere quanto più possibile il controllo della repubblica sia per mare che sulla terraferma.
    Se a Pisa Orlandi era visto come il padre della patria e rifondatore della marineria pisana, a Firenze e ancora di più a Siena invece la sua elezione a Doge fu vista come una minaccia concreta all' indipendenza delle due città, anch'esse governate come repubbliche.
    Sopratutto a Siena fu grande il disappunto alla notizia dei preparativi pisani per ridare vita al porto cittadino e riprendere i commerci con i mercati italiani ed europei.

    Tuttavia per oltre due anni non accadde praticamente nulla. Mentre i mercanti pisani piano piano tornavano a farsi vedere a Genova e a Venezia ( in entrambe le città riuscirono ad installare un piccolo serraglio ), i senesi discutevano sul modo migliore per stroncare sul nascere la potenza del nuovo ingombrante e pericoloso vicino e tale era il loro odio nei confronti dei pisani che per un periodo vi furono trattative segrete con i fiorentini ( certo non amati dai senesi ) per unire le forze e schiacciare Pisa, la sua repubblica e il suo arrembante e giovane doge, prima che fosse Pisa a schiacciare loro.
    Alla fine, ai primi tepori della primavera del 1496, una volta sfumato l' accordo con Firenze, il governo repubblicano di Siena decise che era giunto il momento per attaccare Pisa. Poche settimane prima infatti l' emporio senese a Genova era stato costretto a chiudere proprio perchè la vicinanza con il serraglio pisano sottraeva guadagni e clienti. Era un motivo più che valido, almeno secondo i senesi, per imbracciare le armi e marciare sull' odiata Pisa.
    Il 21 marzo 1496 la guerra ebbe inizio.
    Orlandi, che in fondo sperava accadesse, potè far radunare i 2.000 fanti pisani che costituivano l' esercito repubblicano e, messosi alla loro testa, li fece marciare verso Siena prima che fossero i senesi a farlo. Inoltre aveva le spalle coperte: non solo l' imperatore germanico si schierò al suo fianco ( Pisa, come Firenze e Siena faceva parte dell' impero ), ma anche il re di Napoli, il pontefice e il duca di Savoia inviarono truppe per proteggere l' indipendenza di Pisa essendone i garanti.
    I senesi non si aspettavano un attacco pisano imminente e fu quindi con somma sorpresa che il 28 marzo si svegliarono con l' esercito pisano alle porte della città, accampato davanti a Porta Ovile.
    Subito la guarnigione di 1.000 fanti fu fatta uscire dalle mura e schierata in assetto da battaglia, ma privati di un comandante e oltretutto colti di sorpresa, poterono ben poco per evitare la disfatta. Il 29 marzo 1496 Siena era sotto assedio e senza esercito, mentre erano in marcia contro la città 3.000 uomini inviati dal Papa e ben 4.000 napoletani.
    La settimana dopo Pasqua sotto le mura di Siena erano ormai schierati 9.000 uomini e altri 10.000, inviati dall' imperatore, erano in viaggio. Il contingente sabaudo fu invece ritirato quando era chiaro che 1.000 uomini in più non avrebbero fatto molta differenza.
    A metà maggio gli austriaci si unirono agli alleati e Siena si trovò accerchiata da ben 20.000 uomini che la stringevano in una morsa sempre più stretta. Eppure la fiera città non cedette a nessuno degli assalti lanciati contro le mura, difese da contadini armati alla bell' e meglio, da donne armate di forconi e pietre e persino da ragazzi, che impugnavano piccoli pugnali. Per altri due mesi Siena tenne testa ad un esercito che contava più o meno lo stesso numero dei suoi abitanti e fu solo quando si esaurirono le scorte di cibo e acqua e le malattie cominciarono a infierire sugli stremati senesi che il governo cittadino decise che era giunta l' ora di aprire le porte e arrendersi.
    Il 14 luglio 1496 Siena venne occupata dai pisani, il suo governo cacciato e i suoi territori annessi alla repubblica marinara.

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    Tornato vittorioso dalla spedizione, Orlandi entrò in Pisa accolto in trionfo come gli imperatori romani e furono indetti 10 giorni di festeggiamenti per la grande vittoria ottenuta contro una rivale assai famosa e un tempo molto potente.
    I pochi empori senesi rimasti a Venezia, Parigi e Anversa furono incamerati e uniti a quelli pisani garantendo ai mercanti della repubblica il quasi totale monopolio delle merci italiane in circolazione a Venezia.
    Ma la parentesi di gloria durò poco per il doge. Rimasto ferito non gravemente durante gli scontri sotto le mura di Siena trascurò le cure prescrittegli finendo con aggravare una situazione medica non pericolosa.
    Se si fosse curato a dovere non avrebbe corso grandi rischi quando, in settembre, fu ferito durante una battuta di caccia nei boschi sul Monte Pisano. Portato nel palazzo di città in condizioni decisamente più gravi rispetto a quelle antecedenti la battuta, ci si rese conto che la freccia conficcata nel suo fianco era avvelenata e che il destino del Doge era segnato.
    Nemmeno il tempo di estrarre il ferro che l' uomo spirò a soli 37 anni.
    Si scoprì in seguito che la freccia avvelenata era stata scoccata da un misterioso uomo incappucciato nascosto dietro una quercia, fu indetta una caccia all' uomo che portò alla cattura dell' assassino dopo un paio di settimane. Al processo si venne a sapere che l' uomo era un senese che aveva agito per vendetta e sul patibolo non fece nulla per nascondere l' odio che provava per Pisa e per i suoi abitanti.
    Simone Orlandi, primo doge della repubblica pisana, fu sepolto con tutti gli onori nella cattedrale della città e gli fu dato il soprannome di " Pater Patriae", padre della Patria.

     
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  3. alberto90

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    VITTORIO TABUCCHI
    Un " optimum vir " al servizio della Repubblica, 1496 - 1500

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    Colto di sorpresa dalla morte improvvisa e inaspettata di Orlandi, il Consiglio Mercantile Pisano si riunì in seduta plenaria per eleggerne il successore.
    Il 15 settembre 1496 fu infine eletto Vittorio Tabucchi, che di Orlandi era stato il principale sostenitore e primo consigliere politico. Era quello che gli antichi romani avrebbero chiamato " optimum vir ", uomo ottimo, grazie alle sue straordinarie capacità amministrative, diplomatiche e anche per la non comune abilità bellica.
    Era insomma l' uomo adatto per prendere le redini della giovane repubblica pisana e guidarla verso un futuro glorioso.
    Nel suo discorso di insediamento, Tabucchi disse chiaramente che, per quanto possibile, non aveva intenzione di combattere i vicini e che dunque avrebbe cercato di rafforzare il potere della repubblica non con le armi ma con il commercio che poi, parole sue, era il vero armamentario di Pisa.
    E infatti, per tutti i 4 anni di governo, la repubblica visse un periodo di pace e prosperità, i commercianti pisani erano ormai stabilmente residenti a Parigi, Venezia e Anversa mentre altri viaggiavano continuamente dai mercati di Lisbona e Istanbul al Porto Pisano. A Pisa il doge e il suo governo decretavano in favore del popolo votando sgravi fiscali per i più poveri, ripartizione equa delle tasse, tolleranza religiosa per le minoranze ebraiche con abolizione del ghetto.
    Nella seconda fase del suo mandato Tabucchi iniziò a prendere provvedimenti per rafforzare le flotta mercantile e si dedicò, anche se con molta parsimonia, a quella militare e all' esercito. Fece in modo che la milizia repubblicana fosse in grado di respingere efficacemente eventuali attacchi da parte dei fiorentini, che erano gli unici ad avere un motivo valido per aggredire la giovane repubblica pisana.
    Fu durante il mandato di Tabucchi che il Pontefice, il duca di Savoia, l' imperatore austriaco e il re di Napoli firmarono un documento congiunto con il quale garantivano nuovamente l' indipendenza della repubblica scoraggiando in tal modo ogni attacco proveniente dall' esterno.
    Avendo le spalle ampiamente coperte dalle minacce dei Medici, signori di Firenze, il doge Tabucchi e il suo governo poterono restituire a Pisa gran parte della potenza passata e fare di Pisa una delle più belle città della penisola. Edificarono nuove chiese, monasteri per gli ordini mendicanti ( sopratutto francescani e domenicani ), palazzi per i nobili cittadini, restaurarono i ponti sull' Arno e diedero inizio ai lavori per bonificare le paludi a nord del Serchio e lungo la costa maremmana.
    Alla fine, il 31 agosto 1500, Vittorio Tabucchi terminava con successo il suo mandato annunciando di volersi ritirare a vita privata e godersi gli ultimi anni di vita nella sua villa vicino a Lucca.
    Dopo aver partecipato all' elezione del suo successore, Tabucchi sparì per sempre dalla scena politica e morirà nella sua villa di campagna il 5 ottobre del 1503 all' età di 69 anni.
    La sua salma fu deposta nel grandioso mausoleo fatto edificare dal popolo nella cattedrale accanto a quello di Orlandi a perpetua glorificazione del suo genio.

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    Il mondo nel 1500


     
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  4. alberto90

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    BONAVENTURA DELLA GHERARDESCA
    L' erede di un' antica e gloriosa dinastia, 1500 - 1508

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    Il Consiglio Mercantile Pisano fu assai lesto nell' eleggere come successore di Tabucchi il giovane e rampante Bonaventura della Gherardesca, discendente e ultimo esponente di une della più celebri e glorioso famiglie nobili di Pisa.
    Era certamente un ottimo diplomatico e una discreta guida militare, ma l' amministrazione civile non era il suo forte e per riparare a questa pecca, appena eletto, affidò i problemi amministrativi a persone più esperte.
    Tuttavia i suoi elettori non ebbero di che pentirsi della loro scelta negli anni seguenti. Bonaventura infatti, valendosi delle sue straordinarie doti diplomatiche ottenne l' alleanza formale con il duca d' Urbino e il re di Napoli, garantendosi in tal modo ampi privilegi commerciali nei porti marchigiani e campani.
    L' alleanza fu quantomai tempestiva: il trattato che la sanciva era stato firmato da nemmeno due settimane che fu subito messo alla prova. Il 16 maggio 1501 il signore di Firenze Piero II de' Medici, figlio ed erede del grande Lorenzo, dichiarò guerra alla repubblica pisana che si aspettava una mossa del genere e fu lesta a chiare in suo soccorso i neoalleati. Ottenuto anche l' appoggio dell' imperatore, del Papa e del duca di Savoia, le milizie pisane marciarono sulla rivale, spazzarono via i 4.000 difensori schierati lungo l' Arno nei pressi di Empoli e il 1 giugno davano inizio all' assedio della città.
    Nelle settimane seguenti li raggiunsero 4.000 napoletani, 2.000 pontifici e 3.000 urbinati. Il 5 luglio arrivarono anche 12.000 austriaci e il destino di Firenze fu segnato. La città tenne duro fino a settembre, ma il 2 ottobre fu costretta ad arrendersi. Pisa impose l' annessione della città e di tutto il suo territorio, incondizionatamente. Piero II accettò e il giorno dopo partiva per l' esilio mentre Firenze diventava possedimento pisano.
    Durante la prima fase del suo governo il doge si dedicò anche a completare i lavori di bonifica della Maremma iniziati dal suo predecessore, fece scavare un canale che collegasse il Lago di Massaciuoccoli con il mare e su questo fece convergere i canali minori scavati nella fascia pianeggiante, paludosa e boscosa, per rendere più salubre la regione.
    A Pisa completò i lavori di restauro della Cattedrale, fece riedificare il palazzo che era stato dei suoi avi vissuti ai tempi di Dante Alighieri, iniziò i lavori di consolidamento della mura cittadine con la creazione di nuovi bastioni e spalti, adeguandoli alle moderne tecniche d' assedio.
    Il 22 maggio 1503 poi firmò il primo atto esclusivamente politico del suo mandato emanando una dichiarazione d' indulgenza con la quale venivano sospese tutte le leggi penali contro i fedeli degli altri credi religiosi residenti nel territorio della repubblica.

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    A partire da quella data i ricchi commercianti ebrei, che fino ad allora non avevano avuto la possibilità di entrare al servizio attivo della repubblica aprendo empori nei grandi mercati europei, furono autorizzati a farlo.
    I pochi musulmani della città poterono costruirsi una piccola moschea ai margini della città, vicino alle mura occidentali, e radunarsi li per pregare il loro Dio in pace.
    Il 15 settembre 1504 terminava il primo mandato di Bonaventura della Gherardesca che si candidò per un secondo mandato promettendo grandi conquiste territoriali in favore della Repubblica.
    Il Consiglio Mercantile, che doveva scegliere quindi fra quattro candidati, decise di confermare la fiducia al giovane doge che il 17 settembre iniziava il secondo mandato.
    Fu la scelta giusta.
    Nel biennio 1505-1506 il doge si dedicò sopratutto a Firenze, restaurando vari palazzi, chiese e monasteri, edificò una bella villa sulla collina di Fiesole per la sua famiglia e installò un ospedale per i poveri.
    Il 30 dicembre 1505 potè leggere con giusto orgoglio i risultati del censimento indetto all' inizio dell' anno per contare gli abitanti della repubblica e valutare, in base alle tasse fisse per ciascuna categoria, le entrate statali per gli anni successivi.
    Dal censimento risultò che la popolazione della repubblica contava 123.155 anime, di cui i tre quarti residenti tra Pisa e Firenze.
    L' anno dopo, proprio mentre erano in corso trattative col ducato di Milano per l' acquisto della Corsica, il Papa improvvisamente dichiarò guerra al duca d' Urbino, convertitosi da poco alla Riforma.
    Pur essendo cattolico, il doge era anche tollerante e sopratutto fedele. Sebbene l' alleanza col duca si fosse interrotta dopo la sua conversione, Pisa garantiva comunque l' indipendenza del ducato e, seppure malvolentieri, il doge si schierò accanto all' aggredito e dichiarò guerra al pontefice.

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    Il conflitto, iniziato a metà luglio, fu rapido e decisamente indolore per la coalizione guidata proprio da Pisa. Le truppe pontificie furono sbaragliate nella battaglia di Fano il 2 agosto, il 10 l' esercito pisano iniziava l' assedio a Bologna ( capitale della Romagna pontificia ) mentre urbinati e napoletani misero sotto assedio Roma.
    Bologna fu presa per fame solo il 10 dicembre mentre Roma sembrava in grado di resistere per mesi e mesi alla morsa nemica, ma il Papa, ormai sconfitto e privo di esercito, scese a patti e in cambio della pace generale offrì alla repubblica pisana Bologna con la Romagna e il pagamento di una bella somma d' oro.
    Il doge accettò le condizioni del Papa e il 12 dicembre 1506 fu firmato il trattato di pace.

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    Nel 1507 Bonaventura, come aveva fatto per Firenze, dedicò le sue cure alla " piccola " Bologna, restaurando la cattedrale, il palazzo pretorio, le mura e costruendo nuovi palazzi, chiese e monasteri.
    Avvicinandosi la fine del secondo mandato il doge si ritenne soddisfatto del lavoro fatto e fece sapere che non aveva intenzione di candidarsi nuovamente alla suprema carica repubblicana.
    L' ultimo atto fu la riforma del Consiglio Mercantile, che prese il nome di Gran Consiglio della Repubblica. I suoi membri dovevano arrivare da tutti i capoluoghi di contado in base alla grandezza del capoluogo stesso. Firenze, che era la città più popolosa doveva inviare 10 tra i più ricchi commercianti, Pisa che era la capitale ma più piccola di Firenze ne mandò 7, Siena 2 e Bologna 5, per un totale di 24 consiglieri. Il doge era il 25esimo uomo e il suo voto sarebbe stato fondamentale per dare ragione ad una parte del consiglio o all' altra.
    Il 31 agosto 1508 terminava il secondo mandato di Bonaventura della Gherardesca che a 42 anni entrava nel Gran Consiglio assieme agli altri 6 mercanti pisani.

     
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    VITTORIO GORI
    L' uomo venuto dal nulla, 1508 - 1512

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    Eletto grazie ai voti dei rappresentanti fiorentini, senesi e bolognesi, Vittorio Gori aveva un' unico pregio: buonissime doti belliche e grande abilità con le armi.
    Ma per il resto era un perfetto ignorante. Pessimo amministratore e scarso diplomatico Gori non sembrava un grado di dare alla repubblica un gran che.
    Forse indispettito dalla diffidenza che gli veniva mostrata durante le cerimonie ufficiali, Vittorio Gori si fece in quattro per dimostrare al popolo, da cui per altro proveniva essendo suo padre un semplice artigiano, riuscendo ad ottenere discreti risultati.
    Per esempio riuscì a non mandare lo stato in deficit pur spendendo svariate migliaia di fiorini nel restauro di edifici civili e religiosi sparsi in tutto il territorio repubblicano senza aumentare le tasse.
    Diplomaticamente ottenne invece rapporti privilegiati con l' imperatore tedesco, tanto da essere nominato da quest' ultimo " vicario imperiale di Toscana ".
    Il primo atto esclusivamente politico fu l'ingresso della repubblica nel sistema della Controriforma, promosso dal romano pontefice per contenere quanto più possibile il diffondersi del protestantesimo, ormai largamente radicato in alcuni stati tedeschi e nelle isole britanniche, oltre che in varie aree dell' Italia.

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    Valendosi di ciò, poche settimane più tardi il doge decise di attaccare il duca d' Urbino, l' unico sovrano italiano convertito al protestantesimo, con l' obbiettivo segreto però di impossessarsi di quelle terre.
    Per la prima volta dalla sua rifondazione, la repubblica di Pisa non era l' aggredita ma l' attaccante e si preparava a scontrarsi con una coalizione non indifferente.
    Accanto al duca d' Urbino infatti si schierarono il re di Napoli e il duca di Savoia mentre Pisa combatteva da sola.

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    Il 3 aprile il conflitto si apriva ufficialmente con l' invasione pisana del ducato urbinate.
    Gori si mise al comando dei cinquemila uomini che formavano la milizia fiorentina e che per primi si scontrarono con i 3.000 urbinati schierati lungo il Metauro, presso Urbania.
    Lo scontro fra forze quasi uguali fu molto intenso e anche lungo, ma alla fine gli urbinati sconfitti si ritirarono verso la costa lasciando la capitale esposta all' avanzata pisana.
    Il timore di un intervento dei napoletani si rivelò esagerato e anzi, ben presto ci si rese conto che l' esercito partenopeo non era nemmeno partito dalle basi in Abruzzo. Il 31 maggio, mentre i pisani stavano già assediando Urbino da quasi un mese, l' ambasciatore napoletano propose al doge una pace bianca che avrebbe permesso al sovrano di dedicarsi ai problemi interni. Il doge fu ben lieto di accettare e quindi liberare il suo fianco destro dalla minaccia dei fanti vesuviani.
    L' assedio ad Urbino si protrasse per altri due mesi fino a quando, il 4 agosto, il governatore della città si arrese e consegnò ai pisani le chiavi cittadine.

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    Restava in guerra il duca di Savoia che, a differenza dei napoletani, non aveva alcuna intenzione di scendere a patti con il doge, pur non avendo i mezzi per tentare l' invasione del territorio repubblicano. Gori, con una mossa a sorpresa che nessuno avrebbe creduto possibile, ottenne il diritto di transito nel territorio dei ducati di Modena e Milano e già il 10 agosto dava iniziò alla marcia del suo esercito verso il Piemonte.
    Fu solo a metà ottobre, quando i pisani erano ormai a poche miglia dai confini dello stato sabaudo, che il duca spaventato decise di trattare e ottenne una pace bianca onorevole per entrambe le parti in lotta.
    Dimostrando non solo abilità bellica ma anche insospettate doti diplomatiche, Vittorio Gori ottenne alla repubblica un altro trofeo, anche se meno prestigioso di Firenze o Siena. Il popolo gliene fu comunque grato e l' opinione sul doge aumentò sensibilmente.

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    La repubblica di Pisa dopo la guerra di Urbino
    Nel 1510, confermando il decreto sui censimenti stabilito dal suo predecessore, indisse il secondo censimento dello stato scoprendo di governare su una popolazione di 216.430 abitanti ( Nel 1508, al termine del mandato di Della Gherardesca la popolazione contava 180.715 abitanti ).
    Nel biennio 1511-12 Gori si dedicò alle transazioni monetarie. Acquistò per 50.000 fiorini il castello di Arcidosso, sul monte Amiata, dai conti di Santa Fiora; ne spese altri 25.000 per l' acquisto dell' Isola d' Elba, incassando però oltre 70.000 fiorini grazie al commercio con Parigi, Anversa e Venezia.
    Il 30 agosto 1512 Vittorio Gori si dimise per malattia e morì una settimana dopo. Come i suoi predecessori anche lui fu sepolto con tutti gli onori nel Duomo di Pisa.

     
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    PIETRO GORI
    Prove di successione dinastica, 1512 - 1516

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    Il 10 settembre 1512 il Gran Consiglio della Repubblica si riunì nel palazzo Pretorio per eleggere il quinto doge della repubblica pisana e successore di Pietro Gori.
    I rappresentati di Firenze e Siena, una volta tanto concordi, proposero un candidato militarista per proseguire l' espansione territoriale, i pisani invece proposero un abile amministratore per riempire le casse statali e aumentare la pressione commerciale nei confronti di Genova e Venezia. I bolognesi e i montefeltrini ( contado di Montefeltro era il nome assunto dal vecchio ducato di Urbino dopo la sua annessione ) premevano per un abile diplomatico per costruire attorno alla repubblica una rete di alleanze e protezioni sufficientemente estesa da garantire la sicurezza della repubblica stessa.

    Essendo salito il numero di consiglieri a 30 con l' ingresso dei 5 inviati dal nuovo contado di Montefeltro e aumentata di conseguenza la quota del cinquanta percento più uno a 16 voti, nessuno dei tre partiti in seno al Consiglio raggiungeva la maggioranza richiesta.
    Dopo cinque giorni di votazioni inutili infine, uno dei consiglieri del partito bolognese prese la parola e, al termine di un discorso breve quanto intenso, espresse il suo voto per Pietro Gori, figlio 30enne di Vittorio Gori.
    Questi era stato educato dal padre per divenire ambasciatore e disponeva di ottime capacità diplomatiche proprio grazie a questi insegnamenti. Il nome di Pietro Gori fu accolto con favore dagli altri quattro consiglieri bolognesi e dai cinque montefeltrini e finì per essere accettato anche dagli esponenti del partito fiorentino-senese. Raggiunti quindi e superati i 16 voti necessari per ottenere la maggioranza Pietro Gori fu formalmente eletto doge della repubblica Pisana il 16 settembre 1512.
    Il suo primo atto politico fu la conclusione della lunga trattativa cominciata dal padre col ducato di Milano riguardo all' acquisto della Corsica.
    Il duca milanese, sconfitto dall' imperatore in battaglia e costretto a sottomettersi all' autorità imperiale dichiarandosi vassallo dell' Austria, si trovava ad affrontare il problema della Corsica, da sempre restia a qualsiasi dominazione straniera e ormai sul punto di ribellarsi all' autorità ducale. Venutolo a sapere tramite i suoi commercianti nella città ambrosiana, Vittorio Gori aveva spedito a Milano il suo più fido messaggero con l' offerta di acquisto dell' isola. Il duca non sembrava entusiasta di vendere la Corsica ai pisani ( fino al 1406, come già ricordato, Pisa faceva parte dei domini sforzeschi ) e temeva che acquisendo l' isola i dogi potessero ostacolare i traffici navali del ducato. Si era andati avanti con proposte e controfferte per circa un anno, senza riuscire a trovare l' accordo decisivo.
    Il 30 settembre 1512 Pietro Gori, che aveva inviato a Milano il messaggero di suo padre con l' ultima offerta di acquisto il giorno stesso della sua elezione, ricevette la risposta del duca.
    I Visconti erano disponibili a vendere a Pisa l' isola di Corsica per una somma di 30.000 fiorini. Il 2 ottobre Gori si consultò col Gran Consiglio e ottenne la maggioranza dei voti favorevoli all' acquisto. Il giorno seguente, nella piazza davanti al palazzo Pretorio, avvenne ufficialmente la cessione e il pagamento all' ambasciatore dei Visconti presente in città.

    upload_2014-7-2_21-30-5.png
    La repubblica di Pisa dopo l' acquisto della Corsica
    Fu sostanzialmente l' unico vero atto politico del governo di Pietro Gori. Diplomatico abile, amministratore insufficiente, militare discreto ma in realtà uomo di pace.
    Nel 1515 il terzo censimento registrò una popolazione di 230.070 uomini, ( nel 1512 all' inizio del mandato erano registrati 225.445 abitanti ).
    Sempre nel 1515 anche la Corsica fu chiamata a fornire 2 consiglieri per il Gran Consiglio, che arrivò a 32 membri ( di cui uno era il doge ) divisi sostanzialmente in tre partiti: fiorentino-senese ( 12 membri ), montefeltrino-romagnolo ( 10 membri ) e corso-pisano ( 9 membri ).
    I contadi, in numero di 6, furono rinominati come segue: Corsica con capitale Ajaccio, Maremma con capitale Siena, Valdarno inferiore con capitale Pisa, Valdarno superiore con capitale Firenze, Montefeltro con capitale Urbino e Romagna con capitale Bologna. Ogni contado era retto da un governatore nominato personalmente dal doge e i sei governatori andavano a formare, assieme al doge, il governo repubblicano. Il Gran Consiglio, persi i poteri legislativi, rimaneva in carica esclusivamente per eleggere il nuovo doge e votare le proposte di legge emanante dal governo.
    Il 23 maggio 1516, pochi mesi prima di terminare il suo mandato, Pietro Gori ricevette dall' imperatore lo stesso titolo onorifico che era stato di suo padre di " Vicario imperiale di Toscana ".
    Il 31 agosto dello stesso anno Pietro Gori cedeva la carica e, appena 34enne, lasciava la vita politica attiva ritirandosi nella villa di famiglia eretta presso Lucca.
    Morirà cinquantenne il 4 luglio 1532 e verrà sepolto assieme al padre e ai predecessori e successori nel Duomo di Pisa.
     
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  7. alberto90

    alberto90

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    EVANGELISTA GROSSO
    Colui che scacciò il Papa da Roma, 1516 - 1520

    upload_2014-7-2_21-59-22.png
    L' elezione del sesto doge si rivelò combattuta quanto la precedente a causa, sopratutto, della spaccatura creatasi nel partito fiorentino- senese in seguito al riacuirsi nelle due città dalla lotta tra guelfi e ghibellini.
    Le votazioni, iniziate il 10 settembre, proseguirono inutilmente per una settimana senza che si trovasse un nome gradito alla maggioranza. I pisani, sostenuti dai corsi e dai senesi, premevano per un uomo di polso in grado di portare la repubblica tra le prime dieci potenze europee; di contro i fiorentini spalleggiati dai bolognesi preferivano un uomo pacifico che assicurasse alla repubblica stabilità e prosperità. I montefeltrini erano l' ago della bilancia e si ricorse a promesse e minacce da ambo le parti per costringerli a schierarsi. Alla fine vinse il partito fiorentino che impose il nome di Evangelista Grosso, l' ambasciatore della città gigliata alla corte di Francia negli ultimi anni del governo mediceo.
    Eletto il 18 settembre 1516 con 20 voti su 31, Evangelista Grosso riuscì a soddisfare le pretese di entrambi gli schieramenti e, contro ogni aspettativa, trovò nell' imperatore d' Austria il maggiore garante dell' indipendenza pisana.
    Protezione che si rivelò fondamentale già ai primi di ottobre quando, con una mossa ritenuta impensabile fino a poche settimane prima, il Papa, sempre o quasi amico dei pisani, mutò parere e scacciò da Roma l' ambasciatore pisano presso la Santa Sede, usando la scusa peraltro non vera, di una conversione segreta del doge al protestantesimo.
    Nella repubblica vigeva si la libertà di culto ma i cattolici erano la stragrande maggioranza e le poche migliaia di protestanti non avevano alcun ruolo di potere all' interno del sistema repubblicano.
    Il 3 ottobre comunque il pontefice dichiarò guerra a Pisa rivendicando il possesso di Urbino e delle sue terre, cogliendo di sorpresa il doge e il suo governo.
    L' imperatore naturalmente scese in campo accanto al suo vicario che già stava prendendo le contromisure.

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    Anche senza l' intervento imperiale la superiorità numerica dei pisani avrebbe permesso loro di tenere vittoriosamente testa alle milizie papali e mantovane ma prolungando il conflitto di parecchi mesi. L' intervento austriaco invece contribuì a trasformare la guerra in una sorta di rapido quanto feroce allenamento.
    I pontifici furono battuti il 15 novembre presso Sestino e ricacciati nel Lazio a pedate, mentre gli austriaci, dopo aver respinto un coraggioso quanto futile attacco a Milano ( già annessa all' Austria ) da parte di 5.000 mantovani, invasero il piccolo ducato occupandolo in poche settimane e prendendo Mantova all' inizio della primavera successiva.
    I pisani invece, respinti e annientati i pontifici nella battaglia di Orte il 4 dicembre circondarono Roma con tutto il loro esercito ( 15.000 uomini ) e bloccarono l' ingresso del porto di Ostia con la flotta da guerra ( 8 grosse galee ) dando inizio all' assedio della capitale della cristianità.

    upload_2014-7-2_22-36-3.png

    Mantova si arrese il 18 febbraio 1517 e se la cavò con il pagamento di 2.000 ducati d' oro. Roma tenne duro strenuamente mentre il Papa, ormai bloccato nella città anche dai sopravvenuti austriaci ( oltre 20.000 ) non poteva fare altro che pregare.
    Il 7 marzo però, esaurite le scorte di cibo e di acqua, la resa divenne indispensabile e al tramonto Roma era possedimento della repubblica di Pisa.

    upload_2014-7-2_22-36-36.png

    Il pontefice fu " educatamente " scortato ai confini del regno di Napoli dove finì assassinato in circostanze misteriose.

    In aprile si aprì, all' interno del governo e del Gran Consiglio, un forte dibattito riguardo alla possibilità o no di restituire Roma al nuovo pontefice. Il doge fu categorico nel sostenere che Roma dovesse restare nelle sue mani, con buona pace dei cattolici, mentre i governatori di Siena, Bologna e Ajaccio premevano per la restituzione. La votazione del Gran Consiglio finì con appoggiare il Doge e il 14 aprile fu sancita la definitiva appartenenza di Roma alla Repubblica pisana.

    upload_2014-7-2_22-37-30.png

    La corte pontificia trasferì la sede di Pietro a Magdeburgo ospite del duca si Sassonia-Anhalt che fu eletto nuovo successore di Pietro in giugno dopo una rapida carriera ecclesiastica.

    Il resto del mandato di Grosso trascorse senza grandi eventi. Roma, perso il ruolo di capitale, fu abbandonata quasi in toto dagli artisti al soldo della chiesa che si trasferirono a Pisa ala corte del doge o a Magdeburgo, al servizio del nuovo pontefice. Il popolo accolse con iniziale freddezza il governatore inviato dal doge ma poi, verificata la buona volontà di quest' ultimo nel cercare sempre il bene dei cittadini e visti con i propri occhi i lavori intrapresi dal governo repubblicano per restaurare chiese, palazzi, monasteri e le bonifiche nella pianura pontina, si mostrarono assai soddisfatti del cambio di politica e cominciarono a chiedere al doge di poter inviare presso di lui i rappresentanti della Città Eterna.
    Grosso si mostrò favorevole ad un ulteriore estensione del Gran Consiglio e il 24 aprile 1519 accolse i 10 consiglieri romani inviati dal governatore della città.
    A questo punto il Gran Consiglio arrivò a contare 41 membri con la maggioranza assoluta estesa a 21 voti e Roma fu proclamata capitale del nuovo contado del Lazio.
    Il 31 agosto 1520 Evangelista Grosso cedette la sua carica e, ormai 72enne si ritirò a vita privata, morendo presso Certaldo il 3 ottobre 1522. La sua tomba non fu la cattedrale di Pisa ma quella di Firenze. Da vero fiorentino non avrebbe mai accettato di riposare per l' eternità nella cattedrale pisana.

     
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  8. alberto90

    alberto90

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    Si ma fatemi sapere che ve ne pare però .... ho l' impressione che non vi piaccia.
     
  9. ivaldi79

    ivaldi79

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    io lo letto mi e piaciuto...il problema che ne hai aperti a decine di arr e mai finiti, lo finirai questo? almeno uno
     
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  10. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Io l'AAR l'ho letto solo adesso, continua così, EU3 non morirà mai!
     
  11. andry2806

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    a me piace molto. Questo cerca di finirlo però...hai fatto molti aar molto belli, però li hai abbandonati tutti.
     
  12. alberto90

    alberto90

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    Molte volte non dipende nemmeno da me. Mi spariscono i salvataggi di partite fatte 30 o 40 anni prima ..... non posso ogni volta rifarle.
     
  13. alberto90

    alberto90

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    GABRIELE MARIA GORI
    La prima colonia pisana e l' alleanza con l' Austria, 1520 - 1528

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    Sull' elezione del successore di Evangelista Grosso gravava una pesante incertezza e un clima decisamente teso tra i vari partiti in seno al Gran Consiglio.
    I pisani, questa volta sostenuti anche da fiorentini e bolognesi, volevano eleggere un diplomatico che fosse in grado di concludere alleanze con le grandi potenze in modo da assicurare un futuro tranquillo per la repubblica. I senesi, naturalmente ostili ai fiorentini, trovarono appoggio negli urbinati e nei romani appoggiando la candidatura di un militare, cui affidare il compito di portare nell' orbita repubblicana l' intera penisola italiana e lottare contro Genova e Venezia per guadagnare a Pisa il primato assoluto del commercio nel Mediterraneo.

    Tra i due partiti stavano i consiglieri corsi, che sostenevano l' idea di un candidato amministratore. Pur avendo la maggioranza relativa all' interno del consiglio, il partito pisano aveva problemi interni per decidere quale possibile candidato diplomatico mettere ai voti e, approfittando di queste divisioni interne, il capo del partito corso prese accordi con i capi delle delegazioni senese, fiorentina, urbinate e romana e alla fine, il 5 settembre 1520 fu eletto con maggioranza assoluta il candidato proposto proprio dai corsi, Gabriele Maria Gori.
    Fratello minore di Pietro Gori e conseguentemente figlio di Vittorio Gori, Gabriele Maria aveva compiuto da poco 38 anni ed era uno dei più giovani dogi dell' ultimo ventennio.
    Proprio a causa della giovane età e dell' inesperienza, Gori non sembrava il candidato ideale per guidare la repubblica in un momento di forti tensioni politiche in Europa, con l' Austria in grande espansione, l' Inghilterra divenuta repubblica mercantile ( e quindi diretta rivale di Pisa ) e la Francia dilaniata dalle lotte religiose intestine. Inoltre il doge non era nemmeno un amministratore così eccellente e oltre a ciò era un diplomatico pessimo e un militare anche peggiore.
    Tra tutti i suoi predecessori era probabilmente il peggiore.
    Eppure, i fatti lo dimostrarono, durante il suo mandato la repubblica pisana trovò nuove strade per espandersi e sopratutto potè vantarsi di essere l' unica repubblica a godere della fiducia e del favore dell' imperatore.
    Tuttavia, durante i primi 4 anni di governo, Gori non fece praticamente nulla in ambito politico. Si limitò a commissionare ai più famosi architetti italiani il progetto di una basilica monumentale, da edificarsi a Roma, come simbolo della potenza e ricchezza raggiunte dalla repubblica.


    Rieletto il 5 settembre 1524, con il voto di tutti i rappresentanti questa volta, Gori iniziò a darsi da fare per inserire maggiormente il suo stato nell' ambito della politica europea.

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    Il mondo nel 1525
    E nonostante le sue capacità diplomatiche fossero meno che minime, riuscì ad ottenere il massimo possibile, cioè l' alleanza formale tra la repubblica di Pisa e l' Austria, e quindi con l' imperatore stesso.
    L' alleanza portava certamente grandi vantaggi politici e strategici ( le probabilità di essere attaccati da una potenza esterna e intern all' impero diventavano minime, poichè quasi nessuno poteva disporre di un esercito più forte di quello austriaco ), ma comportava anche obblighi e responsabilità non da poco. Come per esempio sostenere qualsiasi guerra portata dall' impero contro una potenza estera.
    Un altro grande risultato ottenuto dal doge fu la scoperta e la colonizzazione dell' isola di Bermuda, a metà strada tra le Americhe e il Mediterraneo. Il governo pisano inviò nell' isola un migliaio di coloni che provvidero alla costruzione di un villaggio fortificato, di un piccolo porto e di varie fattorie.

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    Sul finire del 1525, nel mese di ottobre, il doge dovette intervenire per placare un violento dibattito esploso all' interno del Gran Consiglio tra i mercanti delle varie fazioni.
    Se i pisani premevano per un' intensificazione della guerra commerciale contro Genova e Venezia, i fiorentini insistevano per un commercio interno allo stato e i romani spingevano per una politica commerciale rivolta alle nuove colonie.
    Le liti divennero così violente che Gori si vide costretto a separare le parti e, sostenuto dal governo, impose la sua scelta, cioè il libero mercato.

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    Ma fu il 1526 l' anno più intenso per la politica di Gori. Nel mese di maggio il governo propose lo sviluppo dell' architettura civile e religiosa e riuscì a far passare la proposta nonostante l' opposizione dei tradizionalisti pisani e corsi.

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    Il 6 giugno 1526 fu approvata inoltre la legge sull' introduzione della scuola. Ora in tutto il territorio repubblicano potevano ( anzi, dovevano ) aprirsi edifici, tenuti dagli ordini religiosi, nei quali educare e crescere le nuove generazioni. Le scuole erano aperte ai figli dei nobili, dei mercanti, del popolo e anche per i figli degli ebrei e dei riformati presenti nelle grandi città.

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    In agosto infine la repubblica di Pisa fu chiamata, per la prima volta dalla firma del trattato di alleanza con l' imperatore ( stipulata a Vienna il 5 marzo 1524 ), a scendere in campo a fianco di una vasta coalizione formata da Venezia, Austria, Modena, Castiglia, Croazia e vari staterelli minori, contro l' impero Ottomano.

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    La guerra, iniziata alla fine del 1526, vide subito gli austriaci come i favoriti. Partendo dalla loro base avanzata di Budiak, alle foci del Danubio, dilagarono senza quasi trovare resistenza nella regione balcanica e si spinsero verso la Crimea. I croati invasero la Bosnia ottomana, i veneziani, partendo dalle loro basi di Creta e Corfù, invasero il Peloponneso. Solo i castigliani rimasero a casa loro, partecipando alla guerra solo diplomaticamente.
    Gori, deciso a mostrare la forza delle sue truppe e delle sue navi, spedì la flotta da guerra nello Ionio, col compito di intercettare qualsiasi naviglio ottomano diretto nell' Adriatico e affondarlo. Poi, ricevuta la notizia dell' affondamento di 2 navi turche, fece imbarcare i 4.000 uomini della milizia corsa sui trasporti e li spedì verso le coste dell' Epiro. L' ordine era quello di espugnare almeno qualche città da usare come merce di scambio al tavolo delle trattative.
    Lo sbarco avvenne senza ostacoli, ma l' inopinato intervento dei veneziani che presero l' intera regione valendosi dell' aiuto dei pisani senza però consegnare loro nemmeno un villaggio, costrinse i 4.000 uomini a puntare su Atene e l' Attica dove furono raggiunti da altri 6.000 uomini di rinforzo.
    Ma qui, sconfitti dai ribelli achei, dovettero ritirarsi verso Capo Sunion e limitarsi a guardare i veneziani conquistare Atene e massacrare i ribelli.
    A metà febbraio 1527, dopo pochi mesi di guerra, gli austriaci firmarono la pace di Edirne con gli Ottomani a nome di tutta l' alleanza e furono gli unici ad ottenere conquiste territoriali ( l' intera fascia costiera dalle foci del Danubio ai Dardanelli comprendente le città di Edirne, Burgas e Silistra ). I Croati riuscirono a strappare la Bosnia settentrionale e i Veneziani ( che proseguirono la guerra anche per qualche mese ) ottennero l' Epiro e l' Attica.

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    Deluso dal comportamento degli alleati il doge rimpatriò le sue truppe e le sue navi e per qualche tempo meditò di rompere l' alleanza con l' Austria e uscire dall' ambito imperiale.
    Ma ne fu dissuaso dai suoi ministri i quali, molto saggiamente, fecero notare al doge che uscire dall' impero e rompere con l' Austria avrebbe significato, probabilmente, la fine della repubblica.
    Gori si convinse e si recò lui stesso a Vienna per la Pasqua del 1528 a congratularsi con l' imperatore per la grande vittoria ottenuta sui turchi. L' imperatore, forse pentito per non aver permesso ai pisani ( che d' altronde si erano sempre dimostrati molto fedeli nei suoi confronti ) di ottenere vantaggi territoriali, assegnò ai mercanti della repubblica il monopolio del mercato di Modena ( aperto appositamente ) e, premendo sul pontefice, fece avere al doge la nomina a gonfaloniere della Chiesa.
    Gori tornò a Pisa in giugno parzialmente risarcito e il 31 agosto lasciò la carica ritirandosi a vita privata nella sua residenza di Lucca. Alla sua morte, avvenuta il 5 gennaio 1546, la sua salma fu deposta accanto a quelle del padre e del fratello maggiore nella cattedrale di Pisa.



     

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  14. Pinky

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    Non siamo mica qui ad abbandonare gli AAR
    Ps. L'Austria va tenuta a bada prima che scoppi in Grecia
     
  15. alberto90

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    lo so ... ma al momento ci sono alleato. E sembra invincibile. Dovrei lavorare per una grande coalizione ( francia, inghilterra, polonia, ungheria, boemia ) ... ma essendo repubblica non posso fare i matrimoni dinastici e mi è impossibile chiedere alleanze alle monarchie. Praticamente devo seguire l' austria e sperare che prima o poi crolli su se stessa.
     
  16. alberto90

    alberto90

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    SERGIO DELLA GHERARDESCA
    Il colpo di mano del conte, 1528 - 1532

    upload_2014-7-6_23-38-2.png
    L' elezione di Sergio della Gherardesca, nipote di Bonaventura, fu una questione risolta in poche ore. Iniziate le votazioni il 5 settembre, il giorno dopo il conte era già eletto e l' 8 settembre prendeva possesso del governo.
    Era stato eletto praticamente all' unanimità, benvisto da tutti gli " schieramenti " del Gran Consiglio per le sue altissime capacità diplomatiche e per le buone conoscenze belliche. Inoltre era un uomo bello d' aspetto e dai modi raffinati, apprezzato dal popolo per la sua magnanimità e per la giustizia dimostrata nel breve periodo in cui era stato nominato giudice della repubblica, tra il 1519 e il 1524.
    Il fatto che discendesse da una delle più nobili famiglie pisane e che fosse lui stesso un nobile col titolo di conte palatino dell' Elba, non disturbava gli esponenti di un governo repubblicano, anche perchè il nuovo doge sembrava non amare molto i membri della nobiltà italiana.
    L' imperatore in persona lo aveva voluto al suo fianco, tra il 1512 e il 1515, per gestire la diplomazia austriaca e anche il Papa lo aveva scelto come ambasciatore tra il 1515 e il 1516.
    Fin da subito, il doge fece capire che il sistema repubblicano corrente cioè gestito da mercanti e commercianti, andava rivisto, ammodernato e semplificato. Il 5 ottobre diede inizio alla sua riforma e come primo atto confermò il sistema dei governatori-ministri deciso da Pietro Gori, ma stabilì che i governatori-ministri provenissero non più da famiglie mercantili ma che fossero uomini politici ( potestà, pretori o simili ). Come secondo atto fece in modo che i membri del Gran Consiglio ( che erano sostanzialmente mercanti ricchi ) si dimettessero e li sostituì con altri potestà, senatori, pretori e uomini di chiesa.

    Modificò poi il nome dell' assemblea in " Maggior Consiglio della Repubblica ", mentre il gruppo dei governatori-ministri divenne " Consiglio Piccolo "o " Minor Consiglio ".
    La repubblica di Pisa, da mercantile che era, divenne amministrativa ( sostanzialmente simile a quella olandese storicamente esistita o a quella svizzera attuale, n.d.a ) e lo Statolder, o meglio Guida dello Stato, sostituì il doge.
    Di conseguenza a ciò fu modificato anche il sistema amministrativo dello stato. I contadi furono sostituiti con province di cui fu ridotto il numero a 4 ( provincia di Corsica, provincia di Toscana, provincia di Roma e provincia di Romagna e Montefeltro , i governatori aggiungevano al titolo di governatore quello di Gonfaloniere della Repubblica, e le milizie locali ( corsa, pisana e fiorentina ) mantennero il loro nome ma furono sottoposte ad un Gonfaloniere della Milizia ( una sorta di ministro delle forze armate, n.d.a ), che era il quinto rappresentante del " Minor Consiglio ". Il sesto era invece il Gonfaloniere della Marina, cui erano sottoposte le due flotte della repubblica, quella militare ( galee, caravelle e navi da guerra ) e quella civile e mercantile ( trasporti di truppe e navi commerciali ).
    Infine fu modificato il nome dello stato in " Serenissima Repubblica Pisana dei Cantoni Uniti ".

    Sistemate le questioni prettamente burocratiche e inaugurato il nuovo governo, lo Statolder fece varare la prima legge del suo mandato ( 21 maggio 1529 ) con la quale stabiliva il sistema giudiziario regionale. In pratica, ogni regione dello stato doveva avere nella propria capitale un tribunale centrale e sedi " distaccate " nelle città più piccole. Nei paesi ci si sarebbe limitati alla presenza di uno sceriffo, detto " siniscalco " il quale aveva il compito di catturare i criminali e, in base alla gravità del reato commesso, imprigionarli nel castello locale o inviarli alla città più vicina per il processo. Se il criminale era giudicato colpevole e il reato commesso prevedeva la pena capitale, il condannato doveva essere inviato nella capitale della regione e li giustiziato.

    upload_2014-7-7_2-57-19.png
    Pochi mesi più tardi il re di Napoli, Carlo VI, invitò nel suo palazzo lo statolder con la scusa di discutere un trattato di alleanza in funzione anticastigliana.
    Della Gherardesca non era interessato a stringere amicizia con l' infido sovrano ( che pure in passato aveva aiutato molto la repubblica ), ma essendo un uomo educato e disponibile accettò comunque l' invito e partì.
    Il vero scopo del re, incitato dai duchi di Savoia, di Mantova e dai dogi di Venezia e Genova, era uccidere lo statolder e, approfittando dello stato di confusione seguita alla morte della sua guida, distruggere la repubblica pisana e spartirne le spoglie con gli altri stati italiani.
    L' ambasciatore pisano presso la corte napoletana, resosi conto del complotto, trovò il modo di avvertire lo statolder prima che entrasse nello stato napoletano e questi, ormai a conoscenza del piano, arrivò alla corte del re pronto per reagire al primo segnale di pericolo.
    L' omicidio era stato previsto per il 10 settembre, dopo il banchetto di benvenuto, e l' attacco alla repubblica doveva scattare il giorno seguente. Ma lo statolder rifiutò cortesemente l' invito del re di fermarsi a palazzo per la notte e, uscito di soppiatto dalla città assieme all' ambasciatore e agli uomini della scorta, si rifugiò in un monastero a nord di Napoli, verso Caserta.
    Di li inviò il più veloce dei suoi messaggeri a Pisa per svelare il complotto e far dichiarare guerra al malvagio Carlo VI. Questi, stizzito dal cambio di programma, sguinzagliò tutte le spie a sua disposizione per rintracciare lo statolder ma così facendo perse tempo e consentì al messaggero di arrivare a Pisa in soli 5 giorni di cavalcata sfrenata. L' uomo spiegò ai membri del Maggior Consiglio la situazione e disse che lo statolder ordinava di dichiarare immediatamente guerra al regno di Napoli.
    Nel frattempo Della Gherardesca aveva già lasciato il territorio napoletano ed era rientrato nei suoi stati, il 14 era a Roma e li attese l' arrivo della milizia fiorentina di cui era il generale. Il 16, a guerra già dichiarata, lo statolder emanò un proclama solenne con il quale metteva a conoscenza del suo popolo la trappola che era stata preparata per lui e invitava l' imperatore a scendere in Italia per aiutare la repubblica nella sua guerra contro il tiranno assassino.

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    Accanto al re di Napoli si schierò solo il genero, il re di Navarra, mentre gli alleati italiani ( o pseudoalleati ) resisi conto che lo statolder era vivo e che l' imperatore si era unito a lui per la guerra, si tirarono indietro e lasciarono al suo destino il sovrano napoletano.
    Entro la fine di settembre 16.000 pisani erano penetrati nel regno di Napoli puntando sull' Aquila e sulla capitale mentre la flotta da guerra della repubblica aveva già bloccato le navi partenopee nel porto. Il 5 ottobre l' imperatore era a Roma con un esercito di 20.000 fanti e 5.000 cavalieri e una settimana dopo i napoletani erano già in rotto verso le Puglie dopo aver perduto nella battaglia di Bojano tre quarti dell' intero esercito regio.
    Dei navarrini nessuna traccia. Carlo VI, terrorizzato, fuggì da Napoli il giorno prima che la città venisse cinta d' assedio dai pisano-imperiali e raggiunse Taranto, dove si mise alla testa delle poche truppe rimaste. L' Aquila, assediata dai pisani a partire dal 10 ottobre cedette per fame il 12 dicembre, Napoli si arrese il 5 gennaio 1530 e Taranto, assediata dopo la vittoria sui napoletani avvenuta a Martina Franca il giorno prima, fu presa il 17 marzo.
    Avendo perso la Calabria in favore dei castigliani anni prima, Carlo VI era ormai un re senza regno e senza esercito, sconfitto e umiliato. Si recò il 20 marzo al campo dei pisani e li, implorando per la propria vita, finì con l' accettare senza riserve le durissime condizioni di pace poste dallo statolder ( naturalmente spalleggiato dall' imperatore che però era già in viaggio verso Vienna ). Consegnò ai vincitori la piazza dell' Aquila con l' intera regione Abruzzo e fu costretto a rinunciare al trono e a pagare una ingente somma di riparazione, valutata in 50.000 ducati. Il regno fu trasformato in repubblica vassalla assegnata allo stesso Carlo, nominato doge, privato però sostanzialmente di ogni potere decisionale.
    Era il 27 marzi 1530.

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    Tornato a Pisa vittorioso, anzi, trionfante, e coperto di gloria, lo statolder si dedicò a nuove riforme. Sancì la libertà di culto in tutto lo stato pur decretando il cattolicesimo quale religione ufficiale; fece potenziare le fortificazioni di tutte le città dello stato edificando nuovi castelli, rafforzando mura e torri e sopratutto adattando le difese ai nuovi metodi d' assedio.
    Si dedicò anche ai soliti lavori di restauro di chiese, palazzi, edifici pubblici e privati, ampliò i porti di Livorno, Ajaccio, Ancona e Ravenna, proseguì le opere di bonifica della Maremma e dell' agro Pontino e trovò anche il tempo di valutare i progetti disegnati dai grandi artisti italiani per la grande basilica che, nelle intenzioni del predecessore e anche sue, doveva diventare il sacrario degli statolder della repubblica pisana.
    Ma al momento non era possibile iniziare i lavori e il progetto approvato rimase sulla carta.

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    La situazione religiosa in Europa - 1530
    Pochi mesi prima dello scadere del suo mandato, Della Gherardesca ricevette una visita molto importante.
    L' ambasciatore di Francia a Napoli giunse a Pisa il 10 giugno 1532 e fu ricevuto con tutti gli onori dal governo e dallo statolder.
    - Signori - disse l' uomo - sua maestà Saverio I, re di Francia, mi ha inviato presso di voi per offrire alla repubblica pisana l' amicizia e l' alleanza di sua maestà e del popolo francese -
    - Sono lieto dell' onore che sua maestà ci concede e siamo felici di poter ricambiare l' amicizia e l' alleanza che il re di Francia ci offre - rispose lo statolder dopo essersi consultato col suo governo.
    - vi prego dunque di firmare questo documento che sua maestà invia a vostra eccellenza nel quale sono indicati i termini dell' alleanza tra la Francia e la repubblica di Pisa -
    Lo statolder scorse il documento e approvò. Firmò e prima che l' ambasciatore partisse per Parigi per consegnare il trattato, lo incaricò di portare al re i ricchi doni che erano stati preparati per l' occasione.
    Ceramiche invetriate dalla raffinatissima decorazione, 12 cavalli maremmani di imponente bellezza, 5 quadri dei maestri del '400 fiorentino e vari gioielli per un valore totale di oltre 300.000 ducati. Una vera fortuna.
    Il 21 maggio, Saverio I di Francia firmò a sua volta il trattato e da quel momento si dichiarò alleato, amico e protettore della repubblica di Pisa.
    Il 31 agosto Della Gherardesca lasciò la carica e si ritirò a vita privata nei sui possedimenti elbani dove morirà ancora giovane il 27 ottobre 1538. La sua salma verrà deposta nella cattedrale di Pisa assieme agli altri dogi che erano venuti prima di lui.







     
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  17. alberto90

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    GIOVANNI APPIANI D' ARAGONA
    L' uomo che osò sfidare Venezia, 1532 - 1540

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    Il nuovo statolder venne eletto con un plebiscito di voti. Era un nome altisonante ed era l' ultimo esponente di una nobilissima famiglia pisana ormai quasi estinta.
    Giovanni Appiani ( il secondo cognome deriva dal fatto che sposando una nobile aragonese era stato nominato dalla regina Isabella di Castiglia, duca di Aragona ) era un bravo diplomatico, già ambasciatore castigliano alla corte imperiale prima e francese poi, affascinante, colto e ambizioso. Non possedeva grandi capacità amministrative e neppure conoscenze belliche ( dettaglio che sarà fatale più avanti ), ma poteva contare sull' appoggio di consiglieri esperti e capaci.
    Eletto quindi il 5 settembre 1532 ( il re di Francia e l' imperatore avevano " appoggiato " la sua candidatura ) lo statolder si trovò subito ad affrontare una serie di spinose questioni religiose.
    Il protestantesimo era già diffuso in ampie regioni della Francia e dell' impero, l' Inghilterra e la Scozia erano già interamente passate alla nuova religione e il " morbo " rischiava di diffondersi anche nello stato pisano. In Puglia le comunità riformate e protestanti erano ormai la maggioranza così come nella regione di Brescia e in quella di Nizza.
    Nella primavera del 1533 la Romagna contava un gran numero di eretici tanto da risultare quasi totalmente popolata da questi ultimi. Lo statolder era un cattolico convinto, se non fanatico, e non poteva tollerare che nel suo stato si celebrassero riti diversi da quelli imposti dalla chiesa cattolica romana. Quando i rappresentanti del protestantesimo romagnolo gli fecero sapere che non avevano intenzione di turbare la pace interna della repubblica chiedendo però in cambio la libertà di cultò, lo statolder evitò per un pelo di passarli da parte a parte con la sua spada. Si rischiava una rivolta nella regione che poteva dilagare in tutte le zone occupate da meno tempo e quindi più restie ad accettare la dominazione pisana. Era un rischio grosso che la repubblica non poteva affrontare a cuor leggero.
    Il 13 aprile la Romagna si scoprì interamente popolata dai protestanti, i quali riconobbero Appiani come capo dello stato e dichiarandosi cittadini orgogliosamente repubblicani. Continuavano a chiedere però di essere riconosciuti e accettati dallo statolder e dal governo.

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    Appiani, seppure controvoglia e dopo molte resistenze, finì con l' accettare il fatto compiuto e promise al governatore della Romagna-Montefeltro, nonchè Gonfaloniere della Repubblica Alessandro Pepoli, che non avrebbe inviato predicatori cattolici nella regione.
    Nel resto dello stato pisano i cattolici restavano la stragrande maggioranza e questo rassicurava senz'altro lo statolder che approfittò del periodo di relativa quiete nella penisola per riprendere in mano i progetti per il grande tempio-sacrario che doveva divenire il mausoleo degli statolder e il simbolo della potenza della repubblica.
    I migliori artisti avevano disegnato un progetto e quasi tutti si erano basati sulla semplicità delle forme rinascimentali per i loro lavori ma lo statolder voleva qualcosa di grandioso, di unico nel suo genere.
    Gli architetti passarono mesi progettando edifici sempre più grandi e imponenti, gareggiando tra di loro per creare il progetto più gradito al capo della repubblica.
    Nel 1534 una nuova serie di progetti fu bocciata e alla fine fu lo stesso statolder a studiare architettura per imparare i segreti di quell' arte così importante. Sarebbe stato proprio lui a schizzare sulla sabbia il progetto definitivo .....

    Messe momentaneamente da parte le questioni architettoniche, alla fine di settembre del 1534 lo statolder, preoccupato per la rapida crescita della rivale repubblica veneziana e dal conseguente incremento di uomini e navi, mandò alla corte del doge veneto il suo ambasciatore per intimare al collega rivale la cessazione di qualunque guerra in corso. Non solo, Appiani fece sapere al doge di Venezia che la repubblica di Pisa nella sua persona gli vietava qualunque aggressione ad uno stato estero nel raggio del mare Adriatico e della penisola italiana.
    Contemporaneamente inviò altri ambasciatori alla corte della neonata repubblica bizantina che si era costituita su gran parte delle isole Egee per assicurare la protezione della repubblica pisana in caso di aggressione straniera.
    Cosa che puntualmente avvenne in ottobre. Venezia, ignorando le minacce pisane, dichiarò guerra proprio allo stato egeo, trascinandosi contro anche la repubblica di Pisa.

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    Purtroppo, accanto a Venezia, si schierano tutti i suoi alleati. Svizzera, Croazia e Lituania. Se la Lituania non faceva paura considerata la distanza siderale che la isolava dal fulcro del conflitto, Venezia, la Svizzera e la Croazia formavano una coalizione temibile e lo statolder non era sicuro di poter tenere testa a lungo ai suoi avversari. Sapeva di non avere conoscenze in ambito bellico e a malapena sapeva tenere in mano una spada e manovrarla. Ma non poteva venire meno alla promessa fatta ai bizantini e quindi entrò in guerra pregando che, una volta conquistato l' arcipelago ( era una cosa scontata ) Venezia si limitasse ad offrire una pace bianca che avrebbe salvato la faccia di entrambe le repubbliche.
    Comunque al momento occorreva pensare al presente e lo statolder, riletto in 5 settembre, con un soprassalto di coraggio non da poco si mise alla testa della milizia fiorentina affidando all' esperto capitano di ventura Simone Ricci la milizia pisana. I due eserciti, valendosi dell' alleanza con l' Austria e potendo quindi muoversi in territorio austriaco senza ostacoli, avanzarono verso nord, superando il Po e invadendo il territorio veneziano. Si divisero: la prima puntò verso Brescia, la seconda avanzò su Treviso. La milizia corsa, sbarcata a Livorno, doveva proteggere lo stato da eventuali incursioni veneziane ( che non avvennero ).
    Il piano era semplice: costringere Venezia alla pace occupando tutto il suo territorio in Italia. Il che poteva anche funzionare, ma senza il pericolo degli svizzeri. I quali, varcate le Alpi in autunno avanzato, sorpresero la milizia pisana presso Chiari e li inflissero una dura lezione ai repubblicani, costringendoli a ripiegare verso sud. Era il 4 novembre 1534.
    Appiani arrivò troppo tardi con i rinforzi e fu a sua volta battuto il 10 novembre non lontano da Lonato. Le perdite erano state piuttosto alte ( almeno 3.000 morti su un totale di 16.000 ) e il morale scendeva. Per la prima volta le truppe pisane erano state sconfitte da un esercito professionista e la notizia fece il giro dell' Europa.
    Gli svizzeri l' accolsero con trionfi e festeggiamenti esagerati e i veneziani non furono da meno. Neppure la notizia della caduta di Treviso ( 10 gennaio 1535 ) ad opera dei due eserciti pisani uniti bastò per placare il senso di vittoria che la coalizione veneziana già pregustava.
    L' arcipelago egeo era ormai conquistato e il grosso delle forze veneziane stava tornando verso casa per distruggere per sempre gli eserciti pisani e stroncare la repubblica rivale.
    Tuttavia Appiani aveva un asso nella manica, anzi due, Si rivolse all' imperatore e al re di Francia chiedendo la loro mediazione con Venezia per trovare un accordo favorevole. L' imperatore si era già mosso in favore dal suo statolder impedendo il transito in tutto il territorio imperiale delle truppe lituane ( che costituivano il 75 per cento della forza bellica della coalizione ), salvando in questo modo Pisa da un disastro. Il re di Francia, tramite l' ambasciatore veneziano alla sua corte, impose al doge la cessazione delle ostilità con Pisa minacciando di intervenire in favore di quest' ultima in caso di risposta negativa.
    Lo stesso fece l' imperatore e per mostrare la veridicità della minaccia 20.000 austriaci furono schierati ai confine con il Friuli veneziano.
    La minaccia era seria e il doge non aveva intenzione di urtarsi con i potenti alleati di Pisa perciò, valutando anche la caduta ormai prossima di Brescia, fece sapere allo statolder che era disposto a terminare il conflitto liberando le repubbliche di Ragusa e Corfù dal proprio giogo.
    Appiani naturalmente fu lieto di accettare le condizioni offerte dal doge e il 30 luglio 1535 le due parti firmarono la pace di Ravenna. Pisa stringeva subito dopo un' alleanza sia con Ragusa che con Corfù, facendosi garante della loro indipendenza.

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    Per fortuna dello statolder, nei tre anni che restò ancora al governo, non vi nessun bisogno dell' intervento militare pisano e Appiani potè quindi governare serenamente legiferando in favore degli ordini monastici e proteggendo in special modo i Gesuiti, da poco nati.
    Tuttavia, nel 1537, il suo governo dovette affrontare un' altra spinosa questione religiosa.
    Riuscì a risolvere il problema perdendoci un pò di entrate fiscali mensili ma guadagnando subito la bella cifra di 25.000 ducati che furono incamerati nella casse statali.

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    Il 2 febbraio 1540 infine, dopo 8 anni di governo, Appiani lasciò la carica per malattia e, come molti dei suoi predecessori, si ritirò a vita privata nei suoi possedimenti in Aragona, dove morirà tre mesi più tardi a 72 anni.
    Il suo corpo fu deposto nella cattedrale di Saragozza assieme alla moglie e ai 3 figli.
     

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    Ultima modifica: 9 Luglio 2014
  18. andry2806

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    Repubblica bizantina?
     
  19. alberto90

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    Già .... sostanzialmente rimane impero, ma essendosi liberato da un dominio straniero risulta repubblica. Repubblica mercantile per la precisione.
     
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  20. alberto90

    alberto90

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    MAURO TABUCCHI
    Il pacifico conquistatore di Napoli, 1540 - 1544

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    Nipote di Vittorio Tabucchi, Mauro fu eletto il 5 febbraio 1540 grazie ai voti dei rappresentanti corsi, pisani, fiorentini e bolognesi. Romani, senesi e montefeltrini avrebbero preferito un candidato con più spirito combattivo e maggiori qualità belliche, ma, col tempo, finirono per apprezzare molto l' operato dello statolder.
    Ottimo amministratore, buon diplomatico e discreto soldato, Mauro Tabucchi iniziò il suo mandato inviando a Napoli il suo segretario personale per chiedere al duca Carlo di lasciare la carica e consegnare Napoli e le Puglie allo statolder.
    Il 6 marzo, un mese dopo l' elezione, Tabucchi pubblicò un documento che sanciva la fine del processo di controriforma nel territorio repubblicano. I protestanti ebbero piena libertà e pari diritti così come riformati ed ebrei.

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    Il Papa naturalmente espresse in una lettera pastorale rivolta al popolo pisano tutto il suo disappunto, minacciando di scomunicare lo statolder e impedire la celebrazione dei riti religiosi nel territorio della repubblica fino a quando non fosse stato ripristinato il sistema della controriforma,
    Ma Tabucchi, protetto dall' imperatore e dal re di Francia, ignorò le minacce e proseguì nella sua politica conciliante e preservando in tal modo la repubblica da pericolose guerre di religione che avrebbero minacciato di indebolire lo stato.

    Il 6 aprile poi, con il formale atto di abdicazione di Carlo VI, formalmente duca di Napoli, ma in realtà doge, i suoi domini furono incorporati direttamente nei possedimenti pisani, con l' aggiunta anche della Calabria, persa dai castigliani in seguito ad una serie di violente rivolte ( fomentate proprio dai napoletani e sostenute dai pisani ).

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    Ora lo statolder governava uno stato esteso dalle foci meridionali del Po allo Stretto di Messina popolato da oltre 600.000 abitanti.
    Il tutto senza versare neppure una goccia di sangue.
    Il suo ingresso solenne in Napoli, che da sola contava più di 200.000 abitanti, avvenuto il 14 maggio tra due ali di folla esultante fu magnificamente rappresentato dal pittore Francesco Granacci, al seguito dello statolder, in un quadro commissionato per il Salone del Maggior Consiglio nel palazzo pubblico di Pisa.

    [​IMG]
    " L' ingresso dello Statolder in Napoli ", Francesco Granacci, 1541
    Accanto allo statolder sfilarono gli ambasciatori dell' imperatore e del re di Francia, i rappresentanti delle provincie della repubblica e il nunzio apostolico inviato dal Papa.

    Stabilità la " corte " a Napoli per il resto del mandato, Tabucchi provvide a riassestare l' economia disastrata di quello che era stato il regno, restaurare le mura sbrecciate della città, fortificare tutte le altre fortezze della nuova provincia ( a cui fu aggregato l' Abruzzo ) e potenziare porti, industrie e manifatture.
    Mentre la repubblica di Pisa portava il suo esercito a 30.000 uomini e dava inizio alla costruzione delle prime due caravelle nel porto di Livorno, lo statolder, tramite l' ambasciatore austriaco, veniva a sapere che l' Impero Ottomano era ormai in grave crisi, continuamente attaccato dagli imperiali, dai veneziani, dai polacco-lituani, dai russi e dagli ungheresi.

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    Tabucchi si mostrò entusiasta, ma in segreto temeva che l' aumento della potenza austriaca, prima o poi, avrebbe finito per mettere in grave difficoltà la repubblica.
    Ma per il momento l' alleanza con l' imperatore restava solida e quella con il re di Francia si stava rafforzando. Occorreva tenersi buoni entrambi i sovrani e sperare che tra di loro non scoppiassero conflitti che avrebbero costretto la repubblica a schierarsi con uno o con l' altro. In entrambi i casi il risultato non era garantito e i rischi superavano i vantaggi.

    Il 3 febbraio 1544 Tabucchi lasciò la carica al termine del suo mandato e si ritirò nei suoi possedimenti dove morirà il 2 ottobre 1562. Fu sepolto nella cattedrale di Pisa, ma nel duomo di Napoli gli fu eretto un monumento commemorativo.

     
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