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Changing Paradigm, ovvero ripensare il modello di educazione

Discussione in 'Off Topic' iniziata da Darksky, 20 Novembre 2010.

  1. Darksky

    Darksky Admin Membro dello Staff

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    Video molto interessante, che si voglia o meno condividere la tesi esposta.
    In pratica, Ken Robins vuole dimostrare come l'attuale modello educativo non sia più adeguato al mondo moderno e futuro perchè è un modello nato in un tempo ed una società che ormai non esiste più. Anzi, mette in discussione anche la bontà di tale modello, ai tempi in cui fu introdotto.

     
  2. huirttps

    huirttps

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    Molto interessante ed in parte anche molto vero.
    Di certo l'apprendimento in gruppo favorisce quelli che sarebbero rimasti indietro se presi singolarmente, ma forse bloccherebbe i più meritevoli, essendo il loro apporto personale parte di un gruppo. A meno che non vi sia un insegnante-osservatore più che educatore che seleziona i migliori di varie classi [anche di età diverse, secondo il messaggio dell'autore] creando di fatto dei gruppi A di più interessati ad una materia e gruppi B di più "svogliati" [anche se non è la parola giusta].

    Però a questo punto si va creando una specializzazione fin da piccoli in materie che piacciono di più o verso le quali si è più portati, quindi il risultato che ci vedo è , ad esempio, un@ bambin@ che fa parte di un gruppo di eccellenza in matematica mentre fa parte di un gruppo medio per quanto riguarda l'italiano e di un gruppo pessimo per il disegno artistico.
    A questo punto o creiamo tanti piccoli Einstein ognuno del suo campo o tanti appassionati di qualcosa che potrebbe non portarli a nulla , lavorativamente parlando.

    :confused:
     
  3. Invernomuto

    Invernomuto -

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    D'accordissimo con te.
    Io credo che la scuola primaria debba tentare di sviluppare le capacità individuali di ciascun bambino (non solo quelle logico matematico ma anche artistiche, musicali ecc) ma dandosi l'obiettivo di insegnare a tutti un livello minimo di educazione in tutti i campi. Secondo me i bambini devono uscire dalle scuole primarie sapendo leggere e fare di conto, altrimenti la scuola ha fallito nell'educazione.
    Vero è che, specie nell'istruzione italiana (anche universitaria), non si lavora in gruppo, cosa che invece *devi* fare in azienda.
    Starei attento alla iper-specializzazione, che andrebbe evitata invece. In qualunque azienda, lavori che 10-15 anni fa erano indispensabili (e molto ben retribuiti) sono sostituiti da altri, per i quali sono richiesta altri talenti (oggi si chiamano skill). La versatilità sembra essere la parola imperante nel mondo aziendale (o almeno nel mio), perché le tecnologie cambiano con una rapidità tale che è parecchio difficile stargli dietro, anche da parte dei giovani.

    Ciao.
     
  4. Atty

    Atty

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    Non sono d'accordo sul non separare i bambini per fasce d'età; benchè più passi il tempo più la differenza diventa insignificante, fino a 21 anni il cervello continua a svilupparsi, e per forza di cose un bambino di 6 anni non può avere le capacità di uno di 10, per esempio. Già si possono notare disparità tra i nati a gennaio e quelli a dicembre, figuriamoci addirittura tra anni diversi.

    L'unica cosa con la quale posso concordare è il lavoro di gruppo (la specializzazione credo sia giusto lasciarla alle superiori, una sfarinatura di conoscenze di base su tutto serve sicuramente): benchè sia obbiettivamente più difficile da gestire per l'insegnante, credo che aiuti a sviluppare intuizione e pensiero laterale, come dicono nel video, invece di limitarsi semplicemente ad applicare la formula data al problema; le quali sono qualità sicuramente utili dato che nella vita raramente ti viene dato un foglio con scritto dati e ipotesi...
     
  5. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Secondo me il lavorare in gruppo fa emergere di più le capacità individuali che non starsene per conto proprio.
     
  6. archita

    archita

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    tesi interessante ma opinabile. L'idea che i ragazzi siano sempre meno capaci di apprendere le nozioni considerate "noiose","accademiche","inutili" è retaggio della vecchia cultura sessantottina ( o meglio negli USA definita "radical-chic" ) che già allora vedeva nella formazione scolastica basata sull'obbligo di avere le basi fondamentali un ingranaggio del sistema industriale ed economico dominante ( il cosidetto sistema borghese ). Da questo presupposto ideologico questa analisi ritiene che i ragazzi siano "contenitori" passivi di informazioni esterne e che per tale ragione ( determinismo ! ) sono con gli anni sempre meno capaci di apprendere con il medesimo livello di attenzione. Idea opinabile, come del resto pure la barbara usanza dei tranquillanti sui bambini, poichè i ragazzi possono assorbire e reggere il flusso di dati senza esplodere se hanno sia un adeguata educazione in famiglia ( il primo centro di formazione e il più importante e decisivo ) sia se appunto hanno appreso le basi nelle elementari e medie dove è più ricettivo il ragazzo che per molti casi tende invece ad esserlo di meno al liceo per varie ragioni ( in primis ormoni a palla e livellamento intellettuale verso il basso nei gruppi ). nella seconda parte dell'analisi egli critica il divieto a copiare e questo è altrettanto opinabile perchè quando copi non valorizzi il tuo impegno personale o meglio finisci per far sì che il modello vincente fonte di copiature diventi davvero "pensiero comune" con il rischio di avere frutti di lavoro praticamente fatti da una minoranza senza incontrare concorrenza di modelli,soluzioni,tesi alternative. Lavorare in gruppo in sede di formazione primaria e secondaria inoltre comporterebbe inevitabili compromessi e livellamento verso il basso perchè quando si è in gruppo di solito le tesi vengono redatte e rifinite da individui dotati di leadership e capaci di stabilire gli errori e "correggerli" sulla linea della maggioranza sacrificando lavori individuali "non in linea". Inoltre i lavori di gruppo scolastici impongono "regole" di stesura e apprendimento esterni che inevitabilmente determinano uno "standard" uniforme a tutti i lavori. In ultima analisi poi il lavoro di gruppo scolastico comporta l'allineamento di differenti livelli individuali di cultura personale e anche in questo il rischio di emarginazione di ragazzi più sensibili ad apprendere e mettere a frutto le conoscenze acquisite a causa dello spirito competitivo ( fare in fretta,non approfondire troppo, eliminare dati inutili ).

    Inoltre è un errore parlare di "geni culturali" perchè in realtà non esistono scientificamente quindi l'autore di questo lavoro dovrebbe fare a meno di citare il DNA ( spesso raffigurato, un implicita tentazione al determinismo vecchia scuola ? ) e in questi tempi sarebbe più saggio rinnovare i modelli culturali, non di conservarli acriticamente specie quando si parla di globalizzazione a parole ma con i fatti si nota una forte resistenza di molte culture spesso non di matrice occidentale e che purtroppo molti governi, per opportunismo e incapacità, l'affrontano malamente.

    da notare che la scuola italiana stà appunto abbandonando il sistema educativo per formare la mente per fare la scuola americana di impiegati senza cervello mentre l'autore dell'opera, americano rinsavito, si rifà in parte proprio allo scopo della vecchia scuola italiana :)
     
  7. Lord Attilio

    Lord Attilio

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    Ma lavorando in gruppi si insegnerebbe agli studenti com'è il Mondo fuori, come esistano persone dotate di leadership che prevalgono sugli altri, e gli studenti imparerebbero a far valere la propria opinione. Se uno sta da solo e magari è anche intelligente, esce con una laurea e magari è timido e impacciato (come io stesso d'altronde) e non riesce a fare valere la sua opinione su altre persone più carismatiche.
     
  8. Mac Brian

    Mac Brian

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    Vero,ma anche vero che se un ragazzo che ha un potenziale di 2 va con un'altro di 2 bene,ma se a questi due ci aggiungiamo uno svogliato ebete,che magari potrebbe essere intelligente, ma non si applica, ecco che il risultato è 2 e mezzo forse 3 e non il 4 iniziale.
    D'accordissimo comunque sul fatto che non si può rimanere isolati a vita.
     

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